IV
Quando la principessina Mar’ja entrò nella stanza, il principe Vasilij e suo figlio erano già nel salone, e conversavano con la piccola principessa e con M.lle Bourienne. Allorché ella entrò con il suo passo pesante, appoggiando sui talloni, gli uomini e M.lle Bourienne si alzarono, e la piccola principessa, indicandola ai due uomini, disse: « Voilà Marie! » La principessina Mar’ja vedeva tutti, e in tutti i particolari. Vide il volto del principe Vasilij, che, alla vista della principessina, per un istante s’era irrigidito in un’espressione immobile e grave, e subito dopo s’era fatto sorridente; e vide il volto della piccola principessa che leggeva con curiosità sui volti degli ospiti l’impressione che Mar’ja avrebbe prodotto. E vide anche M.lle Bourienne con il suo nastro, il suo bel viso e lo sguardo animato come non mai, puntato su di lui. Ma non riusci a vedere lui; vide soltanto qualcosa di alto, di luminoso e di bello che le veniva incontro quando era entrata nel salone. Dapprima le si avvicinò il principe Vasilij; lei baciò la testa calva che si chinava sulla sua mano, e rispose a qualche sua parola dicendo che, al contrario, si ricordava molto bene di lui. Poi si avvicinò a lei Anatol’. Lei continuava a non vederlo. Sentì soltanto una mano morbida stringere saldamente la sua, e sfiorò appena una fronte bianca circondata da capelli biondi e impomatati. Quando lo guardò, fu colpita dalla sua bellezza. Anatol’, tenendo il pollice della mano destra appoggiato al bottone allacciato della giacca della divisa, con il petto in fuori e il dorso eretto, oscillando un poco sulle gambe divaricate e tenendo il capo lievemente divaricato, la guardava in silenzio con un’espressione allegra nella quale s’indovinava che non stava affatto pensando a lei. Anatol’ non era di spirito pronto, né vivace, né di brillante conversazione, ma in compenso aveva il dono prezioso, in società, di mostrare una calma e una sicurezza di sé che non gli venivano mai meno. Se un uomo poco sicuro di sé quando viene presentato a qualcuno, non riesce a parlare e manifesta la sconvenienza di quel silenzio sforzandosi di dire qualcosa, fa una figura penosa. Ma Anatol’ taceva, si dondolava sulle gambe, e osservava con aria allegra la pettinatura della principessina. Si capiva che egli era in grado di conservare quel serafico silenzio anche molto a lungo. «Se per qualcuno questo silenzio è imbarazzante, chiacchierate pure; io, per conto mio, non ne ho voglia,» sembrava dire col suo atteggiamento. Oltre a ciò, Anatol’ trattava le donne in un modo che più di ogni altro suscita nelle donne curiosità, timore e perfino amore: e cioè con una sprezzante consapevolezza della propria superiorità. Come se col suo atteggiamento egli dicesse: «Vi conosco, vi conosco; ma perché prendersela tanto per voi? Lo so che ne sareste contente!» Può anche darsi che lui non lo pensasse affatto (ed è anzi probabile di no, perché in genere pensava poco), ma tali erano il suo aspetto e i suoi modi.
La principessina se ne rese conto e, come se volesse dimostrargli che non la sfiorava nemmeno l’idea di interessarlo, si rivolse al vecchio principe. Grazie alla vocetta della piccola principessa e al piccolo labbro rialzato sui denti e soffuso di peluria, si era accesa una conversazione generale e perfino animata. La piccola principessa aveva accolto il principe Vasilij con quel fare scherzoso a cui spesso ricorrono le persone loquaci e allegre, e che consiste nel presupporre, fra sé e la persona a cui ci si rivolge, dei rapporti di vecchia data e molti divertenti ricordi, non sempre a tutti noti, mentre in realtà tra i due non sussiste alcun ricordo del genere, come infatti non ce n’erano tra la piccola principessa e il principe Vasilij. Il principe Vasilij si uniformò volentieri a questo tono; la piccola principessa coinvolse anche Anatol’, che lei quasi non conosceva, in questa rievocazione di buffi episodi mai accaduti. Anche M.lle Bourienne condivideva questi ricordi comuni e perfino la principessina Mar’ja si sentì piacevolmente attratta in quel cerchio di ricordi gioiosi.
«Ecco, almeno adesso disponiamo completamente di voi, caro principe,» diceva la piccola principessa, naturalmente in francese, al principe Vasilij; «non è come alle serate in casa di Annette, dove voi scappate sempre. Vi ricordate di cette chère Annette?! »
«Voi, però, non mettetevi a parlare di politica come Annette!»
