XXII
Il giorno dopo il principe Andrej, che era stato invitato dal conte Il’ia Andreiè, andò a pranzo dai Rostov, e passò tra loro l’intera giornata.
Tutti in casa sentivano per chi fosse venuto il principe Andrej, ed egli, senza nasconderlo, fece in modo di stare tutta la giornata con Nataša. Non soltanto nell’anima di Nataša, sbigottita, eppure felice e piena di esaltazione, ma nella casa intera si avvertiva una sorta di timore di fronte a qualcosa d’importante che sarebbe dovuto accadere. La contessa guardava con occhi tristi e gravemente severi il principe Andrej mentre parlava con Nataša, e timidamente fingeva di cominciare qualche insignificante discorso non appena lui si voltava a guardarla. Sonja aveva paura di allontanarsi da Nataša e al tempo stesso temeva di essere d’impaccio quando era insieme a loro. Nataša, ogni volta che restava per un momento a tu per tu con lui, impallidiva nel timore dell’attesa: la timidezza del principe Andrej la lasciava stupita. Ella sentiva che lui doveva dirle qualcosa, ma che non riusciva a decidersi.
Quando la sera il principe Andrej se ne andò, la contessa si avvicinò a Nataša e le chiese in un bisbiglio:
«Ebbene?»
«Mamma, per amor di Dio, non domandatemi nulla, ora. Non sono cose di cui si possa parlare,» rispose Nataša.
Ma, nonostante questo, quella sera Nataša rimase a lungo nel letto della madre, e a tratti appariva sbigottita, con gli occhi incantati, a tratti si lasciava cogliere dall’agitazione. Raccontò alla madre come lui l’avesse elogiata, come le aveva detto che sarebbe andato all’estero, poi le aveva chiesto dove loro avrebbero trascorso la prossima estate, e le aveva chiesto anche di Boris.
«Ma una cosa simile, una cosa simile… non l’avevo mai provata!» soggiunse. «Solo che con lui sono spaventata, ho sempre paura quando sono insieme a lui. Che cosa vorrà dire, questo? Vorrà dire che stavolta è una cosa vera? Mamma, state dormendo?»
«No, tesoro; ma sono spaventata anch’io,» rispose la contessa. «Ora va’!»
«Fa’ lo stesso; tanto non posso dormire. Che stupidaggine dormire! Mamma, mammina, una cosa simile a me non era mai successa!» disse Nataša con un misto di stupore e di spavento, al cospetto del sentimento che provava dentro di sé. «Ma chi avrebbe mai potuto pensarlo!…»
A Nataša sembrava d’essersi innamorata del principe Andrej fin da quando lo aveva visto la prima volta a Otradnoe. Ed ora la spaventava quella strana, inattesa fortuna d’aver incontrato di nuovo colui che aveva scelto fin da allora (di questo lei era fermamente convinta), e di constatare che egli non era affatto indifferente nei suoi confronti.
«E doveva proprio capitare a Pietroburgo, proprio adesso che ci siamo anche noi. E dovevamo incontrarci proprio a quel ballo! Sembra fatto apposta. Ma questo è destino. È chiaro che è destino, che tutto portava a questo. Già allora, appena l’ho visto, ho sentito qualcosa di strano.»
«E cos’altro ti ha detto? Che cosa sono questi versi? Leggi…» disse pensierosa la madre, domandandole dei versi che il principe Andrej aveva scritto nell’album di lei.
«Mamma, non è una cosa sconveniente che lui sia vedovo?»
«Basta, Nataša. Prega Dio. Les mariages se font dans les cieux. »
«Mamma, mammina cara, come vi voglio bene! Come sono contenta!» gridò Nataša, piangendo di felicità e d’emozione ed abbracciando sua madre.
In quello stesso momento il principe Andrej era da Pierre. Gli parlava del suo amore per Nataša e del fermo proposito di sposarla.
Quel giorno in casa della contessa Elena Vasil’evna c’era un raout: erano intervenuti l’ambasciatore francese, un principe che negli ultimi tempi era diventato assiduo frequentatore della casa della contessa, molte signore e numerosi uomini brillanti. Pierre era sceso dal suo appartamento, aveva gironzolato per le sale e stupito tutti gli invitati con la sua aria assorta, distratta e cupa.
