IV
Respinta la concezione degli antichi basata sulla soggezione, per volere divino, della volontà del popolo a un eletto e sulla soggezione di questa volontà alla divinità, la storia non può fare un solo passo avanti senza contraddirsi, a meno che non scelga una delle due alternative: o far ritorno all’antica credenza nell’intervento diretto della divinità nelle azioni umane, o chiarire con precisione il significato di quella forza che produce gli eventi storici e che si chiama potere.
Tornare al primo punto è impossibile: la credenza di un tempo è distrutta, e perciò è necessario spiegare il significato del potere.
Napoleone ordinò di adunare l’esercito e di andare alla guerra. Questo modo di raccontare le cose ci è talmente abituale, ci siamo talmente assuefatti a questo punto di vista, che chiedere come mai seicentomila uomini siano andati in guerra dopo che Napoleone ha detto certe parole ci sembra addirittura assurdo. Egli aveva il potere e perciò venne eseguito ciò che egli aveva ordinato.
Questa risposta è perfettamente soddisfacente se crediamo che il potere gli sia stato dato da Dio. Ma se non lo crediamo, si rende necessario definire che cosa sia questo potere di un uomo sugli altri.
Questo potere non può essere quel potere diretto dato dalla superiorità fisica di un forte su un debole, superiorità basata sull’impiego o sulla minaccia di impiego della forza fisica, come ad esempio il potere di Ercole; non può essere neanche fondato sulla superiorità della forza morale, come credono, anime semplici, alcuni storici, i quali sostengono che i personaggi storici sono degli eroi, cioè uomini dotati di una particolare forza d’animo e di mente chiamata genialità. Questo potere non può essere fondato sulla superiorità della forza morale, poiché, senza parlare di uomini-eroi, del tipo di Napoleone, sulle cui qualità morali le opinioni sono molto contrastanti, la storia ci mostra che né i Luigi XI, né i Metternich, che hanno governato milioni di uomini, si distinsero per una particolare forza spirituale, ma al contrario furono per la maggior parte moralmente più deboli di ognuno dei milioni di uomini che governarono.
Se la fonte del potere non sta nelle qualità fisiche né in quelle morali della persona che lo detiene, è evidente che la fonte di questo potere deve trovarsi al di fuori della persona, in quei rapporti con le masse in cui si trova la persona che detiene il potere.
Proprio così intende il potere la scienza del diritto, quella specie di banco di cambio della storia, che promette di convertire in oro puro il concetto storico del potere.
Il potere è la somma di tutte le volontà delle masse, trasferito per consenso esplicito o tacito sui governanti scelti dalle masse.
Nell’ambito della scienza del diritto, costituita di ragionamenti sull’assetto che dovrebbero avere lo stato e il potere, se fosse possibile dar loro un assetto, tutto ciò è molto chiaro, ma, qualora la si applichi alla storia, questa definizione del potere esige ulteriori chiarimenti.
La scienza del diritto considera lo stato e il potere come gli antichi consideravano il fuoco, come qualcosa di esistente in assoluto. Per la storia, invece, lo stato e il potere sono soltanto dei fenomeni, così come per la fisica del nostro tempo il fuoco non è un elemento, ma un fenomeno.
Da questa fondamentale differenza tra le concezioni della storia e della scienza del diritto deriva che la scienza del diritto può esprimersi dettagliatamente sull’assetto che a suo avviso bisognerebbe dare al potere e su che cosa sia un potere che esiste, immobile, al di fuori del tempo; ma è impotente a rispondere ai problemi storici sul significato di un potere che muta nel tempo.
Se il potere è la somma delle volontà delle masse trasmessa a chi governa, Pugaèëv rappresenta dunque la volontà delle masse? Altrimenti, perché la rappresenta Napoleone I? Perché Napoleone III, quando fu catturato a Boulogne, fu considerato un delinquente, e poi lo divennero coloro che egli fece catturare?
Nelle rivoluzioni di palazzo, alle quali prendono parte a volte due o tre persone, la volontà delle masse si trasferisce sul nuovo personaggio? Nei rapporti internazionali, la volontà delle masse di un popolo si trasferisce sul conquistatore di questo popolo? Nel 1808 la volontà della Confederazione renana si trasferì forse su Napoleone? La volontà della massa del popolo russo si trasferì su Napoleone durante il 1809 quando le nostre truppe, alleate ai francesi, marciarono contro l’Austria?