«È il nostro tavolino del tè?»
«Oh sì!»
«Perché voi non venivate mai da Annette?» domandò la piccola principessa ad Anatol’. «Ah! Lo so, lo so,»
disse ammiccando, «vostro fratello Ippolit mi raccontava le vostre gesta.» Ed ella lo minacciò con un dito. «Conosco le vostre scappatelle fin da quando eravate a Parigi!»
«Ma lui, Ippolit, non ti ha detto nulla?» intervenne il principe Vasilij rivolgendosi al figlio, e afferrando per la mano la principessa come se lei volesse scappare e lui facesse appena a tempo a trattenerla, «Ippolit non ti ha raccontato che languiva d’amore per la cara principessa e che lei le mettait à la porte? »
« Oh! C’est la perle de femmes, princesse! » aggiunse poi, rivolto alla principessina.
Da parte sua, alla sola menzione di Parigi, M.lle Bourienne non s’era lasciata sfuggire l’occasione di entrare in quella conversazione generale imbastita di ricordi.
Si permise di domandare se era molto che Anatol’ aveva lasciato Parigi e se quella città gli era piaciuta. Anatol’
rispose molto volentieri alla giovane francese e, guardandola sorridendo, si mise a discorrere con lei della sua patria.
Appena aveva veduto la graziosa M.lle Bourienne, Anatol’ aveva deciso che anche lì, a Lysye Gory, ci sarebbe stato da non annoiarsi. «Veramente graziosa!» pensava, mentre l’esaminava con lo sguardo. «Niente male questa demoiselle de compagnie. Spero che la prenderà con sé quando mi sposerà,» pensò, « la petite est gentille.»
Il vecchio principe si stava vestendo senza fretta nel suo studio, e con la fronte aggrottata stava pensando a quel che doveva dire. L’arrivo di quegli ospiti l’aveva irritato. «Che m’importa del principe Vasilij e di suo figlio? Il principe Vasilij è un fanfarone, un essere vacuo, e anche il figlio dev’essere un bel soggetto,» brontolava fra sé. Lo irritava il fatto che l’arrivo di quegli ospiti ridestasse nel suo animo un problema irrisolto, costantemente soffocato; un problema a proposito del quale il vecchio principe ingannava sempre se stesso. Il problema era questo: avrebbe mai acconsentito a separarsi, prima o poi, dalla principessina Mar’ja e a cederla a un marito? Il principe rifiutava sempre di porsi in modo chiaro questa domanda, sapendo già in anticipo che avrebbe risposto secondo equità e che l’equità, in questo caso, era in contraddizione prima ancora che col suo sentimento, con le sue stesse possibilità di vivere. La vita era impensabile per il principe Nikolaj Andreeviè senza la principessina Mar’ja, sebbene in apparenza potesse sembrare ch’egli la tenesse in poco conto. «E a quale scopo dovrebbe sposarsi?» pensava. «Di sicuro, per essere infelice. Guardate Lise: ha sposato Andrej (e oggi sarebbe difficile trovare un marito migliore), ma è forse contenta del suo destino? E chi sposerebbe Mar’ja per amore? È brutta, è sgraziata. La prenderebbero per il nome che porta, perché è ricca. D’altra parte, non ci sono donne che restano zitelle? E magari sono le più felici!» Così pensava, vestendosi, il principe Nikolaj Andreeviè, ma d’altronde quel problema sempre rinviato esigeva un’immediata soluzione. Il principe Vasilij aveva portato con sé suo figlio con l’evidente proposito di fare una proposta di matrimonio, e probabilmente quel giorno stesso o l’indomani avrebbe preteso una risposta precisa. Un nome, una brillante posizione mondana. «Perché no? Io non ho nulla in contrario,» si diceva il principe, «ma che sia degno di lei, però. Ad ogni modo, staremo a vedere.»
«Staremo a vedere,» esclamò ad alta voce. «Staremo a vedere.»
E, come sempre, entrò a passi vivaci nel salone, abbracciò tutti con un rapido sguardo, e si accorse di tutto: del vestito della piccola principessa, del nastro della Bourienne, e della goffa acconciatura della principessina Mar’ja, dei sorrisi della Bourienne e di Anatol’, dell’isolamento della sua principessina nella conversazione generale. «S’è agghindata come una stupida!» pensò gettando un’occhiata furibonda alla figlia. «Non ha un briciolo di pudore! E lui non la guarda nemmeno!»
