XIV
Così com’è difficile spiegare quale motivo e quale scopo abbiano di affrettarsi tanto le formiche di un formicaio devastato, le une allontanandosi dal formicaio e trascinando pagliuzze, uova e cadaveri, le altre facendo ritorno al formicaio; e perché si scontrino, si inseguano, si azzuffino, così è difficile spiegare le cause che indussero i russi, dopo la partenza dei francesi, ad affollarsi in quel luogo che prima era chiamata Mosca. Ma allo stesso modo che guardando le formiche sparpagliate intorno al formicaio devastato, nonostante la completa distruzione del formicaio, dalla tenacia, dall’energia, dal numero sconfinato d’insetti che brulicano lì intorno, si vede che tutto è distrutto fuorché qualcosa d’indistruttibile, di immateriale che costituisce tutta la forza del formicaio, - anche Mosca nel mese di ottobre, sebbene non ci fossero più né autorità, né chiese, né cose sacre, né ricchezze, né case, era la stessa Mosca del mese di agosto. Tutto era distrutto fuorché qualcosa di immateriale, ma di potente e di indistruttibile.
I motivi per cui da ogni parte si convergeva su Mosca dopo che era stata liberata dai nemici erano i più diversi, legati a interessi personali e in un primo tempo, nella maggior parte dei casi, brutali e bestiali. Un solo impulso era comune a tutti: convergere laggiù, nel luogo che prima era chiamato Mosca, per svolgervi la propria attività.
Dopo una settimana Mosca aveva già quindicimila abitanti, dopo due settimane venticinquemila, e via di seguito. Aumentando ininterrottamente, la popolazione verso l’autunno del 1813 era numericamente superiore a quella del 1812.
I primi russi che entrarono a Mosca furono i cosacchi del distaccamento di Wintzingerode, i contadini dei vicini villaggi e gli abitanti fuggiti da Mosca che si erano nascosti nei dintorni. I russi che entrarono in Mosca, trovandola saccheggiata, la saccheggiarono a loro volta. Essi continuavano così a fare ciò che avevano fatto i francesi.
Carri di contadini arrivavano a Mosca per trasportare nei villaggi tutto ciò che era stato abbandonato nelle case devastate e lungo le strade. I cosacchi portavano nelle loro tende quanto potevano; i padroni di casa arraffavano tutto ciò che trovavano nelle case degli altri e se lo portavano in casa propria col pretesto che si trattava di roba di loro proprietà.
Ma alla prima ondata di saccheggiatori ne seguì una seconda, e poi una terza e il saccheggio di giorno in giorno, via via che aumentavano i saccheggiatori, diventava sempre più difficile e assumeva forme più definite.
I francesi avevano trovato Mosca vuota, ma con tutte le apparenze di una città che vive in modo organico e regolare, con le sue varie funzioni di commercio, artigianato, lusso, amministrazione statale, religione. Erano forme prive di vita, ma esistevano ancora. C’erano mercati, botteghe, negozi, magazzini, depositi, la maggior parte con tanto di merci; c’erano fabbriche, laboratori artigiani, c’erano palazzi case di ricchi, colme di oggetti di lusso; c’erano ospedali, prigioni, uffici pubblici, chiese, cattedrali. Quanto più a lungo rimanevano i francesi, tanto più si distruggevano queste forme della vita cittadina e alla fine tutto si confuse in un solo, indivisibile, inanimato campo di saccheggio.
Quanto più si protraeva il saccheggio dei francesi, tanto più distruggeva la ricchezza di Mosca e le forze dei saccheggiatori. Il saccheggio dei russi, con cui era iniziata l’occupazione della città da parte dei russi, quanto più si protraeva, tanto più ripristinava la ricchezza di Mosca e la vita normale della città.
Oltre ai saccheggiatori, come il sangue al cuore, affluiva a Mosca la gente più eterogenea, attirata dalla curiosità o da doveri d’ufficio o dal calcolo - padroni di casa, clero, funzionari, mercanti, artigiani.
Già dopo una settimana i contadini, che arrivavano con carri vuoti per portar via roba venivano fermati dalle autorità e obbligati a portare i cadaveri fuori dalla città. Altri contadini, avendo sentito parlare della malasorte dei compagni, arrivavano in città con grano, avena, fieno, facendo scendere i prezzi con la loro concorrenza a un livello inferiore a quello di prima. Arteli di falegnami, sperando in forti guadagni, arrivavano ogni giorno a Mosca e ovunque si costruivano nuove case e si riparavano le vecchie rovinate dagli incendi. I mercanti esercitavano il commercio in baracche. Nelle case semidistrutte si aprivano bettole e locande. Il clero riprendeva le funzioni in molte chiese che non erano bruciate. Donatori portavano cose sacre che erano state rubate. I funzionari sistemavano i loro tavoli foderati di panno e gli armadi gremiti di carte in piccole stanze. Le massime autorità e la polizia si occupavano della distribuzione dei beni lasciati dai francesi. I proprietari delle case in cui si era accumulata molta roba portata da altre case si lamentavano ritenendo ingiusto che tutti gli oggetti dovessero essere portati alla Granovitaja Palata, altri sostenevano che i francesi avevano concentrato gli oggetti in un unico luogo e che era perciò ingiusto dare al padrone di quella tal casa gli oggetti che erano stati trovati a casa sua. Imprecavano contro la polizia, la corrompevano, decuplicavano i danni causati dagli incendi a beni di proprietà dello stato, pretendevano sussidi. Il conte Rastopèin scriveva i suoi proclami.