III
L’imperatore di Russia, da più di un mese era di stanza a Vilno a far riviste e manovre. Nulla era pronto per la guerra che tutti si aspettavano, e per la cui preparazione l’imperatore era venuto appositamente da Pietroburgo. Non esisteva un piano generale d’azione. Le perplessità e le incertezze, circa il piano che doveva essere accettato, fra tutti quelli che venivano proposti, non avevano fatto che aggravarsi, dopo un mese di permanenza dell’imperatore al quartier generale. Ognuna delle tre armate aveva un proprio comandante in capo, ma un capo supremo di tutte le armate non c’era e l’imperatore non si decideva ad assumersi questa carica.
Quanto più l’imperatore insisteva a trattenersi a Vilno, tanto meno ci si preparava alla guerra, stanchi ormai di aspettarla. Si sarebbe detto che tutte le persone che circondavano il sovrano fossero impegnate soltanto a fargli passare piacevolmente il tempo, distogliendolo dal pensiero del conflitto imminente.
Dopo una serie di balli e festeggiamenti organizzati da magnati polacchi, dagli esponenti della corte e dallo stesso imperatore, verso la fine del mese, un generale polacco, aiutante di campo di Sua Maestà Imperiale, ebbe l’idea di dare una cena e un ballo in onore dell’imperatore, a cura dei generali suoi aiutanti. Il sovrano espresse il suo consenso.
Gli aiutanti generali raccolsero il denaro per sottoscrizione. Fu invitata a fungere da padrona di casa del ballo una certa persona, che più d’ogni altra poteva esser gradita all’imperatore. Il conte Bennigsen, latifondista della provincia di Vilno, propose di organizzare la festa nella sua casa fuori città e fu fissato il 13 giugno per il pranzo, il ballo, la passeggiata in barca e i fuochi d’artificio a Zakreta, come appunto era denominatala residenza di campagna del conte Bennigsen.
Lo stesso giorno in cui Napoleone aveva ordinato di passare il Niemen, e le sue avanguardie, respinti i cosacchi, avevano varcato la frontiera russa, Alessandro trascorreva la serata nella villa di Bennigsen, partecipando al ballo offerto dagli aiutanti generali.
Fu una lieta, brillantissima festa; gli intenditori affermavano che di rado si era vista una siffatta accolita di belle donne. Fra le altre signore russe che avevano seguito l’imperatore fino a Vilno, al ballo c’era la contessa Bezuchova, che con la sua pesante bellezza (cosiddetta russa), oscurava le raffinate dame di Polonia. Essa fu notata e l’imperatore la degnò di un ballo.
Era presente anche Boris Drubeckoj, en garçon, come diceva, poiché aveva lasciato sua moglie a Mosca.
Sebbene non fosse aiutante generale, anch’egli aveva partecipato alla sottoscrizione, contribuendo con una forte somma.
Adesso Boris era un uomo ricco, molto avanti sulla via degli onori, ormai non cercava più autorevoli protettori, ma si trovava su un piede di parità con i più altolocati fra i suoi coetanei. A Vilno aveva incontrato Hélène: non la vedeva da molto tempo né ormai voleva ricordarsi del passato; ma, siccome attualmente Hélène godeva dei favori di un personaggio molto importante e Boris era sposato da poco, s’erano subito affiatati come due vecchi amici.
A mezzanotte si ballava ancora. Hélène, che non aveva un cavaliere degno di lei, fu la prima a proporre una mazurka a Boris. Sedevano in attesa di entrare nel ballo come terza coppia. Boris, guardando impassibile le scintillanti spalle nude di Hélène che emergevano dall’abito scuro di tulle sparso di pagliuzze d’oro, le andava parlando delle antiche conoscenze, e nello stesso tempo, senza rendersene conto (né se ne accorgevano gli altri), non cessava un secondo di osservare l’imperatore, che si trovava in quella stessa sala. Sua Maestà non ballava: era in piedi sulla soglia e s’intratteneva ora con questa, ora con quella persona, ricorrendo a parole affabili che solo lui sapeva dire.
Al principio della mazurka Boris vide che l’aiutante generale Balašëv, uno degli intimi dell’imperatore, si era avvicinato mentre conversava con una signora polacca e si tratteneva accanto a lui in atteggiamento inusitato per un cortigiano. Sua Maestà smise di parlare con la signora, e lanciò a Balašëv, un’occhiata interrogativa, rendendosi conto che il contegno dell’aiutante era motivato da ragioni molto importanti. Pertanto fece un lieve cenno di scuse alla signora e si rivolse a Balašëv. Non appena quest’ultimo prese a parlare, lo stupore si dipinse sul volto dell’imperatore. Prese Balašëv sotto braccio e si avviò con lui attraverso la sala, aprendo senza rendersene conto un passaggio largo circa due metri davanti a sé, lasciato libero dalle persone che si scostavano al suo passaggio. Boris notò il viso turbato di Arakèeev, mentre l’imperatore camminava con Balašëv. Guardando di sottecchi l’imperatore e soffiando con il suo rosso naso, Arakèeev avanzò di tra la folla, quasi si aspettasse che il sovrano gli rivolgesse la parola. (Boris comprese che Arakèeev era invidioso di Balašëv e contrariato dal fatto che una notizia senza dubbio importantissima venisse trasmessa al sovrano per il tramite di un’altra persona.)