Nikolaj Andreeviè si avvicinò al principe Vasilij.
«Benvenuto, sono lieto di vederti.»
«Per visitare un caro amico, val la pena fare sette verste,» esordì il principe Vasilij, parlando veloce nel suo consueto tono familiare. «Ecco il mio secondogenito, lo raccomando alla vostra benevolenza.»
Il principe Nikolaj Andreeviè squadrò Anatol’.
«Bel giovanotto! Bravo!» disse. «Su, vieni, baciami,» disse, porgendogli la guancia.
Anatol’ baciò il vecchio e lo guardò con curiosità e perfetta calma, aspettando di vedere se avrebbe presto manifestato le bizzarrie promessegli da suo padre.
Il principe Nikolaj Andreeviè sedette al suo solito posto in un angolo del divano, trasse a sé una sedia per il principe Vasilij, gliela indicò e si mise a fargli domande sugli affari politici e sulle novità. Sembrava ascoltare con attenzione ciò che il principe Vasilij raccontava, ma lanciava continue occhiate alla principessina Mar’ja.
«Sicché scrivono da Potsdam?» disse, ripetendo le ultime parole del principe Vasilij; poi all’improvviso si alzò, avvicinandosi alla figlia.
«È per gli ospiti che ti sei agghindata così?» disse. «Graziosa, molto graziosa. Tu hai adottato questa nuova pettinatura per gli ospiti e io, in presenza degli ospiti, ti dico di non osare di conciarti in questo modo senza il mio permesso.»
«È colpa mia, mon père,» s’interpose la piccola principessa facendosi rossa.
«Voi siete libera di fare quel che volete,» disse il principe Nikolaj Andreeviè facendo una riverenza alla nuora,
«ma lei non ha motivo di sfigurarsi; e già brutta così.»
E tornò a sedersi al suo posto senza più rivolgere l’attenzione a sua figlia, che ormai era sul punto di piangere.
«Al contrario, quest’acconciatura sta molto bene alla principessina,» disse il principe Vasilij.
«Ebbene, giovane amico, giovane principe… come si chiama?» disse il principe Nikolaj Andreeviè, rivolgendosi ad Anatol’, «Vieni un po’ qui, parliamo, facciamo conoscenza.»
«Ecco adesso comincia il divertimento,» pensò Anatol’, e con un sorriso sedette vicino al vecchio principe.
«Dunque, mio caro: a quanto mi dicono siete stato educato all’estero. Non come tuo padre e me, che abbiamo imparato a leggere e a scrivere da un prete. Ditemi un po’: adesso prestate servizio nella Guardia a cavallo?» domandò il vecchio, fissando da vicino Anatol’.
«No, sono passato alle truppe di linea,» rispose Anatol’ trattenendosi a fatica dal ridere.
«Ah! bene, bene. Sicché, mio caro, volete servire l’imperatore e la patria? Siamo in tempo di guerra. Un bravo giovanotto come voi deve servire, deve servire. Siete al fronte?»
«No, principe. Il nostro reggimento è in marcia; ma io sono stato assegnato… Dove sono stato assegnato, papà?» chiese Anatol’ rivolgendosi ridendo a suo padre.
«A quanto pare fa magnificamente il suo dovere! Dove sono stato assegnato! Ah-ah-ah!» esclamò il principe Nikolaj Andreeviè, scoppiando a ridere.
Anatol’ prese a ridere ancora più forte. All’improvviso il principe Nikolaj Andreeviè si accigliò.
«Be’, va’ pure,» disse ad Anatol’.
Anatol’, con un sorriso, si accostò di nuovo alle signore.
«Sicché l’hai fatto educare all’estero, principe Vasilij, eh?» disse il vecchio principe.
«Ho fatto quel che potevo, e vi dirò che l’educazione che s’impartisce laggiù è molto migliore della nostra.»
«Sì, adesso tutto è diverso, tutto è nuovo. Ragazzo in gamba! Proprio in gamba! Suvvia, andiamo.»
Prese sotto braccio il principe Vasilij e lo condusse nel suo studio.
Rimasto a tu per tu con il vecchio principe, il principe Vasilij non tardò a esprimere i suoi desideri e le sue speranze.
«Che cosa credi,» rispose irritato il vecchio principe, «che io la voglia tenere, che non possa separarmene?