A queste domande si può rispondere in tre modi:
1) riconoscendo che la volontà delle masse si trasferisce sempre incondizionatamente su quel o quei governanti che esse hanno scelto, e che perciò ogni insorgere di un nuovo potere, ogni lotta contro un potere già trasferito deve essere considerato soltanto come una distruzione del vero potere;
2) riconoscendo che la volontà delle masse si trasferisce sui governanti condizionatamente, a condizioni ben note e determinate, e dimostrando che tutte queste limitazioni, questi urti e anche queste distruzioni del potere derivano dalla inosservanza da parte dei governanti di quelle condizioni sotto le quali il potere è stato loro affidato; 3) riconoscendo che la volontà delle masse si trasferisce sui governanti condizionatamente, ma a condizioni non note e determinate, e che l’insorgere di molti poteri, le loro lotte e la loro caduta derivano soltanto dalla maggiore o minore osservanza da parte dei governanti di quelle condizioni ignote, in virtù delle quali si trasferiscono da certe persone a certe altre le volontà delle masse.
E proprio in questi tre modi gli storici spiegano i rapporti tra le masse e i governanti.
Alcuni storici, non comprendendo nella loro semplicità di spirito, il problema del significato del potere - e alludiamo a quegli scrittori di storie particolari e di biografie di cui si è parlato più sopra - sembrano riconoscere che la somma delle volontà delle masse si trasferisce sui personaggi storici incondizionatamente, e perciò, descrivendo un qualsiasi potere, questi storici suppongono che questo potere sia l’unico assoluto e autentico e che ogni altra forza che si contrappone ad esso non sia un potere, ma una distruzione del potere, una violenza.
La loro teoria, buona per i periodi storici primitivi o pacifici, quando invece la si applica ai periodi complessi e tempestosi della vita dei popoli, quando sorgono contemporaneamente e lottano fra di loro diversi poteri, ha questo inconveniente, che lo storico legittimista dimostrerà che la Convenzione, il Direttorio e Bonaparte sono stati soltanto violazioni del potere, mentre il repubblicano e il bonapartista dimostreranno il primo che la Convenzione e il secondo che l’Impero erano il vero potere e che tutto il resto è stato una violazione del potere. È evidente che in tal modo, smentendosi reciprocamente, le spiegazioni del potere date da questi storici sarebbero buone solo per bambini in tenera età.
Riconoscendo la falsità di questo modo di vedere la storia, un altro gruppo di storici sostiene che il potere si fonda sulla trasmissione condizionata della somma delle volontà delle masse ai governanti e che i personaggi storici hanno il potere solo a condizione di eseguire il programma che per tacita intesa è stato deferito loro dalla volontà del popolo. Ma gli storici non ci dicono in che consista questo programma condizionante, o, se ce lo dicono, si contraddicono continuamente tra di loro.
A ognuno di questi storici, a seconda del suo punto dì vista di ciò che costituisce lo scopo del movimento, questo programma sembra consistere nella grandezza, nella ricchezza, nella libertà, nell’istruzione dei cittadini della Francia o di un altro stato. Ma, senza parlare delle contraddizioni fra gli storici nel concepire questo programma, anche ammettendo che esista un programma comune a tutti, i fatti storici contraddicono sempre questa teoria. Se le condizioni sotto le quali si trasmette il potere consistono nella ricchezza, nella libertà, nell’istruzione del popolo, perché i Luigi XIV e gli Ivan IV portano tranquillamente a termine il oro regno, mentre i Luigi XVI e i Carlo I sono giustiziati dai loro popoli? A questa domanda gli storici rispondono dicendo che l’attività di Luigi XIV, contraria al programma, si ripercosse su Luigi XVI. Ma perché mai non si ripercosse su Luigi XIV e XV; perché doveva proprio ripercuotersi su Luigi XVI? E quale è il termine di scadenza di questa ripercussione? A queste domande non ci sono e non ci possono essere risposte. E altrettanto poco si spiega, in questa teoria, la causa del fatto che la somma delle volontà resti per secoli nelle mani dei governanti e dei loro successori, e poi ad un tratto, nel giro di cinquant’anni, venga ceduto alla Convenzione, al Direttorio, a Napoleone, ad Alessandro, a Luigi XVIII, di nuovo a Napoleone, a Carlo X, a Luigi Filippo, al governo repubblicano, a Napoleone III. Nello spiegare questi rapidi passaggi della volontà dei sudditi da un personaggio all’altro, e specialmente per quanto riguarda le relazioni internazionali, le conquiste e le alleanze, questi storici devono involontariamente ammettere che parte di questi fenomeni non costituiscono già più un legittimo trasferimento della volontà, ma semplici fatti fortuiti dipendenti ora dall’astuzia, ora dagli errori o dalla perfidia, o dalla debolezza di un diplomatico o di un monarca o di un capopartito. Cosicché la maggior parte dei fenomeni della storia: guerre intestine, rivoluzioni, conquiste, non sono rappresentati da questi storici come prodotti della trasmissione di libere volontà, ma come il prodotto della volontà mal diretta di uno o più uomini, e cioè, di nuovo, come violazioni del potere. E per questo anche questo gruppo di storici presenta gli eventi storici come deviazioni della teoria.
