PARTE QUINTA

I

Dopo il fidanzamento del principe Andrej e di Nataša, Pierre aveva sentito di colpo, senza alcun apparente motivo, che gli era impossibile continuare la vita di prima. Per quanto fosse fermamente convinto delle verità rivelategli dal suo benefattore, per quanta gioia gli avesse dato quel primo periodo pieno di entusiasmo per l’interiore lavorio di autoperfezionamento nel quale si era impegnato con tanto ardore, dopo il fidanzamento di Andrej e di Nataša e dopo la morte di Iosif Alekseeviè, del quale gli era giunta notizia quasi nello stesso tempo, a un tratto tutto il fascino della vita di prima per lui si era dileguato. Erano rimaste soltanto le fondamenta della vita: la sua casa e una moglie brillante, la quale ora godeva dei favori di un importante personaggio; le sue relazioni con tutta Pietroburgo e l’impiego con le sue noiose formalità. E questa vita di prima, di colpo apparve a Pierre in una luce detestabile. Smise di scrivere il suo diario, evitò la compagnia dei fratelli, ricominciò a frequentare il club e a bere molto, si riaccostò alla sua vecchia compagnia di scapoli e ritrovò un regime di vita che indusse Elena Vasil’evna a fargli una severa reprimenda. Sentendo che aveva ragione, per non compromettere sua moglie Pierre andò a Mosca.

Qui, non appena fu entrato nella sua immensa casa con le vecchie principesse sempre più avvizzite, e con la troppo numerosa servitù; non appena, attraversando la città, vide la cappella della Iverskaja con gli innumerevoli lumi delle candele davanti all’oro delle icone, la Piazza del Cremlino con la neve intatta, i vetturini di piazza e le catapecchie del Sivcev Vrašek; non appena vide i vecchi moscoviti che senza nulla desiderare e, senza aver mai fretta vivevano la loro vita, non appena vide le signore di Mosca, i balli di Mosca, il Club inglese di Mosca, ebbene, in quel momento si sentì a casa sua, in un approdo tranquillo. A Mosca si sentì sereno, soddisfatto, con un senso di calma, di consuetudine e di sporco simile a quello che si prova indossando una vecchia veste da camera.

Tutta la società moscovita, dalle vecchie ai bambini, accolse Pierre come un ospite da lungo tempo atteso, il cui posto era sempre pronto e tenuto a disposizione. Per l’alta società di Mosca Pierre era il più caro, il più buono, il più intelligente, il più allegro, il più generoso, il più stravagante, un signore di stampo antico, distratto e cordiale, un vero signore russo. Il suo borsellino era sempre vuoto perché si apriva sempre per tutti.

Rappresentazioni di beneficenza, brutti quadri, statue, associazioni benefiche, zingari, scuole, pranzi a sottoscrizione, orge, massoni, chiese, libri: a niente e a nessuno veniva opposto un rifiuto e, se non fosse stato per due amici che da lui avevano avuto in prestito molti denari e lo tenevano sotto controllo, egli avrebbe elargito tutto ciò che aveva. Al club non c’era un pranzo, non c’era una serata alla quale non partecipasse. Non appena si lasciava cadere al suo posto sul divano dopo due bottiglie di Margaux, subito veniva circondato da varie persone e cominciavano discorsi, discussioni, scherzi. Se qualcuno litigava, egli sapeva riportare l’accordo col suo buon sorriso e con una celia detta a proposito. Le logge conviviali massoniche erano noiose e fiacche quando lui mancava.

Quando, dopo una cena fra scapoli, cedendo alle preghiere dell’allegra compagnia Pierre si alzava col suo sorriso dolce e conciliante per uscire in slitta con gli altri, fra i giovani echeggiavano grida di gioia e d’entusiasmo. Ai balli ballava solo se mancavano i cavalieri. Le giovani signore e le signorine gli volevano bene perché non faceva la corte a nessuna; con tutte si mostrava egualmente gentile, soprattutto dopo cena.

« Il est charmant, il n’a pas de sexe,» dicevano di lui. Pierre era, insomma, uno di quei gentiluomini di corte a riposo che bonariamente campavano il resto della loro esistenza a Mosca, come ce n’erano a centinaia.

