XXII

 

Barcollando in mezzo alla calca che lo aveva inghiottito, Pierre si guardava intorno.

«Conte, Pëtr Kirillyè! Come mai siete qui?» disse la voce di qualcuno. Pierre si voltò.

Boris Drubeckoj, pulendosi con una mano le ginocchia che aveva imbrattato di terra (probabilmente anche lui per baciare l’icona), si stava avvicinando, sorridendo, a Pierre. Boris era vestito con eleganza, con una sfumatura marziale da combattente: indossava una giubba lunga e portava il frustino a tracolla, esattamente come Kutuzov.

Nel frattempo, Kutuzov era giunto al villaggio e si era seduto all’ombra della prima casa che aveva trovato, su una panca che un cosacco aveva portato di corsa e un altro si era affrettato a coprire con un tappetino. Un enorme e brillante seguito circondò il comandante in capo.

L’icona aveva proseguito oltre, accompagnata dalla folla. A trenta passi da Kutuzov. Pierre si era fermato conversando con Boris.

Pierre gli spiegava la sua intenzione di prender parte alla battaglia e di visitare le nostre posizioni.

«Ecco, come dovete fare,» disse Boris. « Je vous ferai les honneurs du camp. Il punto migliore per vedere tutto, sarà dove starà il conte Bennigsen. Io, infatti, sono suo ufficiale d’ordinanza. Glielo riferirò io, e, se volete fare il giro delle posizioni, venite con noi: fra poco andremo sul fianco sinistro. Quando saremo di ritorno, mi farete l’onore di passare la notte da me, e faremo una partita. Conoscete Dmitrij Sergeiè, no? Ecco, è alloggiato qui,» disse indicando la terza casa all’entrata di Gorki.

«Ma io vorrei vedere il fianco destro; ho sentito dire che sia molto forte,» disse Pierre. «Vorrei percorrere tutta la posizione partendo dalla Moscova.»

«Be’, questo potrete farlo poi, tuttavia, il più importante è il fianco sinistro…»

«Sì, sì. Ma dov’è il reggimento del principe Bolkonskij, non potete indicarmelo?» domandò Pierre.

«Di Andrej Nikolaeviè? Ci passeremo vicino, vi accompagnerò io da lui.»

«Che mi dite, allora, del fianco sinistro?» domandò Pierre.

«Per essere sincero, entre nous, il nostro fianco sinistro, Dio sa in che stato si trova,» disse Boris abbassando confidenzialmente la voce. «Il conte Bennigsen non aveva affatto in mente questo. Si proponeva di fortificare quel tumulo laggiù, ecco, in tutt’altro modo… ma poi…» Boris si strinse nelle spalle. «Sua Eccellenza Serenissima non ha voluto o chissà che cosa gli hanno detto. Sapete…» Ma Boris non terminò la frase, perché in quel momento a Pierre si era avvicinato Kajsarov, aiutante di Kutuzov. «Ah, Paisij Sergeiè!» esclamò Boris, rivolgendosi con un disinvolto sorriso a Kajsarov. «Sto cercando di spiegare al conte la posizione. È sorprendente come Sua Altezza Serenissima abbia saputo intuire le intenzioni dei francesi!»

«Parlate del fianco sinistro?» disse Kajsarov.

«Sì, sì, precisamente. Il nostro fianco sinistro adesso è molto, molto forte.»

Sebbene Kutuzov avesse mandato via dallo Stato Maggiore tutti gli ufficiali inutili. Boris, anche dopo i cambiamenti operati da Kutuzov, aveva saputo mantenersi al quartier generale. Era alle dipendenze del conte Bennigsen. Il conte Bennigsen, come tutti coloro presso cui Boris era stato al servizio, considerava il giovane principe Drubetskoj un uomo impagabile.