Guarda che cosa vanno a immaginarsi!» esclamò, in preda alla collera. «Fosse per me, anche domani! Ti dico solo che io, mio genero, lo voglio conoscere meglio. Tu sai le mie regole: tutto alla luce del sole! Domani la interrogherò in tua presenza: se lei acconsente, lui potrà trattenersi per un po’ qui con noi. Lui si tratterrà qui e io avrò tempo di studiarlo un poco.» Il principe sbuffò. «Che si sposi pure, per me fa lo stesso,» prese a gridare con la stessa voce stridula che aveva quando si era congedato dal figlio.
«Preferisco parlarvi con tutta franchezza,» disse il principe Vasilij, nel tono dell’uomo furbo che s’è convinto dell’inutilità di ricorrere alla furberia di fronte alla perspicacia del suo interlocutore. «Voi, del resto vedete le persone in trasparenza. Anatol’ non è un genio, ma è un ragazzo buono e onesto, un ottimo giovane, tutto famiglia.»
«Bene, bene, staremo a vedere.»
Come sempre succede alle donne sole, a lungo prive di compagnia maschile, le signore che vivevano in casa del principe Bolkonskij, alla comparsa di Anatol’ avevano sentito in egual modo che la loro esistenza fino a quel momento non era stata una vera vita. La forza di pensare, di sentire, di osservare si era all’istante decuplicata in ciascuna di loro, e la loro vita che fino ad allora si era svolta nelle tenebre, all’improvviso fu rischiarata da una luce nuova e piena di significato.
La principessina Mar’ja non pensava al proprio viso e alla propria acconciatura, anzi, non se ne ricordava più. Il bel viso aperto dell’uomo che forse sarebbe diventato suo marito assorbiva tutta la sua attenzione. Egli le pareva buono, coraggioso, risoluto, virile e magnanimo; ed era convinta che possedesse tutte queste virtù. Migliaia di sogni sulla sua futura vita familiare nascevano senza posa nella sua immaginazione, ma lei li respingeva e si sforzava di nasconderli.
«Non sarò troppo fredda con lui?» pensava. «Cerco di contenermi, perché nel profondo dell’anima mi sento già troppo vicina a lui; ma egli non sa ciò che penso e può credere di essermi antipatico.»
E la principessina Mar’ja si sforzava, ma non riusciva a esser gentile col nuovo ospite.
« La pauvre fille! Elle est diablement laide,» pensava di lei Anatol’.
M.lle Bourienne, che la comparsa di Anatol’ aveva del pari portata a un alto grado di eccitazione, aveva altri pensieri. Quella ragazza così giovane e graziosa pur senza una posizione sociale ben definita, senza parenti e amici e perfino senza patria, non pensava di dedicare l’intera sua vita al servizio del principe Nikolaj Andreeviè, alla lettura che essa gli faceva ad alta voce e al servizio della principessina Mar’ja. M.lle Bourienne da tempo aspettava un principe russo capace di apprezzare senza indugio la sua superiorità rispetto alle goffe, brutte e malvestite principesse russe; costui si sarebbe innamorato di lei e l’avrebbe portata via con sé. Ed ecco che questo principe russo finalmente era arrivato. M.lle Bourienne aveva per la mente una storia, udita da una zia e da lei perfezionata, che le piaceva ripetere nella sua immaginazione. Era la storia di una ragazza sedotta alla quale compariva in sogno la sua povera madre, sa pauvre mère, per rimproverarla d’essersi data a un uomo fuori del matrimonio. M.lle Bourienne si commuoveva spesso fino alle lacrime raccontando nella sua immaginazione questa storia a lui, il suo seduttore. Adesso questo lui, un vero principe russo, era comparso. Lui l’avrebbe rapita, poi le sarebbe apparsa sa pauvre mère, e lui l’avrebbe sposata. Così nella testa M.lle Bourienne andava configurando la sua futura storia mentre discorreva con Anatol’ di Parigi. Non c’era nessun calcolo in M.lle Bourienne (non si soffermava neanche un istante su quale sarebbe dovuto essere il suo modo di agire), ma tutto questo era già definito da molto tempo dentro di lei, e ora si raggruppava intorno ad Anatol’, al quale lei desiderava e si sforzava di piacere il più possibile.
Quanto alla piccola principessa, come una vecchia cavalla di reggimento che si scuote quando sente il suono della tromba, presa inconsciamente dal gioco e dimentica della propria situazione, s’era accinta all’abituale galoppo della civetteria, senza alcun recondito pensiero di lotta, ma con ingenua e spensierata allegrezza.
