IX
Come sempre, anche allora l’alta società, che si trovava riunita a corte e ai grandi balli, si suddivideva in vari circoli ognuno dei quali presentava una sua sfumatura particolare. Il più numeroso fra questi era il circolo francese, cioè dei favorevoli all’alleanza con Napoleone, che faceva capo al conte Rumjancov e a Caulaincourt. In questo circolo uno dei posti più in vista, da quando ella si era stabilita a Pietroburgo col marito, era tenuto da Hélène. Da lei si recavano i signori dell’ambasciata francese e un gran numero di persone note per la loro intelligenza e cortesia, che appartenevano a quella corrente.
Hélène si era trovata a Erfurt all’epoca del celebre incontro tra i due imperatori e di là aveva recato quelle relazioni con tutte le celebrità napoleoniche d’Europa. A Erfurt aveva avuto un magnifico successo personale.
Napoleone in persona, notandola a teatro, aveva detto: « C’est un superbe animal.» Il suo successo di donna bella ed elegante non aveva sorpreso Pierre, perché col passare degli anni lei era diventata ancora più bella di prima. Ma ciò che lo stupiva era il fatto che in quei due anni sua moglie fosse riuscita ad acquistare la reputazione d’une femme charmante, aussi spirituelle que belle. Il celebre prince de Ligne le scriveva lettere di otto pagine. Bilibin teneva in riserbo i suoi mots per dirli la prima volta in presenza di Hélène. Essere ricevuti nel salotto della contessa Bezuchova era considerato un diploma d’intelligenza; i giovani leggevano dei libri prima delle serate da Hélène per parlarne poi nel suo salotto e i segretari d’ambasciata e perfino gli ambasciatori le confidavano i segreti diplomatici, sicché Hélène era, in certo qual modo, una potenza. Pierre, che sapeva quanto Hélène fosse stupida, a volte presenziava con una strana sensazione di perplessità e di timore alle sue serate e ai suoi pranzi, dove si parlava di politica, di poesia e di filosofia. A queste serate provava la stessa sensazione che, verosimilmente, prova un prestigiatore il quale ogni volta si aspetta che da un momento all’altro i suoi trucchi vengano scoperti. Ma, fosse perché per tenere un salotto del genere occorre proprio la stupidità, fosse perché gli stessi ingannati traevano piacere dall’inganno stesso, l’inganno non veniva scoperto e la reputazione di femme charmante et spirituelle si consolidò in forma così definitiva attorno alla persona di Hélène Vasil’evna Bezuchova, che ella poteva dire le più grosse banalità, le più emerite sciocchezze e tutti egualmente si entusiasmavano di ogni sua parola e vi cercavano significati profondi che lei non aveva nemmeno sospettato.
Pierre era appunto il marito che occorreva a quella brillante donna di mondo. Era lo stravagante distratto, il marito grand seigneur che non dava fastidio a nessuno; e non soltanto non sciupava l’atmosfera generale d’alto tono del salotto, ma, in virtù del contrasto che produceva con l’eleganza e il garbo della moglie, creava uno sfondo a lei molto vantaggioso. In conseguenza del suo denso e costante occuparsi di interessi immateriali e al suo sincero disprezzo per tutto il resto, in quegli ultimi due anni Pierre aveva assunto, nell’ambiente di sua moglie che non lo interessava, quel tono d’indifferenza, di noncuranza e di condiscendenza verso tutti che non si può acquisire con l’artificio e che, chissà perché, suscita un involontario rispetto. Entrava nel salotto di sua moglie come se fosse entrato in un teatro: conosceva tutti, con tutti si mostrava egualmente lieto e verso tutti era egualmente indifferente. A volte s’immischiava in una conversazione che lo interessava, e allora, senza considerare se fossero presenti o meno les messieurs de l’ambassade, esprimeva balbettando le sue opinioni che talvolta apparivano del tutto inadatte alla circostanza. Ma l’opinione comune sullo stravagante marito de la femme la plus distinguée de Pétersbourg era ormai così radicata, che nessuno prendeva aux sérieux le sue uscite.
Fra i molti giovani che frequentavano ogni giorno il salotto della contessa, Boris Drubeckoj, che aveva già conseguito molti successi nella sua carriera, dopo il ritorno di Hélène da Erfurt, era diventato la persona più intima di casa Bezuchov. Hélène lo chiamava mon page e lo trattava come un bambino. Il suo sorriso che gli rivolgeva era lo stesso che riservava a tutti, ma a volte a Pierre riusciva sgradevole vedere quel sorriso. Boris trattava Pierre con un rispetto particolare, dignitoso e triste. Anche questa sfumatura di rispetto inquietava Pierre. Egli aveva così sofferto, tre anni prima, per l’offesa fattagli, che ora si sottraeva alla possibilità stessa di un’offesa simile, anzitutto col non essere il marito di sua moglie, e poi col non permettersi di nutrire dei sospetti.
