XIII
Poco dopo le feste Nikolaj rivelò alla madre il suo amore per Sonja e la sua ferma intenzione di sposarla. La contessa, che da gran tempo si era accorta di quanto accadeva fra Sonja e Nikolaj e si aspettava questa spiegazione, ascoltò in silenzio le parole del figlio e gli disse che egli era libero di sposarsi con chi voleva, ma che né lei, né suo padre avrebbero dato la loro benedizione a un simile matrimonio. Per la prima volta Nikolaj sentì che sua madre era malcontenta di lui; che, nonostante il suo amore per lui, non avrebbe ceduto. Freddamente e senza guardare il figlio, ella mandò a chiamare il marito: quando il conte l’avesse raggiunta, era sua intenzione comunicargli la notizia in tono breve e asciutto, e alla presenza di Nikolaj; ma hon seppe dominarsi: pianse lacrime di stizza e uscì dalla stanza. Il vecchio conte in tono irresoluto si provò a far intendere ragione a Nikolaj e a pregarlo di rinunciare al suo proposito; ma Nikolaj rispose che non poteva tradire la parola data, e il padre, evidentemente turbato, sospirando, troncò quasi subito il discorso e andò dalla contessa. In tutti i suoi scontri col figlio, il padre non era mai abbandonato dalla consapevolezza del proprio torto nei suoi confronti, a causa del grave dissesto delle loro finanze; pertanto non poteva inquietarsi col figlio a causa del suo rifiuto di sposare una fanciulla ricca, e per la scelta di Sonja, la quale non aveva dote; la circostanza valeva solo a ricordargli in modo ancor più vivo che, se la loro situazione economica fosse stata diversa, Nikolaj non avrebbe potuto desiderare una moglie migliore di Sonja e che la colpa del loro crollo finanziario non era d’altri che sua, di Miten’ka e delle sue inveterate abitudini.
I genitori non tornarono più sull’argomento col loro figliolo, ma alcuni giorni dopo la contessa chiamò Sonja e, con una crudeltà che né l’una né l’altra si aspettavano, accusò la nipote di aver adescato Nikolaj e di essere un’ingrata.
Sonja ascoltò in silenzio e a occhi bassi le crudeli parole della contessa, ma non riuscì a capire che cosa volesse da lei.
Era disposta a sacrificare tutto per i suoi benefattori. Il sacrificio di se stessa era il suo ideale prediletto, ma in questo caso non riusciva a capire per chi dovesse sacrificarsi e che cosa dovesse sacrificare. Non poteva non voler bene alla contessa e a tutta la famiglia Rostov, ma non poteva nemmeno rifiutarsi di amare Nikolaj e non sapere che anche la felicità di Nikolaj dipendeva da quell’amore. Se ne stava lì, muta e afflitta, senza dire una parola.
Nikolaj non poté, o credette di non poter sopportare oltre quella situazione e andò a spiegarsi con sua madre.
Ora la supplicava di perdonare lui e Sonja e di acconsentire al matrimonio, ora la minacciava, dicendo che, se avessero continuato ad avversare Sonja, lui l’avrebbe immediatamente sposata in segreto. Con una freddezza che il figlio in lei non aveva mai visto, la contessa gli rispose che era maggiorenne, che il principe Andrej si sposava senza il consenso del padre e che lui poteva fare altrettanto, ma che lei non avrebbe mai considerato come una figlia quella intrigante.
Esacerbato dalla parola intrigante, Nikolaj alzò la voce. Disse che non avrebbe mai pensato che sua madre potesse indurlo a vendere i propri sentimenti e, che se così stavano le cose, lui le diceva per l’ultima volta…
Ma non fece in tempo a dire quella parola decisiva che, a giudicare dall’espressione del suo viso, la madre si aspettava con terrore, e che forse sarebbe rimasta per sempre a dividerli con quel crudele ricordo. Non fece in tempo a dirla, perché Nataša entrò, col volto pallido e contratto dalla porta dietro la quale era in ascolto.
«Nikolen’ka, stai dicendo delle sciocchezze, taci, sta’ zitto. Ti ho detto di star zitto!…» gridò quasi, per soffocare la sua voce.
«Mamma, tesoro, non è affatto per questo… povera mamma,» disse poi, rivolgendosi a sua madre che, sentendo imminente una rottura, guardava con spavento il figlio, ma, trascinata dall’ostinazione e dallo slancio della lotta, non voleva e non poteva arrendersi.
«Nikolen’ka, ti spiegherò io, adesso va’… E voi ascoltate, mamma cara,» aggiunse.
Le sue parole erano senza senso, ma raggiunsero il risultato che lei sperava.
La contessa, scoppiando in pesanti singhiozzi, cercò rifugio nascondendo il volto nel seno della figlia; Nikolaj si alzò e, prendendosi la testa fra le mani, uscì dalla stanza.
Nataša ottenne la riconciliazione, e portò le cose al punto che Nikolaj ottenne da sua madre la promessa che Sonja non avrebbe sofferto; Sonja, da parte sua, promise di non ordire nulla di nascosto dal conte e dalla contessa.
Triste e pensieroso, in disaccordo coi genitori, ma, almeno così gli sembrava, appassionatamente innamorato, Nikolaj al principio di gennaio partì per il reggimento con la ferma intenzione di mettersi in congedo subito dopo aver sistemato i suoi affari militari, e di sposare Sonja.
Dopo la partenza di Nikolaj casa Rostov fu più triste che mai. La contessa si ammalò di depressione nervosa.
Sonja era triste, sia per la lontananza di Nikolaj, sia soprattutto per il tono ostile col quale la contessa la trattava suo malgrado. Il conte era più che mai preoccupato dalla brutta situazione delle sue finanze: ormai era necessario prendere provvedimenti decisivi. Si sarebbe dovuto vendere la casa di Mosca e quella dei dintorni, e a questo proposito occorreva appunto tornare a Mosca. Ma la salute della contessa costringeva a rimandare di giorno in giorno la partenza.
Nataša, che aveva sopportato con facilità e perfino lietamente il primo periodo di separazione dal suo fidanzato, adesso diventava ogni giorno più ansiosa e impaziente. Era tormentata senza posa dal pensiero che andasse perduto così per niente, per nessuno, il suo periodo migliore, che lei avrebbe voluto invece impiegare per amare lui. Le lettere del principe Andrej il più delle volte la irritavano. Era irritante, per lei, pensare che, mentre ella viveva soltanto del pensiero di lui, egli invece viveva una vita piena, vedeva luoghi nuovi, persone nuove, che lo occupavano e lo interessavano. Quanto più interessanti erano le sue lettere, tanto più lei ne era indispettita. Le lettere che lei gli scriveva non soltanto non le davano conforto, ma le sembravano l’adempimento artificioso di un dovere. Non sapeva scrivere, perché non riusciva a concepire la possibilità di esprimere con sincerità, in una lettera, anche solo una minima parte di quanto lei era abituata a esprimere a voce, col suo sorriso e col suo sguardo. Scriveva a Andrej delle lettere uniformi, aride, compassate, alle quali lei per prima non attribuiva alcun significato: la contessa sulle minute le correggeva gli errori di ortografia.
La salute della contessa non migliorava, ma non era più possibile rinviare ancora il viaggio a Mosca.
Bisognava fare il corredo, bisognava vendere la casa, e inoltre il principe Andrej era atteso dapprima a Mosca, dove quell’inverno viveva il principe Nikolaj Andreiè, e dove Nataša era convinta che fosse già arrivato.
La contessa rimase in campagna e il conte, prendendo con sé Sonja e Nataša, alla fine di gennaio partì per Mosca.