Sebbene Anatol’ in compagnia femminile assumesse d’abitudine l’atteggiamento dell’uomo stanco di esser rincorso dalle donne, ora provava un vanitoso piacere nel constatare quale influenza esercitasse su quelle tre signore.
Oltre a ciò, egli cominciava a sentire, per la graziosa e provocante Bourienne, del desiderio appassionato e brutale che s’impadroniva di lui con straordinaria velocità e lo spingeva alle azioni più turpi e audaci.
Dopo il tè il gruppo passò nella stanza dei divani e la principessina fu pregata di suonare il clavicembalo.
Anatol’ le si pose di fronte appoggiandosi ai gomiti, vicino a M.lle Bourienne, mentre i suoi occhi, ridenti e soddisfatti, fissavano la principessina Mar’ja. Ella sentiva quello sguardo posato su di sé con un’emozione al tempo stesso tormentosa e lieta. La sua sonata preferita la trasportò nel suo mondo più intimo e poetico e lo sguardo che sentiva posato su di lei conferiva a quel mondo una poesia ancor più intensa. Lo sguardo di Anatol’, invece, sebbene fosse rivolto verso di lei, in realtà era interessato alle mosse di un piedino di M.lle Bourienne che egli nel frattempo toccava col suo piede sotto il clavicembalo. Anche M.lle Bourienne guardava la principessina, e anche nei suoi magnifici occhi c’era un’espressione nuova, per la principessina Mar’ja, un’espressione di esultanza smarrita e di speranza.
«Come mi vuol bene, lei!» pensava la principessina Mar’ja. «Come sono felice adesso e come potrei essere felice con una simile amica e un simile marito! Ma diventerà davvero mio marito?» pensava, non osando guardare la faccia di lui, ma continuando a sentire quello sguardo posato su di lei.
La sera, quando dopo cena si accinsero a ritirarsi, Anatol’ baciò la mano della principessina. Nemmeno lei sapeva come ne avesse avuto l’ardire, ma guardò apertamente il bellissimo viso che si era avvicinato ai suoi occhi di miope. Dopo, egli si chinò sulla mano di M.lle Bourienne (era sconveniente, ma lui faceva tutto con assoluta sicurezza e semplicità); e M.lle Bourienne si fece di porpora e gettò un’occhiata sgomenta alla principessina.
« Quelle delicatesse,» pensò la principessina. «Possibile che Amélie (era il nome di M.lle Bourienne) pensi che io possa esser gelosa di lei e non apprezzi il suo affetto così puro e la sua devozione verso di me?» Si accostò a M.lle Bourienne e la baciò forte. Nel frattempo Anatol’ si accingeva a baciare la mano della piccola principessa.
« Non, non, non! Quand votre père m’écrira que vous vous conduisez bien, je vous donnerai ma main à baiser.
Pas avant.»
Sollevò la piccola mano, e sorridendo ella uscì dalla stanza.
V
Tutti si ritirarono, e quella notte nessuno per un pezzo riuscì a dormire, tranne Anatol’, il quale si addormentò appena entrato nel letto.
«Possibile che lui diventi mio marito, proprio lui: quest’uomo sconosciuto, così bello, così buono. Soprattutto buono,» pensava la principessina Mar’ja, e la paura che essa non provava quasi mai, improvvisamente l’assalì. Aveva paura di guardarsi attorno; le sembrava che qualcuno si celasse lì, dietro il paravento, nell’angolo buio. E quel qualcuno era lui, il diavolo; ed insieme era lui, quell’uomo dalla fronte bianca, le nere sopracciglia e la bocca vermiglia.
Suonò per chiamare la cameriera e la pregò di coricarsi nella sua camera.
Quella sera M.lle Bourienne passeggiò a lungo nel giardino d’inverno aspettando invano qualcuno, ora sorridendo a quel qualcuno, ora commuovendosi fino alle lacrime alle immaginarle parole della pauvre mère che le rimproverava la sua caduta.
La piccola principessa brontolò con la cameriera, perché il letto non era stato rifatto a dovere. Non riusciva a star sdraiata né su un fianco né supina. Tutto le dava un senso di disagio e di oppressione. Il suo ventre le pesava. Le pesava più che mai prima di allora, perché la presenza di Anatol’ l’aveva trasportata in un’epoca diversa, quando il suo ventre non era gonfio e tutto per lei era facile e gaio. Stava seduta in poltrona in camicia e cuffia da notte. Frattanto Katja, assonnata, con la treccia sciolta, per la terza volta sprimacciava e rivoltava il pesante materasso di piume borbottando qualcosa fra sé.
