VI
Hélène, tornata da Vilno a Pietroburgo insieme con la corte, si era trovata in una situazione difficile.
A Pietroburgo, Hélène godeva della particolare protezione di un dignitario che occupava una delle più alte cariche dello stato. A Vilno, poi, era entrata in intimità con un giovane principe straniero. Quando era tornata a Pietroburgo, il principe e il dignitario erano tutt’e due a Pietroburgo, tutt’e due avevano fatto valere i loro diritti e a Hélène si era così presentato un compito nuovo nella sua carriera: mantenersi in intimi rapporti con entrambi senza offendere nessuno dei due.
Ciò che sarebbe sembrato difficile e persino impossibile a un’altra donna, non diede da pensare neppure un momento alla contessa Bezùchova, che non per nulla, evidentemente, godeva della reputazione di donna intelligentissima. Se avesse tentato di nascondere le sue azioni, di sbrogliarsi da quell’imbarazzante situazione con l’astuzia, avrebbe, automaticamente, sciupato tutto riconoscendo la sua colpa; ma Hélène, agendo come un vero essere superiore che può permettersi tutto ciò che desidera, assunse subito, e in perfetta buona fede, l’atteggiamento di chi sta nel giusto, facendo così ricadere sugli altri tutte le colpe.
La prima volta che il giovane personaggio straniero si permise di farle dei rimproveri, sollevando orgogliosamente la sua bella testa e voltandosi verso di lui di mezzo profilo, disse:
« Voilà l’égoïsme et la cruauté des hommes! Je ne m’attendais pas à autre chose. La femme se sacrifie pour vous, elle souffre, et voilà sa récompense. Quel droit avez vous, Monseigneur, de me demander compte de mes amitiés, de mes affections? C’est un homme qui a été plus qu’un père pour moi.»
Il personaggio avrebbe voluto dire qualcosa. Hélène lo interruppe:
« Eh bien oui,» disse, «peut être qu’il a pour moi d’autres sentiments que ceux d’un père, mais ce n’est pas une raison pour que je lui ferme ma porte. Je ne suis pas un homme pour être ingrate. Sachez, Monseigneur, pour tout ce qui a rapport à mes sentiments intimes, je ne rend compte qu’à Dieu et à ma conscience,» concluse, sfiorando con la mano il bel seno che si sollevava alto e guardando verso il cielo.
« Mais écoutez-moi, au nom de Dieu.»
« Epousez moi, et je serai votre esclave.»
« Mais c’est impossible.»
« Vous ne daignez pas descendre jusqu’à moi, vous…» disse Hélène scoppiando a piangere.
Il personaggio si mise a consolarla; Hélène disse fra le lacrime (fingendo un momentaneo abbandono) che nulla poteva impedirle di sposarsi, che c’erano già degli esempi (gli esempi allora erano ancora pochi, ma lei nominò Napoleone e altri personaggi), che lei non era mai stata la moglie di suo marito, e che l’avevano costretta al sacrificio.
«Ma le leggi, la religione…» diceva il personaggio, cominciando ormai ad arrendersi.
«Le leggi, la religione… Ma per che cosa sono state inventate se non possono rendere possibile nemmeno questo!» disse Hélène.
L’importante personaggio si meravigliò che non gli fosse mai passato per la mente un così semplice ragionamento, e si rivolse per consiglio ai santi fratelli della Compagnia di Gesù con i quali si trovava in rapporti molto amichevoli.
Alcuni giorni dopo, durante una delle incantevoli feste che Hélène dava nella sua villa di Kamennyj Ostrov, le fu presentato l’affascinante m.r de Jobert, un Jésuite à la robe courte, un uomo non più giovane, con i capelli bianchi come la neve e neri occhi brillanti; costui si trattenne a lungo in giardino con Hélène, alla luce dei lampioni e al suono della musica, a conversare dell’amore per Dio, per Cristo, per il cuore della Madre di Dio e delle consolazioni che procura in questa vita e in quella futura l’unica e vera religione cattolica. Hélène ne fu commossa e varie volte sia a lei che a m-r de Jobert spuntarono le lacrime agli occhi e la voce divenne tremante. L’inizio delle danze, cui un cavaliere invitò Hélène, disturbò questa conversazione tra lei e il suo futuro directeur de conscience, ma il giorno dopo m-r de Jobert andò da solo, di sera, a casa di Hélène, e da quel momento cominciò a farle visita di frequente.