Questi storici sono simili a quel botanico che, avendo notato che certe piante escono dal seme con due cotiledoni, sostenesse che tutto quanto cresce, cresce soltanto sdoppiandosi in due cotiledoni, e che la palma e il fungo, e persino la quercia, ramificandosi nel loro pieno sviluppo e non avendo più la forma di due cotiledoni, sono eccezioni alla teoria.
Un terzo gruppo di storici riconosce che la volontà delle masse si trasmette ai personaggi storici condizionatamente, ma che queste condizioni ci sono ignote. Essi dicono che i personaggi storici hanno il potere solo perché eseguono la volontà delle masse, che si è trasferita su di loro.
Ma in tal caso, se la forza che muove i popoli non risiede nei personaggi storici, ma nei popoli stessi, in che cosa consiste il significato di questi personaggi storici?
Questi personaggi, dicono questi storici, esprimono la volontà delle masse; la loro attività rappresenta l’attività delle masse.
Ma in tal caso sorge la domanda: tutta l’attività dei personaggi storici è espressione della volontà delle masse o solo una certa parte di quest’attività? Se tutta l’attività dei personaggi storici è espressione della volontà delle masse, come pensano alcuni, le biografie dei Napoleoni e delle Caterine, con tutti i particolari dei pettegolezzi di corte, sono espressioni della vita dei popoli; cosa palesemente assurda; se invece solo un aspetto dell’attività di un personaggio storico è espressione della vita dei popoli, come pensano altri presunti filosofi della storia, per stabilire quale sia l’aspetto dell’attività del personaggio storico che esprime la vita del popolo occorre prima sapere in che consista la vita del popolo.
Imbattendosi in questa difficoltà, gli storici di questo gruppo escogitano la più oscura, impalpabile e generica delle astrazioni alla quale si possa ricondurre il maggior numero di eventi e dicono che in questa astrazione è contenuto lo scopo del movimento dell’umanità. Le astrazioni più comuni accettate da quasi tutti gli storici sono: la libertà, l’uguaglianza, l’istruzione, il progresso, la civiltà, la cultura. Avendo fissato come scopo del movimento del genere umano una qualsiasi astrazione, gli storici studiano gli uomini che hanno lasciato dietro di sé il maggior numero di ricordi: re, ministri, condottieri, scrittori, riformatori, papi, giornalisti, nella misura in cui tutti questi personaggi, a loro avviso, hanno favorito o contrastato quella data astrazione. Ma siccome nulla dimostra che lo scopo del genere umano consista nella libertà, nell’uguaglianza, nell’istruzione o nella civiltà e siccome il legame delle masse con i governanti e gli illuminati del genere umano è fondata solo sull’arbitraria supposizione che la somma delle volontà delle masse si trasmetta sempre alle persone che notiamo di più, l’attività di milioni di uomini che emigrano, incendiano, abbandonano l’agricoltura, si annientano a vicenda non si esprime mai nella descrizione dell’attività di una decina di persone che non incendiano case, non si occupano di agricoltura, non uccidono i loro simili.
La storia ce lo dimostra ad ogni passo. Il fermento dei popoli dell’occidente alla fine del secolo scorso e il loro tendere verso oriente sono forse spiegati dall’attività di Luigi XIV, XV e XVI, delle loro amanti, dei loro ministri, o dalla vita di Napoleone, di Rousseau, di Diderot, di Beaumarchais e di altri?