«Ti ho detto che è tutto bernoccoli e buche,» diceva la piccola principessa, «io per prima sarei felice di addormentarmi: dunque non è colpa mia.» E la sua voce tremò come quella di un bambino che sta per piangere.
Nemmeno il vecchio principe dormiva. Nel sonno Tichon lo udiva sbuffare e camminare nervosamente. Al vecchio principe pareva di essere stato offeso nella persona di sua figlia. E l’offesa era tanto più dolorosa, in quanto non si riferiva a lui, ma a un’altra persona, alla figlia, che egli amava più di se stesso. Andava dicendosi che doveva riflettere su tutta la faccenda e decidere per il meglio; e tuttavia non faceva che irritarsi sempre di più.
«Si fa avanti il primo venuto e quella si dimentica di suo padre, di tutto e di tutti, si pettina all’insù, scodinzola; non sembra neanche più lei! È felice di piantare in asso suo padre! E lo sapeva che me ne sarei accorto. Frr… frr… frrr…
E non lo vedo, forse, che quel cretino guarda soltanto la Bur’enka (bisogna cacciarla via)! E non ha neppure abbastanza orgoglio per capire tutto questo! Se non ha orgoglio per sé, almeno potrebbe averne per me. Bisogna farle capire che quello stupido non si cura affatto di lei, ma bada soltanto alla Bourienne. Se lei non ha orgoglio, glielo farò capire io…»
Dicendo alla figlia che prendeva un abbaglio, che Anatol’ aveva piuttosto l’intenzione di corteggiare la Bourienne, il vecchio principe sapeva che avrebbe ferito l’amor proprio della principessina Mar’ja e che avrebbe avuto partita vinta ottenendo quel che lui voleva: non separarsi, cioè, dalla figlia, sicché si tranquillizzò su questo punto.
Chiamò Tichon e cominciò a spogliarsi.
«È il diavolo che li ha portati!» pensava, mentre Tichon l’aiutava a infilare la camicia da notte sul suo corpo adusto di vecchio, coperto sul petto di peli grigi. «Io non li ho chiamati. Sono venuti a sconvolgere la mia vita; e ne resta così poca, ormai.»
A Tichon era nota l’abitudine del principe di esprimere talvolta ad alta voce i propri pensieri: perciò accolse con aria impassibile lo sguardo interrogativo e adirato della faccia che riemergeva sopra la camicia da notte.
«Sono andati a letto?» domandò il principe.
Come tutti i bravi domestici, Tichon indovinava a volo i pensieri del suo padrone. Intuì subito che egli si riferiva al principe Vasilij e a suo figlio.
«Sono andati a letto e hanno spento il lume, eccellenza.»
«Non importa, non importa…» borbottò in fretta il principe; infilò i piedi nelle pantofole, le braccia nella veste da camera e si avvicinò al divano sul quale dormiva.
Sebbene Anatol’ e M.lle Bourienne non si fossero detti nulla, essi si erano capiti alla perfezione per quanto riguardava la prima parte del romanzo, ossia fino all’apparire della pauvre mère; avevano capito che bisognava dirsi molte cose in segreto e perciò fin dal mattino seguente cercarono l’occasione per vedersi da soli. Mentre la principessina, alla solita ora, si recava dal padre, M.lle Bourienne s’incontrava con Anatol’ nel giardino d’inverno.
Quel giorno la principessina Mar’ja si avvicinò con particolare trepidazione alla porta dello studio. Le sembrava che non soltanto tutti sapessero che quel giorno si decideva il suo destino, ma sapessero anche che lei ci pensava realmente. Leggeva quest’espressione sul volto di Tichon e del cameriere del principe Vasilij, che la incontrò nel corridoio mentre portava dell’acqua calda e le fece un profondo inchino.
Quella mattina il vecchio principe fu molto affettuoso e premuroso con la figlia. Ma la principessina Mar’ja conosceva benissimo quella sua espressione premurosa. Era l’espressione che appariva sul suo viso quando lei non capiva un problema aritmetico: allora le sue secche mani si stringevano a pugno per il disappunto, si alzava in piedi allontanandosi da lei e ripeteva più volte a voce bassa le stesse parole.
Egli affrontò subito la questione e le rivolse la parola dandole del voi.