Avrebbe inorridito, sette anni prima, se qualcuno, quando era appena rientrato dall’estero, gli avesse detto che non aveva bisogno di cercare e di inventare nulla, che la sua vita già da tempo era tracciata, prestabilita e che, per quanto si desse da fare, non sarebbe stato diverso da altre persone in situazione analoga alla sua. Non sarebbe riuscito a crederci! Non era forse lui l’uomo che aveva desiderato con tutta l’anima instaurare la repubblica in Russia, e poi di essere ora Napoleone, ora un filosofo, ora uno stratega capace di sconfiggere Napoleone? Non era lui che aveva intuito la possibilità di rigenerare il corrotto genere umano e lo aveva desiderato con slancio appassionato, naturalmente dopo aver portato se stesso al massimo grado della perfezione? Non era stato lui a istituire scuole e ospedali, a concedere la libertà ai suoi contadini?

Ed ora, invece, ecco: era il facoltoso marito di una moglie infedele, un gentiluomo di corte a riposo al quale piaceva mangiare e bere e, dopo essersi sbottonata la giacca e messo a proprio agio, dire un po’ male del governo; era un socio del Club inglese di Mosca e il beniamino dell’alta società moscovita. Per molto tempo non aveva potuto rassegnarsi all’idea di essere proprio uno di quei gentiluomini di corte a riposo, esponente di quella stessa categoria che sette anni prima disprezzava così profondamente.

A volte gli accadeva di consolarsi pensando che conduceva solo provvisoriamente quel genere di vita; ma poi lo coglieva un altro pensiero, e lo atterriva: e cioè che altre persone prima di lui erano entrate provvisoriamente in quel circolo, con tutti i denti in bocca e i capelli in testa, e ne erano uscite senza più un dente e senza più un capello.

Nei momenti di orgoglio, allorché pensava alla propria situazione, gli sembrava di essere del tutto diverso, una persona singolare rispetto a quei gentiluomini di corte a riposo che un tempo disprezzava; si sforzava di pensare che quelli fossero stupidi e volgari, tranquilli e appagati della loro situazione; «mentre io anche adesso sono sempre scontento, voglio sempre fare qualcosa per l’umanità», si diceva in quei momenti d’orgoglio. «Ma forse anche costoro a suo tempo si sono battuti come me, hanno cercato una strada nuova nella vita e poi, né più né meno come me sono stati trascinati dalla forza del loro ambiente, della società, della razza, da quelle forze elementari contro le quali l’uomo è impotente,» ripeteva, invece, a se stesso nei momenti di umiltà; e dopo aver ripreso da un po’ di tempo la sua vita a Mosca ormai non disprezzava più ma cominciava ad amare, a stimare e a compatire, come faceva per se stesso, anche quei suoi compagni di sventura.

Non era più assalito, come prima, da momenti di disperazione, d’ipocondria e di ripugnanza per la vita, ma quella stessa malattia che prima si manifestava sotto forma di crisi acute, ora si era insinuata nel profondo del suo essere e non lo abbandonava per un istante. «A che scopo? Perché? Che cosa succede al mondo?» si domandava perplesso più volte al giorno; e senza volerlo prendeva a riflettere sul significato della vita. Ma sapendo per esperienza che queste domande non avevano risposta, si affrettava a distrarsi; prendeva un libro o correva al Club, oppure da Apollon Nikolaeviè a chiacchierare un po’ sui pettegolezzi della città.

«Elena Vasil’evna, che non ha mai amato nulla fuorché il suo corpo ed è una delle donne più stupide del mondo,» pensava Pierre, «appare agli occhi della gente come l’apice dell’intelligenza e della raffinatezza e davanti a lei tutti si inchinano. Napoleone Bonaparte è stato disprezzato da tutti finché era un grand’uomo, e ora, da quando è diventato un miserabile commediante, l’imperatore Franz briga per proporgli la figlia come concubina. Gli spagnoli innalzano preghiere a Dio per mezzo del clero cattolico in ringraziamento per la vittoria del 14 giugno sui francesi, e i francesi innalzano preghiere per mezzo dello stesso clero cattolico in ringraziamento di quella stessa vittoria del 14

giugno sugli spagnoli. I miei fratelli massoni giurano sul sangue di essere pronti a sacrificare tutto per il prossimo e non versano nemmeno un rublo alla colletta per i poveri, e intanto aizzano l’Astrea contro i Cercatori della Manna Celeste e brigano per il vero tappeto scozzese e per un atto il cui significato è ignoto perfino a chi lo ha scritto, e che non serve a nessuno. Tutti noi professiamo la legge cristiana del perdono delle offese e dell’amore per il prossimo, la legge in seguito alla quale abbiamo eretto a Mosca quaranta volte quaranta chiese e ieri è stato fustigato a morte un uomo che fuggiva e il ministro di quella stessa legge di perdono e di amore, il prete, prima dell’esecuzione ha dato da baciare la croce al soldato.»