Il movimento del popolo russo verso oriente, verso Kazan’ e la Siberia trova forse espressione nei particolari del carattere morboso di Ivan IV e nella sua corrispondenza con Kurbskij?
Il movimento dei popoli durante le crociate si spiega forse studiando la vita dei Goffredi e dei Luigi e delle loro dame? Per noi è rimasto incomprensibile il movimento dei popoli da occidente a oriente, senza alcuno scopo, senza una guida, con una folla di vagabondi con Pietro l’Eremita. E ancor più è rimasta incomprensibile la cessazione di questo movimento proprio quando i protagonisti della storia avevano chiaramente stabilito uno scopo ragionevole e santo alle crociate: la liberazione di Gerusalemme. Papi, re e cavalieri incitavano il popolo alla liberazione della Terra Santa, ma il popolo non ci andava, perché quella causa ignota che lo aveva indotto prima al movimento non esisteva più. La storia dei Goffredo e dei maestri cantori non può evidentemente contenere in sé la vita dei popoli la storia dei Goffredo e dei maestri cantori, mentre la storia della vita dei popoli e dei loro impulsi è rimasta sconosciuta.
Ancor meno ci spiega la vita dei popoli la storia degli scrittori e dei riformatori.
La storia della cultura ci spiega gli impulsi, le condizioni di vita e le idee di uno scrittore o di un riformatore.
Veniamo a sapere che Lutero aveva un carattere irascibile e che faceva i tali discorsi, veniamo a sapere che Rousseau era diffidente e che ha scritto i tali e i talaltri libri, ma non veniamo a sapere perché dopo la Riforma í popoli si massacrassero, e perché durante la rivoluzione francese avvenisse altrettanto.
Se si uniscono questi due tipi di storia, come fanno gli storici più moderni, avremo una storia di monarchi e di scrittori, ma non la storia della vita dei popoli.
V
La vita dei popoli non può essere racchiusa nella vita di alcuni uomini, poiché il legame che intercorre fra questi pochi uomini e i popoli non è stato trovato. La teoria secondo la quale questo legame è fondato sul trasferimento della somma delle volontà ai personaggi storici è un’ipotesi non confermata dall’esperienza storica.
La teoria che la somma delle volontà delle masse si trasferisce sui personaggi storici può forse spiegare molte cose nel campo della scienza del diritto e forse è necessaria ai suoi fini, ma applicata alla storia, appena insorgono rivoluzioni, conquiste, guerre civili, non appena insomma comincia la storia, questa teoria non spiega nulla.
Questa teoria sembra inconfutabile proprio perché l’atto di trasmissione della volontà del popolo non può essere sottoposto a verifica, dato che non è mai esistito.
Qualunque avvenimento si verifichi, chiunque si metta alla testa dell’avvenimento, la teoria può sempre dire che il dato personaggio si è messo alla testa dell’avvenimento perché la somma delle volontà si era trasferita su di lui.
Le risposte date da questa teoria ai problemi della storia sono simili alle risposte di un uomo che guardando una mandria in movimento e non prendendo in considerazione né la diversa bontà del pascolo nei vari punti del terreno, né i movimenti del pastore, cercasse le cause di questa o quella direzione presa dalla mandria basandosi sull’animale che procede in testa alla mandria.
«La mandria va in quella direzione perché la bestia che procede in testa la guida lì e la somma delle volontà di tutti gli altri animali è trasmessa a questo che guida la mandria.» Così risponde la prima categoria di storici, i quali ammettono la trasmissione incondizionata del potere.
«Se gli animali che camminano in testa alla mandria cambiano, questo accade perché la somma delle volontà di tutti gli animali si trasmette da una guida all’altra, a seconda che quell’animale guidi o no nella direzione scelta da tutta la mandria.» Così rispondono gli storici che ammettono che la somma delle volontà delle masse si trasmette ai governanti a determinate condizioni, che essi ritengono note. (Secondo questo genere di osservazioni capita molto spesso che l’osservatore, basandosi sulla direzione da lui scelta, consideri come guide quelli che, in seguito a cambiamenti nella direzione delle masse, non sono più in testa, ma di fianco e talvolta in coda).
