XX

 

La mattina del 25 Pierre partì da Možajsk. Lungo la grande discesa ripida e tortuosa che conduceva fuori di città, passando vicino a una cattedrale che si ergeva a destra e dove si celebrava una funzione e le campane suonavano, Pierre scese dalla vettura e proseguì a piedi. Alle sue spalle, ancora in cima all’altura discendeva un reggimento di cavalleria, con i cantori in testa. In senso contrario saliva un convoglio di carri pieno di feriti del combattimento del giorno prima. I contadini che conducevano i carri incitavano i cavalli facendo schioccare le fruste, e correvano da un lato all’altro della strada. I carri, sui quali giacevano o erano seduti a tre o quattro i soldati feriti, sobbalzavano sui ciottoli sparpagliati qua e là lungo la ripida salita a guisa di massicciata. I feriti, bendati da stracci, pallidi, con le labbra serrate e le sopracciglia aggrottate, reggendosi con le mani alle sponde, sobbalzavano e si urtavano fra loro dentro le carrette. Quasi tutti guardarono con ingenua curiosità infantile il cappello bianco e il frac verde di Pierre.

Il cocchiere di Pierre gridava rabbioso contro il convoglio dei feriti che si tenesse da una parte della strada. Il reggimento di cavalleria coi cantori, calando a valle, raggiunse la carrozza di Pierre e ostruì la strada. Pierre si fermò, addossandosi al margine della strada scavato nella collina. Dall’alto della scarpata il sole non penetrava nell’infossatura della strada: lì c’era freddo e umido; al di sopra di Pierre, invece, sfavillava la mattinata d’agosto, e si diffondeva gioiosamente il suono delle campane. Un carro di feriti si fermò al margine della strada proprio accanto a Pierre. Il carrettiere in lapti accorse, trafelato, verso il suo carro, ficcò una pietra sotto le ruote posteriori senza cerchioni e si mise a riassestare l’imbraca al piccolo cavallo che si era impuntato.

Un vecchio soldato ferito, con il braccio bendato, che camminava dietro il carro, s’appoggiò a questo con il braccio sano e si voltò verso Pierre.

«Di’ un po’, paesano, ci fanno fermare qua, eh? O ci portano a Mosca?» disse.

Pierre era così assorto nei suoi pensieri, che non udì la domanda. Ora guardava quel reggimento di cavalleria che sfilava in senso contrario al convoglio dei feriti; ora il carro presso cui si trovava e sul quale c’erano due feriti seduti e uno sdraiato, e gli pareva che, proprio in costoro stesse la soluzione del problema che lo assillava. Uno dei feriti seduti sulla carretta era stato probabilmente colpito a una guancia. Aveva la testa fasciata di cenci e una guancia gonfia come una testa di bambino. Il naso e la bocca erano spostati da un lato. Questo soldato guardava la cattedrale, si faceva il segno della croce. L’altro, un ragazzo ancora giovane, una recluta, biondo e bianco come se non avesse una goccia di sangue nel viso smunto, guardava Pierre con un sorriso incantato e buono; il terzo giaceva bocconi e la faccia non gli si vedeva. I cantori a cavallo passarono proprio di fianco al carro.

«Ah, è andata alla malora … la testa di riccio… E pur in terra straniera vivendo …» scandivano, a tempo di danza, una canzone soldatesca.

Come facendogli eco, ma con un altro genere di allegria, in alto si diffondevano i suoni metallici delle campane. E, in un genere di allegria ancora diverso, sulla cima della scarpata antistante, si diffondevano gli ardenti raggi del sole. Ma sotto la scarpata, vicino alla carretta con i feriti, vicino al piccolo cavalluccio ansimante, che Pierre aveva a fianco, tutto era umido, ombroso e triste.

Il soldato con la guancia gonfia guardò con stizza i cantori a cavallo. «Ah, che elegantoni!» mormorò con tono di rimprovero.

«Oggi non ho visto solamente soldati, ma anche contadini! Mandano anche i contadini in guerra!» disse, con un triste sorriso, il soldato che stava dietro il carro, rivolgendosi a Pierre. «Oggi non stanno tanto a guardare… Vogliono darci dentro con tutto il popolo… insomma, Mosca. Vogliono farla finita, una buona volta.»

Nonostante la poca chiarezza delle parole del soldato, Pierre comprese tutto ciò che voleva dire e annuì in segno d’approvazione col capo.

La strada si sgombrò e Pierre, percorsa tutta la discesa, salì in carrozza e proseguì oltre.

Pierre procedeva, dando occhiate ai due lati della strada, in cerca di visi conosciuti, ma dovunque, non incontrava altro che sconosciute facce militari, appartenenti a tutte le armi dell’esercito, che, tutte con lo stesso stupore, si voltavano a guardare il suo cappello bianco e il suo frac verde.