«Mi hanno fatto una proposta a vostro riguardo,» disse, sorridendo in modo innaturale. «Voi, credo, avete intuito,» proseguì, «che il principe Vasilij è venuto qui e ha portato con sé il suo allievo (chissà perché il principe Nikolaj Andreeviè chiamava Anatol’ “allievo”) non certo per i miei begli occhi. Ieri mi hanno fatto una proposta a vostro riguardo. E, siccome voi conoscete le mie regole, io mi rimetto a voi.»
«Come devo intendere le vostre parole, mon père? » esclamò la principessina, arrossendo e impallidendo.
«Come “intendere”?» gridò adirato Nikolaj Andreeviè. «Il principe Vasilij ti trova di suo gusto come nuora e domanda la tua mano in nome del suo allievo. Ecco cosa c’è da “intendere”! Come sarebbe a dire, “intendere”? Sono io che domando a te.»
«Io non so come la intendiate voi, mon père,» mormorò in un bisbiglio la principessina.
«Io? io? Che cosa c’entro, io? Non vi preoccupate per me. Non sono io che devo sposarmi. Che ne pensate voi?
Ecco quello che occorre sapere.»
La principessina capiva che il padre non vedeva la cosa di buon occhio, ma in quel momento la colse il pensiero che il destino della sua vita si sarebbe deciso ora o mai. Abbassò gli occhi per non vedere quello sguardo sotto il cui influsso sentiva di non poter pensare, ma, per antica abitudine, soltanto sottomettersi, e disse:
«Io desidero soltanto una cosa: eseguire la vostra volontà; ma se dovessi esprimere il mio desiderio…»
Non riuscì a terminare. Il principe la interruppe.
«Benissimo, allora!» si mise a gridare. «Lui prenderà te e la tua dote, e per soprannumero si prenderà anche M.lle Bourienne. Quella sarà la moglie, e tu…»
Il principe si fermò. S’era accorto dell’impressione prodotta da queste parole sulla figlia. Essa aveva chinato il capo ed era sul punto di piangere.
«Suvvia, io scherzavo,» disse il principe. «Ricordati una cosa, principessina: io mi attengo alla regola secondo la quale una ragazza ha pieno diritto di decidere. Ti lascio libera. Ricordati una cosa sola: dalla tua decisione dipende la felicità della tua vita. Di me è inutile parlare.»
«Ma io non so… mon père.»
«C’è ben poco da dire! Lui ha ricevuto un ordine: non sposerebbe soltanto te, ma chiunque altra, mentre tu sei libera di scegliere… Va’ in camera tua e rifletti; fra un’ora vieni da me e dimmi sì o no, in presenza sua. So che ti metterai a pregare. E va bene, prega pure. Ma rifletti, piuttosto, è meglio. Va’, dunque, e pensaci. Sì o no, sì o no, sì o no!» gridò ancora il principe, mentre la principessina già usciva dallo studio barcollando come in una nebbia.
Il suo destino s’era deciso, e s’era deciso felicemente. Ma quell’allusione di suo padre a M.lle Bourienne, era orribile. Si poteva supporre che fosse una menzogna, ma era orribile egualmente, e lei non poteva fare a meno di pensarci. Camminava dritta attraverso il giardino d’inverno senza vedere e senza udire nulla, quando, a un tratto un bisbiglio, la familiare voce di M.lle Bourienne, la fece tornare in sé. Sollevò gli occhi e, a due passi da sé, vide Anatol’
che abbracciava la francese e le sussurrava qualcosa. Con un’espressione terribile sul suo bel viso, Anatol’ si volse verso la principessina Mar’ja e al primo istante non abbandonò la vita di M.lle Bourienne che non si era accorta di lei.
«Chi è là? Perché? Aspettate!» sembrava dire la faccia di Anatol’. La principessina Mar’ja li guardava senza proferir parola. Essa non poteva capire quel che vedeva. Alla fine la Bourienne lanciò un grido e scappò via. Con un allegro sorriso Anatol’ s’inchinò alla principessina Mar’ja come per invitarla a ridere di quello strano incidente e alzando le spalle si diresse verso la porta che metteva nel suo appartamento.
Un’ora dopo Tichon venne a chiamare la principessina Mar’ja. La invitava a recarsi dal principe, e aggiunse che anche il principe Vasilij Andreeviè era presente. Nel momento in cui Tichon era entrato, la principessina sedeva sul divano nella sua stanza; stringeva fra le sua braccia M.lle Bourienne in lacrime e le carezzava dolcemente il capo. I magnifici occhi della principessina, senza aver perduto la loro calma luminosità, guardavano con compassionevole amore il visetto grazioso di M.lle Bourienne.