«Se gli animali che stanno in testa al gregge cambiano continuamente e continuamente cambia la direzione di tutto il gregge, ciò accade perché, per ottenere la direzione che ci è nota, gli animali trasmettono le loro volontà a quegli animali che noi vediamo meglio, e per studiare il movimento del gregge bisogna osservare tutti gli animali che ci colpiscono di più e che si muovono da tutti i lati del gregge.» Così dicono gli storici della terza categoria, che considerano espressioni del loro tempo tutti i personaggi storici, dai monarchi ai giornalisti.
La teoria della trasmissione della volontà delle masse ai personaggi storici è soltanto una perifrasi, un’enunciazione con altre parole degli stessi termini del problema.
Qual è la causa degli avvenimenti storici? Il potere. Che cosa è il potere? Il potere è la somma delle volontà trasmesse a una sola persona. A quali condizioni si trasmettono le volontà delle masse a una sola persona? Alla condizione che quella data persona esprima le volontà di tutti gli uomini. Insomma il potere è il potere. Insomma il potere è una parola il cui significato ci è incomprensibile.
Se il campo della conoscenza umana si limitasse al solo pensiero astratto, dopo aver sottoposto a critica la spiegazione che del potere ci dà la scienza, l’umanità arriverebbe alla conclusione che il potere è soltanto una parola e che non esiste nella realtà. Ma, oltre al pensiero astratto, l’uomo, per conoscere i fenomeni, dispone dell’esperienza, con la quale verifica i risultati del pensiero. E l’esperienza dice che il potere non è una parola, ma un fenomeno realmente esistente.
A parte il fatto che nessuna descrizione dell’attività collettiva degli uomini può fare a meno del concetto di potere, l’esistenza del potere è dimostrata sia dalla storia che dall’osservazione degli avvenimenti contemporanei.
Quando si verifica un avvenimento, appare sempre un uomo o diversi uomini, secondo la volontà dei quali l’avvenimento sembra accadere. Napoleone III ordina e i francesi vanno nel Messico. Il re di Prussia e Bismarck ordinano e le truppe vanno in Boemia. Napoleone I ordina e le truppe vanno in Russia. Alessandro I ordina e i francesi si assoggettano ai Borboni. L’esperienza ci dimostra che qualsiasi avvenimento si verifichi, esso è sempre collegato con la volontà di uno o più uomini che l’hanno ordinato.
Per la vecchia abitudine di vedere l’intervento divino nelle azioni umane, gli storici vogliono vedere la causa di un evento nella manifestazione della volontà della persona investita del potere; ma questa conclusione non è confermata né dal ragionamento, né dall’esperienza.
Da una parte il ragionamento ci dimostra che l’espressione della volontà di un individuo - le sue parole - è soltanto una parte dell’attività generale che si esprime in un avvenimento, come per esempio in una guerra o in una rivoluzione; e perciò, se non si ammette una forza incomprensibile e soprannaturale - un prodigio - non si può sostenere che le parole possano essere la causa diretta del movimento di milioni di uomini; d’altra parte, se anche si ammette che le parole possano essere la causa di un evento, la storia dimostra che le espressioni della volontà dei personaggi storici nella maggior parte dei casi non producono alcun effetto, che cioè sovente i loro ordini non solo non vengono eseguiti, ma a volte accade persino proprio l’opposto di ciò che essi hanno ordinato.
Se non ammettiamo l’intervento divino nelle azioni umane, non possiamo considerare il potere come la causa degli eventi.
Il potere, dal punto di vista dell’esperienza, è soltanto un rapporto di dipendenza tra l’espressione della volontà di una persona e l’esecuzione di questa volontà da parte degli altri uomini.
Per spiegarci le condizioni di questa dipendenza dobbiamo anzitutto ripristinare il concetto di espressione della volontà, riferendolo all’uomo e non alla divinità.
Se la divinità dà un ordine, esprime la propria volontà, come ci mostra la storia degli antichi, l’espressione di questa volontà non dipende dal tempo e non è provocata da nulla, dato che la divinità non è in alcun modo legata agli avvenimenti. Ma, parlando di ordini, che sono l’espressione della volontà di uomini i quali operano nel tempo e sono legati fra di loro, per spiegarci il nesso fra gli ordini e gli avvenimenti, noi dobbiamo ripristinare: 1) la condizione di tutto ciò che accade: la continuità del movimento nel tempo tanto degli eventi quanto del singolo che dà gli ordini; e 2) la condizione del legame necessario in cui si trova chi dà gli ordini nei confronti di chi li esegue.