«No, adesso che è diventata una bas bleu, ha rinunciato per sempre ai divertimenti di una volta,» diceva a se stesso. «Non si è mai dato l’esempio di una bas bleu che avesse degli affari di cuore,» ripeteva a se stesso, credendo fermamente a questa regola presa chissà da dove. Ma, strana cosa, la presenza di Boris nel salotto della moglie (ed egli vi si trovava quasi in permanenza) produceva una sorta di effetto fisico su Pierre: gli legava le membra, distruggeva l’inconscia spontaneità e la libertà dei suoi movimenti.
«Che strana antipatia,» pensava Pierre; «e pensare che prima mi piaceva tanto.»
Agli occhi del mondo Pierre era un gran signore, il marito un po’ cieco e un po’ ridicolo di una donna celebre, uno stravagante intelligente che non faceva nulla, ma nemmeno faceva del male a nessuno, un bravo e buon ragazzo. E, invece, nell’anima di Pierre in tutto questo periodo si andava operando un complesso e difficile lavorio di sviluppo interiore, che gli rivelava molte cose e lo portava a molti dubbi e a molte gioie spirituali.
X
Pierre continuava il suo diario, ed ecco che cosa vi aveva scritto in quel periodo: 24 novembre
Mi sono alzato alle otto, ho letto le Sacre Scritture, poi sono andato nel mio ufficio (per consiglio del suo benefattore Pierre aveva preso servizio in uno dei comitati), sono tornato per pranzo, ho pranzato da solo (la contessa aveva molti ospiti che mi sono antipatici), ho mangiato e bevuto moderatamente e, dopo pranzo, ho ricopiato delle carte per i confratelli. La sera sono sceso dalla contessa e ho raccontato una buffa storiella sul conto di B., e mi sono ricordato che non dovevo farlo quando tutti ormai già ridevano forte.
Vado a dormire con l’animo felice e tranquillo. Signore, aiutami a camminare sulle Tue vie. Aiutami: 1) a vincere la collera con la dolcezza e la pazienza, 2) a vincere la libidine con l’astinenza e la ripugnanza; 3) ad allontanarmi dalle vanità, senza tuttavia estraniarmi: a) dagli affari di stato connessi al mio servizio, b) dalle cure familiari, c) dalle relazioni d’amicizia, d) dagli interessi economici.
27 novembre
Mi sono alzato tardi e, ormai sveglio, sono rimasto a lungo a letto cedendo alla pigrizia. Dio mio! Aiutami e dammi forza perché possa camminare per le Tue strade. Ho letto le Sacre Scritture, ma senza il dovuto sentimento. È
venuto il fratello Urusov, abbiamo parlato delle vanità del mondo. Mi ha raccontato dei nuovi progetti dell’imperatore.
Io ero già sul punto di criticarli, ma mi sono ricordato delle regole, e delle parole del nostro benefattore secondo le quali un vero massone dev’essere attivo e deve svolgere una diligente attività nello stato quando è richiesta la sua partecipazione e un tranquillo spettatore di ciò a cui non è chiamato. La mia lingua è il mio nemico. Mi hanno fatto visita i fratelli G.V. e O., e abbiamo avuto una conversazione preparatoria per l’ammissione di un nuovo fratello. Mi hanno assegnato l’incarico di retore. Mi sento debole e indegno. Poi il discorso è caduto sulla spiegazione delle sette colonne e gradini del tempio. Sette scienze, sette virtù, sette vizi, sette doni dello Spirito Santo. Il fratello O. era molto eloquente. La sera si è svolta la cerimonia dell’accettazione. La nuova sistemazione del locale ha contribuito molto alla magnificenza dello spettacolo. È stato ammesso Boris Drubeckoj. L’ho proposto io, ero io il retore. Uno strano sentimento mi ha agitato per tutto il tempo in cui sono rimasto con lui nel tempio buio. Mi sono sorpreso a provare per lui un sentimento di odio che invano mi sforzo di superare. Avrei voluto poter sinceramente desiderare di salvarlo dal male e portarlo sulla via della verità, ma al tempo stesso i pensieri malevoli su di lui non mi abbandonavano. Mi veniva da pensare che lui entrasse nella confraternita col solo scopo di conoscere nuove persone, di trovar favori presso coloro che fanno parte della nostra loggia. Però, oltre ai sospetti in questo senso, dovuti al fatto che lui ha chiesto più di una volta se N. e S. non facevano parte della nostra loggia (domanda alla quale non potevo rispondere), e al fatto che lui, secondo le mie osservazioni, non è capace di provare un vero sentimento di rispetto per il nostro santo ordine ed è troppo occupato e soddisfatto della sua personalità esteriore per desiderare un miglioramento della sua personalità spirituale, non avevo fondamenti per dubitare di lui; eppure mi sembrava insincero, e per tutto il tempo che sono rimasto a tu per tu con lui nel tempio buio, mi è sembrato che lui sorridesse sprezzante alle mie parole, tanto che avrei voluto trafiggerlo realmente con la spada che tenevo puntata contro il suo petto nudo. Non potevo essere eloquente e non potevo nemmeno comunicare schiettamente il mio dubbio ai fratelli e al gran maestro. Grande Architetto della natura, aiutami a trovare le vere vie che portano fuori dal labirinto della menzogna.