Un giorno egli accompagnò la contessa in un tempio cattolico, dove lei si mise in ginocchio davanti all’altare a cui era stata fatta avvicinare. Il non più giovane ma affascinante francese le mise le mani sulla testa e lei, come raccontò in seguito, provò una sensazione indefinita, come il soffio di una brezza leggera che le scendeva nell’anima. Le spiegarono che quella era la grâce.
Poi la presentarono a un abate à robe longue, che la confessò e le rimise i suoi peccati. Il giorno dopo le portarono un cofanetto con l’ostia consacrata e glielo lasciarono a casa perché se ne servisse. Alcuni giorni dopo, con sua grande soddisfazione, Hélène seppe che ormai era entrata nella vera Chiesa cattolica e che a giorni il Papa stesso ne sarebbe stato messo al corrente e le avrebbe inviato una certa carta.
Tutto ciò che in quel periodo succedeva intorno a lei e a lei stessa, tutta l’attenzione che le rivolgevano tante persone d’elevato intelletto e che si manifestava in forme così piacevoli e raffinate, quella purezza di colomba in cui adesso viveva sempre (durante quel periodo indossò abiti bianchi con nastri bianchi), tutto questo le procurava piacere, ma fra tanto piacere neppure un solo momento perdeva di vista il proprio scopo. E poiché, come sempre avviene, in fatto d’astuzia lo stupido batte chi è più intelligente di lui, Hélène, avendo compreso che lo scopo di tutte quelle frasi e quelle premure consisteva soprattutto nell’ottenere da lei, convertita al cattolicesimo, delle sovvenzioni in danaro per gli istituti gesuiti, prima di dare i soldi insistette perché fossero iniziate le pratiche concernenti il suo divorzio. Secondo le sue concezioni, il significato di ogni religione stava solamente nel rispettare, soddisfacendo i desideri umani, certe convenienze. E a questo scopo, durante uno dei suoi colloqui con il confessore, chiese insistentemente che le venisse spiegato in che misura la vincolasse il matrimonio già contratto.
Erano seduti in salotto, vicino alla finestra. Il sole tramontava. Dalla finestra entrava profumo di fiori. Hélène indossava un abito bianco trasparente sulle spalle e sul seno. L’abate, ben pasciuto, con un mento grassoccio, ben rasato e liscio, con una bella bocca dal taglio incisivo e mani bianche mitemente incrociate sulle ginocchia, era seduto vicino a lei e di tanto in tanto la guardava tranquillamente in faccia con uno sguardo profondamente ammirato della sua bellezza, mentre esponeva il proprio punto di vista sulla questione che li interessava. Hélène sorrideva inquieta, guardava i capelli ondulati, le guance grassocce rasate con cura e ombreggiate di nero dell’abate e si aspettava che da un momento all’altro il colloquio prendesse un’altra piega. Ma, nonostante l’abate fosse evidentemente compiaciuto dell’avvenenza e della vicinanza della sua interlocutrice, era completamente impegnato nei virtuosismi del proprio mestiere.
I ragionamenti che il direttore di coscienza veniva svolgendo erano i seguenti. Ignorando il significato di ciò che facevate, voi avete promesso fedeltà coniugale a un uomo che, da parte sua, contraendo matrimonio e non credendo nel significato religioso del matrimonio, ha commesso un sacrilegio. Questo matrimonio non ha avuto il duplice significato che avrebbe dovuto avere. Ciononostante, però, la promessa era sempre vincolante. Voi le siete venuta meno. Che cosa avete commesso? Péché veniel oppure péché mortel? Se adesso, allo scopo di avere dei bambini, contraeste un nuovo matrimonio, il vostro peccato potrebbe essere perdonato. Ma la questione si scinde di nuovo in due: primo…
«Ma io penso,» disse a un tratto con il suo affascinante sorriso Hélène, che si stava annoiando, «che, essendo entrata nella vera religione, non posso restare vincolata da ciò che mi imponeva una religione falsa.»
Il directeur de conscience fu sbalordito dalla semplicità di questa soluzione che gli veniva messa davanti come l’uovo di Colombo. Pur restando ammirato nel suo intimo della straordinaria rapidità dei progressi della sua allieva, non poteva, però, rinunciare all’edificio di argomentazioni che aveva costruito con tante fatiche intellettuali.
« Entendons nous, comtesse,» disse con un sorriso e si mise a confutare i ragionamenti della sua figlia spirituale.