Ma l’imperatore e Balašëv, senza accorgersi di Arakèeev, passarono attraverso la porta d’ingresso nel giardino illuminato. Reggendo la sciabola e guardandosi attorno con rabbia, Arakèeev li seguiva a una ventina di passi di distanza.
Mentre Boris continuava a eseguire le figure di mazurka, era torturato da un pensiero incessante: quale notizia aveva recato Balašëv? E in che modo poteva essergli giunta prima che a ogni altro?
Nella figura in cui spettava a lui scegliere le dame, dopo aver bisbigliato a Hélène che intendeva prescegliere la contessa Potocka, che (così gli sembrava) era andata ad affacciarsi a un balcone, corse via sfiorando appena coi piedi il parquet e s’avviò verso la porta del giardino; poi, vedendo l’imperatore che ritornava verso la terrazza con Balašëv, si fermò. Il sovrano e Balašëv si diressero verso la porta. Con il moto frettoloso di chi non ha fatto in tempo a trarsi da parte, Boris si addossò rispettosamente allo stipite della porta e chinò il capo.
Con l’agitazione dell’uomo che ha subito un’offesa personale, l’imperatore stava finendo di pronunciare queste parole:
«Invadere la Russia senza dichiarazione di guerra! Acconsentirò a far la pace solo quando, sul suolo del mio paese non resterà un solo nemico armato!»
A Boris parve che l’imperatore provasse piacere nel pronunciare queste parole: era soddisfatto della forma in cui aveva formulato il suo pensiero, ma contrariato del fatto che Boris avesse udito.
«Che nessuno venga informato!» aggiunse l’imperatore, aggrottando la fronte.
Boris comprese che queste parole erano rivolte a lui. Chiuse gli occhi e chinò lievemente il capo. L’imperatore rientrò nel salone e si trattenne al ballo per un’altra mezz’ora.
Così Boris fu il primo a sapere che le truppe francesi avevano varcato il Niemen; e in virtù di questa circostanza ebbe modo di dimostrare ad alcuni personaggi importanti come sapesse molte cose a lui note e celate ad altri. Il che gli valse a salire ancora più nella considerazione di codesti personaggi.
L’inopinata notizia del passaggio del Niemen da parte delle truppe francesi era riuscita particolarmente inattesa dopo un mese di vana aspettativa; e tanto più durante un ballo! Al primo momento sotto l’effetto dell’indignazione e dell’oltraggio subito, l’imperatore aveva trovato quella frase più tardi diventata famosa, che a lui stesso era piaciuta ed esprimeva appieno i suoi sentimenti. Rientrato dal ballo, l’imperatore, alle due di notte, fece convocare il segretario Šiškov: gli dettò un proclama alle truppe e un rescritto per il feldmaresciallo principe Saltykov, nel quale esigeva formalmente che fossero inserite le parole secondo le quali egli non avrebbe fatto la pace fino a quando un francese in armi fosse rimasto in terra russa.
Il giorno dopo fu redatta la seguente lettera diretta a Napoleone:
« Monsieur mon frère. J’ai appris hier que malgré la loyauté avec laquelle j’ai maintenu mes engagements envers Votre Majesté, ses troupes ont franchis les frontières de la Russie, et je reçois à l’instant de Petersbourg une note par laquelle le comte Lauriston, pour cause de cette agression, annonce que Votre Majesté s’est considérée comme en état de guerre avec moi dès le moment où le prince Kourakine a fait la demande de ses passeports. Les motifs sur lesquels le duc de Bassano fondait son refus de les lui délivrer n’auraient jamais pu me faire supposer que cette démarche servirait jamais de prétexte à l’agression. En effect cet ambassadeur n’y a jamais été autorisé comme il l’a déclaré lui même, et aussitôt que j’en fus informé, je lui ai fait connaître combien je le désapprouvais en lui donnant l’ordre de rester à son poste. Si Votre Majesté n’est pas intentionnée de verser le sang de nos peuples pour un malentendu de ce genre et qu’elle consente à retirer ses troupes du territoire russe, je regarderai ce qui s’est passé comme non avenu, et un accomodement entre nous sera possible. Dans le cas contraire, Votre Majesté, je me verrai forcé de repousser une attaque que rien n’a provoquée de ma part. Il dépend encore de Votre Majesté d’éviter à l’humanité les calamités d’une nouvelle guerre.
Je suis, etc.
(signé) Alexandre. »