Soltanto dopo quattro verste, gli capitò di incontrare la prima persona di sua conoscenza e, rallegrandosi, gli rivolse la parola. Questo suo conoscente era uno dei medici militari di più alto grado. Procedeva verso Pierre in calesse, seduto a fianco di un giovane medico e, riconosciuto Pierre, fece cenno di fermarsi al suo cosacco, seduto a cassetta al posto del cocchiere.

«Conte! Eccellenza, come mai voi qui?» domandò il dottore.

«Be’, ecco, volevo vedere…»

«Già, già, ce n’è da vedere…»

Pierre scese e si fermò a discorrere con il dottore, spiegandogli la sua intenzione di prender parte alla battaglia.

Il dottore consigliò Bezuchov di rivolgersi direttamente al comandante in capo.

«Perché trovarvi Dio sa dove durante la battaglia, sconosciuto fra estranei?» esclamò, scambiando un’occhiata con il suo giovane collega. «Il comandante in capo vi conosce e vi accoglierà benevolmente. Fate dunque così batjuška,» concluse il dottore.

Il dottore pareva stanco e indaffarato.

«Allora, voi pensate che… Ma, a proposito, volevo domandarvi ancora una cosa: dov’è, precisamente, la nostra posizione?» disse Pierre.

«La nostra posizione?» ribatté il dottore. «Non è una cosa che io possa sapere. Oltrepassate Tatarinovo: là stanno a scavare a tutto spiano… E, quando sarete là, salite sul tumulo: di lassù c’è una buona veduta,» aggiunse.

«E di là si vede bene?… Se voi…»

Ma il dottore lo interruppe e si avviò verso il calesse:

«Vi accompagnerei io, ma in nome di Dio, ne ho fin qui - e il dottore si fece segno alla gola - sto correndo dal comandante del corpo d’armata. Vedete come vanno le cose da noi?… Sapete, conte, domani ci sarà battaglia: con centomila soldati, dobbiamo calcolare, almeno, ventimila feriti. E noi, invece, non abbiamo né barelle, né brande, né infermieri, né medici neanche per seimila uomini. Ci sono diecimila carrette, ma ci vuole anche dell’altro. Fate un po’

come vi pare…»

La strana idea che, fra quelle migliaia di uomini, pieni di vita e di salute, giovani e vecchi, che guardavano con gaio stupore il suo cappello, ce n’erano sicuramente ventimila già condannati alla morte e alle ferite (e forse proprio gli stessi che lui aveva visto), colpì Pierre.

«Domani forse loro moriranno: come fanno a pensare a qualcosa di diverso dalla morte?» E a un tratto, per una certa misteriosa associazione di idee, gli tornò viva alla mente quella discesa giù dall’altura di Možajsk, le carrette cariche di feriti, lo scampanio, i raggi obliqui del sole e la canzone dei soldati di cavalleria.

«Quei soldati di cavalleria vanno in battaglia e incontrano i feriti e non riflettono, neanche un momento, a ciò che li attende, ma passano davanti ai feriti e gli strizzano l’occhio. E di questi uomini, ventimila sono condannati a morire e si meravigliano del mio cappello! È strano!» pensava Pierre, procedendo verso Tatarinovo.

Davanti alla casa di un possidente, sul lato sinistro della strada, erano ferme carrozze, furgoni, gruppi di attendenti e sentinelle. Lì vi aveva preso alloggio il comandante in capo. Ma, nel momento in cui arrivò Pierre, egli non c’era e non c’era quasi nessuno dello stato maggiore. Tutti erano alla funzione religiosa. Pierre proseguì in avanti, verso Gorki.

Giunto all’estremità della salita, all’entrata della piccola via del villaggio, Pierre vide per la prima volta i contadini delle milizie con la croce sui berretti e le camicie bianche, che con un gran vocio e fra grandi risate, eccitati e sudati, lavoravano a destra della strada su un enorme tumulo di terra ricoperto d’erba. Alcuni scavavano con le pale il monte; altri passando su tavole, portavano via la terra dentro carriole; altri ancora stavano lì in piedi senza far nulla.

Due ufficiali erano in piedi sul tumulo e impartivano ordini. Vedendo quei contadini, che evidentemente si divertivano della loro condizione militare, per essi ancora nuova, Pierre si ricordò di nuovo dei feriti incontrati a Možajsk, e allora comprese chiaramente che cosa intendeva dire il soldato con le parole: vogliono darci dentro con tutto il popolo. La vista di quei contadini barbuti che lavoravano sul campo di battaglia, con i loro strani, goffi stivaloni, il collo sudato, e qualcuno con il colletto della camicia sbottonato e aperto di sbieco, che lasciava scorgere le ossa abbronzate delle clavicole, fece sentire a Pierre più profondamente di tutto quello che aveva visto e udito sino allora il carattere di solennità e l’importanza di quel momento.

Guerra e Pace
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