Dalla sera del ballo Pierre aveva sentito approssimarsi una delle sue crisi di ipocondria, e con sforzi disperati cercava di combatterla. Da quando il principe era diventato un assiduo frequentatore del salotto di sua moglie, Pierre, in modo affatto inatteso, era stato nominato gentiluomo di corte. Da quel momento aveva cominciato a provare un senso di oppressione e di vergogna quando si trovava nell’alta società, e sempre più spesso avevano cominciato ad assalirlo i tetri pensieri di un tempo sulla vanità d’ogni cosa umana. Nello stesso tempo il sentimento da lui notato fra la sua protetta, Nataša, e il principe Andrej acuiva maggiormente questo suo umore cupo, col contrasto fra la sua posizione e quella del suo amico. Pierre cercava di non pensare né a sua moglie né a Nataša e al principe Andrej. Tutto tornava a sembrargli insignificante al confronto con l’eternità; di nuovo gli si prospettava la domanda: «A che scopo?» E giorno e notte, si costringeva ad occuparsi delle incombenze massoniche, sperando di allontanare così lo spirito maligno. Dopo le undici, mentre, uscito dall’appartamento della contessa, se ne stava nella sua stanza al piano superiore, bassa e piena di fumo e, seduto al tavolo con indosso una logora veste da camera, copiava gli originali di certi atti scozzesi, qualcuno entrò nella camera. Era il principe Andrej.
«Ah, siete voi,» disse Pierre con aria distratta e scontenta. «Io sto lavorando,» disse, indicando il quaderno come fosse stato un rifugio dai guai della vita, che è il modo con cui le persone infelici considerano il proprio lavoro.
Il principe Andrej, raggiante, felice, rinato alla vita, si fermò davanti a Pierre e, senza accorgersi del suo volto malinconico, gli sorrise con l’egoismo della felicità.
«Ebbene, mio caro,» disse, «volevo dirtelo fin da ieri e oggi sono venuto da te apposta per questo. Non mi è mai capitato di provare nulla di simile. Sono innamorato, amico mio.»
Pierre trasse un sospiro profondo e lasciò cadere il suo corpo massiccio sul divano, accanto al principe Andrej.
«Di Nataša Rostova, vero?» disse.
«Sì, sì; e di chi altri, se no? Non avrei mai creduto che potesse accadere, ma questo sentimento è più forte di me. Ieri mi sono tormentato, ho sofferto, ma non avrei dato nemmeno questa sofferenza per nulla al mondo. Prima non vivevo. Solo adesso vivo, ma non posso vivere se non ho lei. Ma è possibile che lei mi ami?… Io per lei sono vecchio…
Ma tu perché non dici nulla?»
«Io? Io? Che cosa volete che vi dica,» disse Pierre bruscamente, alzandosi e cominciando a camminare per la stanza. «Io l’avevo sempre pensato… È un tale tesoro, quella ragazza, un tale… È una ragazza rara… Caro amico, vi prego, non vi lambiccate troppo il cervello, non lasciatevi cogliere dai dubbi. Sposatevi… Io sono sicuro che nessuno sarà più felice di voi.»
«Ma lei?»
«Lei vi ama.»
«Non dire assurdità…» disse il principe Andrej sorridendo e guardando Pierre dritto negli occhi.
«Vi ama, io lo so che vi ama,» proruppe Pierre con voce stizzita.
«No, stammi a sentire,» disse il principe Andrej afferrandolo per un braccio, «lo capisci in che posizione mi trovo? Ho bisogno di dire tutto a qualcuno.»
«Ma sì, certo, parlate; mi fa molto piacere che parliate,» disse Pierre; e in effetti il suo viso mutò; le rughe gli si erano spianate ed egli si dispose ad ascoltare con gioia il principe Andrej.
Il principe Andrej sembrava, ed era, una persona del tutto diversa, una persona nuova. Dov’era quella sua espressione tediata, quel suo disprezzo per la vita, quel suo perpetuo scetticismo? Pierre era l’unica persona con la quale egli fosse disposto a confidarsi, e gli si confidava con assoluto abbandono, rivelandogli tutto ciò che sentiva in cuore.
Ora, disinvolto e sicuro, faceva progetti per un lungo avvenire; dichiarò che non intendeva sacrificare la propria felicità ai capricci di suo padre, che avrebbe indotto il padre ad acconsentire al matrimonio e a voler bene a lei, oppure avrebbe fatto a meno del suo consenso; e non finiva di stupirsi del sentimento che si era impossessato di lui come qualcosa di strano, di estraneo, di totalmente autonomo dalla sua volontà.
«Non avrei mai creduto a chi mi avesse detto che sarei stato capace di amare così,» disse il principe Andrej. «È
un sentimento del tutto diverso da quello che ho provato in altri tempi. Il mondo intero per me è diviso in due metà, adesso: una è lei e lì è riposta tutta la felicità, la speranza, la luce; l’altra metà è tutto il resto; e dove lei non c’è tutto è desolazione e tenebre…»
«Desolazione e tenebre,» ripeté Pierre, «Sì, sì, questo lo capisco.»
«Io non posso non amare la luce, non si può farmene una colpa. E sono tanto felice. Mi comprendi? Io lo so che sei contento per me.»
«Sì, si,» confermò Pierre, guardando l’amico con occhi mesti e commossi. Quanto più luminosa gli appariva la sorte del principe Andrej, tanta più cupa gli sembrava la propria.