VIII
Napoleone fa il suo ingresso a Mosca dopo la sfolgorante vittoria de la Moscowa; sul fatto che si tratti di una vittoria non possono esserci dubbi, dato che il campo di battaglia resta in mano ai francesi. I russi si ritirano e abbandonano la capitale. Mosca, piena di viveri, di armi, di munizioni e di incalcolabili ricchezze, è nelle mani di Napoleone. L’esercito russo, due volte più debole di quello francese, per un mese intero non compie neppure un tentativo d’attacco. La situazione di Napoleone è delle più brillanti. Per gettarsi, con forze doppie, sui resti dell’esercito russo e annientarlo; per stipulare una pace vantaggiosa o, in caso, di rifiuto, avanzare minacciosamente su Pietroburgo; per tornare, magari, in caso di insuccesso, a Smolensk o a Vilna, o restarsene a Mosca; per conservare, insomma, la brillante situazione di cui godeva allora l’esercito francese, non sarebbe stata necessaria, si direbbe, una particolare genialità. Sarebbe bastato fare la cosa più semplice, più facile del mondo: non tollerare che le truppe si abbandonassero al saccheggio, preparare indumenti invernali (rintracciabili a Mosca in misura sufficiente per tutto l’esercito) e accumulare giudiziosamente le provviste, che a Mosca (secondo la testimonianza degli storici francesi) erano presenti in quantità bastevole a tutto l’esercito per almeno sei mesi. Napoleone, questo genio fra i geni, con il potere di cui disponeva, a quanto affermano gli storici, di manovrare a suo piacere l’esercito, non fece nulla di tutto questo.
Non solo non fece nulla di tutto questo, ma usò, al contrario, il suo potere per imboccare, fra tutte le vie d’azione che gli si offrivano, la più insensata e rovinosa. Fra tutti i partiti che Napoleone poteva prendere: svernare a Mosca, marciare su Pietroburgo, spostarsi a Nižnij-Novgorod, tornare indietro, verso nord o verso sud, lungo la strada che fu poi presa da Kutuzov, è difficile immaginare qualcosa di più insensato e rovinoso di quel che Napoleone fece: restare a Mosca fino all’ottobre, permettendo che le truppe saccheggiassero la città, e poi, incerto se lasciarvi o no una guarnigione, uscire da Mosca, avvicinarsi a Kutuzov, non dar battaglia, piegare sulla destra, arrivare fino a Malyj Jaroslaveè, sempre senza nemmeno tentare di aprirsi un varco, imboccare non già la strada presa poi da Kutuzov, ma andare indietro in direzione di Možajsk lungo la devastata strada di Smolensk. Qualcosa di più insensato, di più rovinoso per il suo esercito non si poteva escogitare, come dimostrarono poi le conseguenze. Ci si provino pure, i più consumati strateghi; provino pure, presupponendo che lo scopo di Napoleone fosse quello di portare alla rovina il suo esercito, a inventare un’altra sequela di azioni atta a provocare una rovina così completa di tutto l’esercito francese, con la stessa sicurezza e in modo così autonomo rispetto a qualsiasi possibile iniziativa delle truppe russe, come quella che riuscì a mettere in essere Napoleone.
Sì, il geniale Napoleone fece questo. Eppure, dire che Napoleone portò alla rovina il suo esercito perché così voleva, o perché era esageratamente stupido, sarebbe non meno ingiusto che dire che Napoleone portò le sue truppe fino a Mosca perché così aveva voluto, o che egli era particolarmente intelligente e geniale.
In un caso come nell’altro, la sua personale attività, non più efficace dell’attività personale di uno qualsiasi dei suoi soldati, si limitò a coincidere con le leggi secondo le quali il fenomeno s’andava compiendo.
Gli storici dicono assolutamente il falso quando (ispirandosi al fatto che le conseguenze non diedero ragione all’operato di Napoleone) ci parlano di un indebolimento delle energie di Napoleone durante la permanenza a Mosca.
Egli mise in opera, nel 1813, esattamente come in occasioni precedenti e anche successive, tutte le sue capacità e le sue forze per fare il meglio che potesse sia per se stesso che per il suo esercito. L’attività di Napoleone, in quel periodo, non fu meno stupefacente che in Egitto, in Italia, in Austria e in Prussia. Noi non sappiamo con certezza fino a che punto sia il caso di credere alla genialità spiegata da Napoleone in Egitto, dove quaranta secoli contemplarono la sua grandezza, giacché tutte quelle mirabolanti imprese ci son state descritte unicamente dai francesi. Noi non possiamo giudicare con certezza della genialità da lui dimostrata in Austria e in Prussia, giacché dobbiamo attingere ogni testimonianza su ciò ch’egli fece laggiù da fonti francesi e tedesche e, d’altra parte, l’incomprensibile resa di interi corpi d’armata, catturati senza colpo ferire, e di fortezze cadute senza assedio, induce per forza di cose i tedeschi a vedere nella sua genialità l’unica spiegazione della guerra svoltasi in Germania. Ma noi, grazie a Dio, non abbiamo alcun bisogno di esaltare la sua genialità per coprire la nostra vergogna. Abbiam pagato caro per avere il diritto di guardare ai fatti in modo semplice e diretto, e a questo diritto non vorremo certo rinunciare.
L’attività di Napoleone a Mosca fu non meno stupefacente e geniale che in qualsiasi altro luogo. Dal momento del suo ingresso a Mosca a quello della sua partenza, ordini su ordini, piani su piani scaturiscono senza posa dalla sua mente. L’assenza degli abitanti, la mancanza di una deputazione, lo stesso incendio di Mosca sembrano non turbarlo.
Non perde di vista né il benessere del suo esercito, né le mosse del nemico, né il benessere della popolazione russa, né il controllo degli affari di governo a Parigi, né le prospettive diplomatiche delle imminenti trattative di pace.