« Non, princesse, je suis perdue pour toujours dans votre coeur» diceva M.lle Bourienne.
« Pourquoi? je vous aime plus que jamais,» diceva la principessina Mar’ja, « et je tâcherai de faire tout ce qui est en mon pouvoir pour votre bonheur.»
« Mais vous me méprisez, vous si pure, vous ne comprendrez jamais cet égarement de la passion. Ah, ce n’est que ma pauvre mère …»
« Je comprends tout,» rispondeva la principessina Mar’ja con un triste sorriso. «Calmatevi, mia cara. Vado da mio padre,» disse poi, e uscì dalla stanza.
Quando la principessina Mar’ja entrò nello studio il principe Vasilij sedeva con le gambe accavallate, la tabacchiera in una mano e il viso atteggiato a un sorriso commosso. Appariva oltremodo intenerito, un uomo che compatisce e ride per primo del proprio sentimentalismo. Si affrettò a portare al naso una presa di tabacco.
« Ah, ma bonne, ma bonne,» disse, alzandosi in piedi e prendendola per le due mani. Tirò un sospiro e continuò: « Le sort de mon fils est en vos mains. Décidez, ma bonne, ma chérie, ma douce Marie, que j’ai toujours aimée, comme ma fille.»
Il principe Vasilij si scostò. Negli occhi gli spuntò una lacrima vera.
«Frr… frr…» sbuffava il principe Nikolaj Andreeviè. «Il principe a nome del suo allievo… di suo figlio, ti fa una proposta di matrimonio. Vuoi o non vuoi diventare la moglie del principe Anatol’ Kuragin? Rispondi: sì o no!»
disse, quasi gridando, «poi io mi riservo il diritto di dire anche la mia opinione. Sì, la mia opinione e soltanto la mia opinione,» aggiunse il principe Nikolaj Andreeviè rivolgendosi al principe Vasilij e rispondendo alla sua espressione implorante. «Sì oppure no?»
«Il mio desiderio, mon père, è di non abbandonarvi mai, di non dividere mai la mia vita dalla vostra. Io non voglio sposarmi,» disse la principessina Mar’ja con decisione, fissando con i suoi magnifici occhi suo padre e il principe Vasilij.
«Assurdità, sciocchezze! Assurdo, assurdo, assurdo?» si mise a gridare il principe Nikolaj Andreeviè con la fronte aggrottata; prese per una mano la figlia, la trasse a sé, e senza baciarla ma semplicemente chinando la sua fronte verso quella di lei, gliela sfiorò, e strinse così forte la mano della principessina che questa fece una smorfia di dolore e gettò un grido.
Il principe Vasilij si alzò in piedi.
« Ma chère, je vous dirai que c’est un moment que je n’oublierai jamais, jamais; mais, ma bonne, est-ce que vous ne nous donnerez pas un peu d’espérance de toucher ce coeur si bon, si généreux. Dites que peut-être… L’avenir est si grand. Dites: peut-être…»
«Principe, quel che ho detto è tutto ciò che ho nel mio cuore. Vi ringrazio dell’onore, ma non sarò mai la moglie di vostro figlio.»
«Ebbene, la questione è chiusa, mio caro. Ad ogni modo sono molto lieto di averti visto, molto lieto davvero.
Va’ in camera tua, principessina, va’,» disse il vecchio principe. «Sì, sono proprio lieto di averti veduto,» ripeté abbracciando il principe Vasilij.
«La mia vocazione è un’altra,» pensava frattanto la principessina Mar’ja meditando su se stessa. «La mia vocazione sta nell’essere felice di un’altra felicità, della felicità nell’amore e nell’abnegazione. E, qualunque cosa mi costi, farò la felicità della povera Amélie. Essa lo ama di un amore così appassionato! E anche il suo rimorso è appassionato. Farò di tutto per combinare il matrimonio con lui. Se non è ricco, io gli darò i mezzi necessari; li chiederò a mio padre, li chiederò ad Andreij. Sarò felice quando lei sarà sua moglie. Lei è così sfortunata; è sola, straniera, senza nessuno che la aiuti! Dio mio, con quale passione lo ama, se ha potuto abbandonarsi così. Ma forse anch’io avrei fatto lo stesso!…» pensava la principessina Mar’ja.