A questo punto nel diario erano saltate tre pagine; poi vi era scritto quanto segue: Ho avuto una lunga e istruttiva conversazione a quattr’occhi con il fratello V., che mi ha consigliato di affidarmi al fratello A. Molte cose mi sono state rivelate, anche se non ne sono degno. Adonai è il nome di chi ha creato il mondo. Eloim è il nome di chi governa tutto. C’è un terzo nome, un nome che non può essere pronunciato; che ha il significato di Tutto. Le conversazioni con il fratello V. mi fortificano, mi rinnovano e mi confermano sulla strada della virtù. Con lui non c’è posto per il dubbio. Mi è chiara la differenza che sussiste fra la povera dottrina delle scienze sociali e la nostra sacra dottrina, santa, che tutto abbraccia. Le scienze umane suddividono tutto, per riuscire a comprendere uccidono tutto. Nella sacra scienza dell’ordine tutto è uno, tutto si va conoscendo nel suo complesso e nella vita. La trinità consiste dei tre principi delle cose: zolfo, mercurio e sale. Lo zolfo è della qualità dell’olio e del fuoco; è in associazione con il sale, con la sua proprietà ignea vi eccita la sete, mediante la quale attira il mercurio, lo afferra, lo trattiene e insieme con esso dà luogo ai vari corpi. Il mercurio è una liquida, volatile essenza spirituale: Cristo, lo Spirito Santo, Lui.
3 dicembre
Mi sono svegliato tardi, ho letto le Sacre Scritture ma sono rimasto insensibile. Poi sono uscito e ho passeggiato nel salone. Volevo meditare e invece l’immaginazione mi rappresentava un fatto accaduto quattro anni fa.
Incontratomi a Mosca dopo il duello, il signor Dolochov mi disse che sperava che adesso godessi d’una piena tranquillità spirituale, nonostante l’assenza di mia moglie. Allora non risposi nulla. Adesso ho ricordato tutti i particolari di quell’incontro e in cuor mio ho detto a Dolochov le parole più astiose, le risposte più pungenti. Sono tornato in me e ho abbandonato questo pensiero soltanto quando mi sono reso conto d’essere in preda a un accesso di rabbia: ma di questo non mi sono abbastanza pentito. Dopo è venuto Boris Drubeckoj, e si è messo a raccontarmi varie cose; sin dal suo arrivo sono stato scontento della sua visita e gli ho detto qualcosa di ostile. Lui mi ha replicato. Allora sono scattato e gli ho detto molte cose spiacevoli e perfino grossolane. Lui ha taciuto e io mi sono ripreso soltanto quando era ormai troppo tardi. Dio mio, non sono proprio capace di trattare con lui. Ne è causa il mio amor proprio. Io mi metto al di sopra di lui e perciò divento molto peggiore di lui, perché lui è indulgente verso le mie sgarberie, mentre invece io nutro per lui un sentimento di disprezzo. Dio mio, concedimi di veder meglio la mia infamia quando sono in sua presenza e di agire in modo che sia utile anche per lui. Dopo pranzo mi sono addormentato, e mentre dormivo ho sentito distintamente una voce che mi diceva nell’orecchio sinistro: «È il tuo giorno.»
Ho sognato che camminavo nell’oscurità, e a un tratto ero attorniato da cani, ma io procedevo senza paura; all’improvviso, un piccolo cane mi ha addentato al polpaccio sinistro senza lasciarmi. Io l’ho stretto alla gola con le mani. L’avevo appena staccato che un altro cane più grosso mi ha azzannato. Ho cominciato a sollevarlo e, quanto più lo sollevavo, tanto più esso diventava grosso e pesante. Improvvisamente è arrivato il fratello A. e, presomi sotto il braccio, mi ha condotto con sé verso un edificio per accedere al quale bisogna passare su una stretta tavola. Io vi ho messo un piede e la tavola si è spostata ed è caduta, mentre io cercavo di aggrapparmi ad una palizzata alla quale arrivavo a stento con le mani. Dopo grandi sforzi sono riuscito a tirar su il mio corpo in modo che sono restato con le gambe penzoloni da una parte e il tronco dall’altra. Mi sono voltato a guardare e ho visto che il fratello A. stava in piedi sulla palizzata e mi indicava un grande viale che portava a un giardino e che nel giardino c’era un edificio grande e splendente. Allora mi sono svegliato. Signore, Sommo Architetto della natura, aiutami a staccare da me i cani - le mie passioni - e l’ultima di esse, che riunisce in sé le forze di tutte le precedenti, e aiutami a entrare in quel tempio della virtù la cui visione ho raggiunto nel mio sogno.