Così pensava Pierre, e quella generale menzogna, da tutti riconosciuta, per quanto vi fosse abituato ogni volta lo sorprendeva come se fosse stata una cosa nuova. «Io comprendo questa menzogna e questa confusione,» pensava,

«ma come dir loro tutto ciò che comprendo? Ci ho provato e ho sempre constatato che, nel profondo dell’anima, loro comprendono le stesse cose che comprendo io, ma si sforzano di non vederle. E allora, vuol dire che bisogna fare così!

Io però dove vado a rifugiarmi?» pensava ancora Pierre. Egli sperimentava quell’infausta capacità di molti, e soprattutto fra i russi, di vedere e di credere nella possibilità del bene e della giustizia e di vedere nello stesso tempo troppo chiaramente il male e l’inganno per trovar la forza di fare qualcosa. Ogni campo di attività si associava, per lui, col male e con l’inganno. Qualunque cosa si provasse a essere, a qualunque cosa si accingesse, il male e la menzogna lo respingevano e gli impedivano ogni forma di attività. E, d’altra parte, bisognava pur vivere, bisognava pur occuparsi di qualcosa. Era terribile sentirsi oppresso dalla presenza di quei problemi insolubili ed egli si abbandonava alle distrazioni soltanto per dimenticarli. Frequentava tutte le compagnie possibili, beveva molto, comprava quadri e fabbricava case, ma, soprattutto, leggeva.

Leggeva tutto ciò che gli capitava sotto mano, e leggeva tanto che, quando rientrava a casa, mentre i servitori ancora gli stavano sfilando il cappotto, egli aveva già preso in mano un libro e leggeva; poi, dalla lettura passava al sonno e dal sonno alle chiacchiere nei salotti e al Club, dalle chiacchiere ai bagordi e alle donne, e dai bagordi ancora alle chiacchiere, alla lettura e al vino. Bere diventava per lui sempre più una necessità a un tempo fisica e morale.

Sebbene i medici gli dicessero che, data la sua corpulenza, il bere per lui era pericoloso, beveva moltissimo. Si sentiva bene soltanto quando, dopo aver rovesciato nella sua grande bocca, senza nemmeno accorgersene, parecchi bicchieri di vino, sentiva in corpo una gradevole sensazione di tepore, una lieta disposizione d’animo verso coloro che gli stavano vicino e un’inclinazione mentale a reagire superficialmente a ogni idea senza approfondirne la sostanza. Solo dopo aver bevuto un paio di bottiglie di vino confusamente si rendeva conto che quell’intricato, terribile nodo della vita, che dianzi lo aveva atterrito, non era poi terribile come gli era sembrato. Con un ronzio nel capo, chiacchierando, ascoltando le conversazioni o leggendo dopo il pranzo e la cena, scorgeva di continuo questo nodo sotto qualche suo aspetto. Ma soltanto quando era sotto l’effetto del vino si diceva: «Non è nulla. Questo è un nodo che scioglierò da me, ho già pronta la spiegazione. Ma adesso non è il momento, a questo penserò dopo!» E questo dopo, invece, non veniva mai.

A digiuno, la mattina, tutti i problemi di prima si ripresentavano irrisolti, terribili; Pierre allora si affrettava a prendere un libro, ed era tutto contento quando qualcuno veniva a fargli visita.

Talvolta ricordava di aver udito raccontare che in guerra i soldati, quando in trincea sono bersagliati dal fuoco nemico, non avendo niente da fare, cercano accanitamente un’occupazione qualsiasi per sopportare più facilmente l’immagine del pericolo. E a Pierre tutte le persone apparivano come dei soldati, che però cercavano scampo dalla vita: chi nell’ambizione, chi nel gioco, chi scrivendo leggi, chi nelle donne, chi nei giocattoli, chi nei cavalli, chi nella politica, chi nella caccia, chi nel vino, chi negli affari di Stato. «Non c’è nulla di insignificante, né d’importante, tutto è uguale; solo trovar scampo alla vita come meglio si può,» pensava Pierre. «Solo non veder la, lei, questa terribile vita

Guerra e Pace
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