7 dicembre
Ho sognato che Iosif Alekseeviè era in casa mia; io ne ero molto lieto e desideravo offrirgli ogni cosa. Era come se stessi cianciando senza posa con degli estranei e, a un tratto, mi ricordassi che questo non poteva piacergli e desiderassi avvicinarmi a lui e abbracciarlo. Ma mi ero appena avvicinato, quando vedevo che la sua faccia si era trasformata, era diventata giovane, e lui mi diceva qualcosa della dottrina dell’ordine, ma così piano che non riuscivo a udire. Poi è stato come se fossimo usciti tutti dalla stanza e, a questo punto, succedeva qualcosa di complicato. Eravamo seduti o sdraiati sul pavimento. Lui mi diceva qualcosa. A me era venuta voglia di mostrargli la mia sensibilità e, senza ascoltarlo, ho cominciato ad immaginarmi lo stato in cui si trovava la mia personalità interiore e la grazia di Dio che mi aveva illuminato. Mi erano venute le lacrime agli occhi ed ero contento che lui se ne accorgesse. Ma lui mi ha guardato con dispetto ed è balzato in piedi, troncando la sua conversazione. Io sono rimasto intimidito e gli ho domandato se quanto aveva detto non si riferisse a me. Lui non ha risposto nulla; ha assunto un aspetto benevolo e poi all’improvviso ci siamo trovati nella mia camera dove c’è un letto matrimoniale. Lui si è sdraiato sulla sponda ed era come se io bruciassi dal desiderio di fargli delle carezze e di sdraiarmi lì insieme a lui. Lui mi domandava: «Ditemi la verità, qual è la vostra passione principale? La conoscete? Io penso che voi la conosciate già.» Questa domanda mi imbarazzava e rispondevo che la mia passione principale è la pigrizia. Lui scuoteva la testa incredulo. Allora, turbandomi ancora di più, gli ho risposto che, sebbene in conformità al suo consiglio convivessi con mia moglie, non convivevo però come marito. Lui ha replicato che non si deve privare una moglie delle carezze, mi ha fatto capire che in questo consisteva il mio dovere, ma io ho risposto che me ne vergognavo; poi, all’improvviso, tutto è scomparso. Io mi sono svegliato e fra i miei pensieri ho colto un passo della Sacra Scrittura: «La vita era la luce degli uomini, e la luce splende fra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta.» La faccia di Iosif Alekseeviè appariva giovanile e luminosa. Oggi ho ricevuto una lettera del benefattore in cui mi scrive dei doveri del matrimonio.
9 dicembre
Ho fatto un sogno dal quale mi sono svegliato con il cuore trepidante. Mi sembrava di essere a Mosca, in casa mia, nella grande stanza dei divani, e che dal salotto usciva Iosif Alekseeviè. Come avessi capito subito che in lui si era già compiuto il processo di rigenerazione, mi sono precipitato incontro a lui. L’ho baciato, gli ho baciato anche le mani, e lui ha detto: «Hai notato che ho un altro viso?» Io l’ho guardato, continuando a tenerlo abbracciato e ho visto che aveva un viso giovane, ma la testa era calva e i lineamenti erano affatto diversi. E allora gli ho detto: «Vi avrei riconosciuto lo stesso, anche incontrandovi per caso», e intanto pensavo: «Ho detto la verità?» E, a un tratto, l’ho visto giacere come un cadavere; poi, lentamente, è ritornato in sé ed è entrato con me nel grande studio reggendo in mano un grande libro manoscritto, in carta reale. Ho aperto il libro e tutte le pagine apparivano adorne di disegni meravigliosi.
Ed era come se io sapessi che quelle illustrazioni rappresentavano le vicende amorose dell’anima e del suo amato. E
nelle pagine vedevo la meravigliosa figura di una fanciulla con l’abito trasparente e il corpo diafano che volava verso le nubi. Ed era come se sapessi che quella fanciulla non era altro che l’immagine del Cantico dei Cantici. E, guardando quei disegni, sapevo di fare male, ma non potevo distaccarmene. Signore, aiutami! Dio mio, se questo Tuo abbandonarmi è opera Tua, sia fatta la Tua volontà; ma se sono stato io a causarlo, insegnami che cosa fare. Se tu mi abbandonerai del tutto, io perirò per la mia depravazione.