Nel comando dell’esercito esistevano due partiti ben netti e circoscritti: il partito di Kutuzov e il partito di Bennigsen, il capo dello Stato Maggiore. Boris faceva parte di questo secondo partito e nessuno, come lui, sapeva far sentire, pur mostrando un rispetto servile per Kutuzov, che il vecchio valeva poco e che tutte le operazioni di guerra erano condotte da Bennigsen. Era giunto, ora, il momento decisivo della battaglia, destinato o ad annientare Kutuzov e dare il potere a Bennigsen, oppure (anche se Kutuzov avesse vinto la battaglia) a far sentire che tutto era stato fatto da Bennigsen. In ogni caso, l’indomani dovevano essere distribuite grandi ricompense e promossi uomini nuovi. E per questo Boris, sin dalla mattina, si trovava in uno stato di eccitazione.

Dopo Kajsarov vennero a salutare Pierre altri conoscenti, ed egli non faceva in tempo a rispondere alle domande su Mosca di cui lo tempestavano, come non faceva in tempo ad ascoltare i racconti che via via gli facevano.

Su tutte le facce si vedevano eccitazione e ansia. Ma Pierre aveva l’impressione che la causa dell’insolita animazione che si vedeva espressa su alcune di queste facce, fosse dovuta soprattutto a questioni di successo personale; e non poteva dimenticare l’altra espressione, che aveva veduto su altre facce e che parlava non di questioni personali, ma di questioni comuni a tutti, di questioni di vita o di morte. Kutuzov aveva notato la figura di Pierre e il gruppo che si era formato intorno a lui.

«Chiamatemelo,» disse Kutuzov.

L’aiutante venne a comunicare il desiderio di Sua Altezza Serenissima e Pierre si diresse verso la panca. Ma, ancor prima di lui, a Kutuzov si avvicinò un soldato semplice. Era Dolochov.

«Come mai costui è qui?»

«È una bestiaccia che si ficca dappertutto!» risposero a Pierre. «È stato degradato. Ora ha bisogno di mettersi in mostra. Ha consegnato non so che piani di battaglia e questa notte s’è intrufolato fin dentro alle linee nemiche…

Ragazzo in gamba, però!…»

Pierre, togliendosi il cappello, s’inchinò rispettosamente a Kutuzov.

«Ho deciso che, se avessi fatto rapporto a Vostra Eccellenza Serenissima, voi avreste potuto cacciarmi via o dire che sapete già quanto vi riferisco, e allora mi sarei ritirato…» diceva Dolochov.

«Già, già…»

«Ma se invece ho ragione, allora potrò essere utile alla patria per la quale sono pronto a morire.»

«Già… già…»

«E se Vostra Eccellenza Serenissima avesse bisogno di un uomo che non risparmia la sua pelle, vogliate ricordarvi di me… Forse potrò esser utile a Vostra Eccellenza Serenissima.»

«Già… già…» ripeteva Kutuzov, guardando Pierre con gli occhi ridenti e socchiusi.

In quel momento, Boris, con la sua scaltrezza da cortigiano, si spinse innanzi con Pierre vicino al comandante, con l’aria più naturale del mondo e senza alzare la voce, come se continuasse una conversazione che aveva già incominciata, disse a Pierre: «I miliziani si sono messi addirittura le camicie bianche e pulite, per esser pronti alla morte. Che eroismo, conte!»

Boris, evidentemente, aveva detto questo a Pierre per essere udito da Sua Eccellenza Serenissima. Sapeva bene che Kutuzov avrebbe fatto attenzione a quelle parole, ed effettivamente Sua Eccellenza si rivolse a lui:

«Che cosa stai dicendo degli uomini delle milizie?» disse a Boris.

«Che essi, Eccellenza, per prepararsi a domani, alla morte, hanno indossato la camicia bianca.»

«Ah!… Popolo meraviglioso, senza pari!» disse Kutuzov e, socchiudendo gli occhi, scosse la testa. «Popolo senza pari!» ripeté con un sospiro.

«Volete sentire odor di polvere?» si rivolse poi a Pierre. «Sì, come odore è piacevole. Ho l’onore di essere un ammiratore di vostra moglie, sta bene? Il mio bivacco è ai vostri servizi.»

E, come sovente accade ai vecchi, Kutuzov cominciò a guardarsi distrattamente in giro come se si fosse dimenticato di quello che doveva dire o fare.

Ricordandosi poi, evidentemente, ciò che cercava, chiamò a sé Andrej Sergei? Kajsarov fratello del suo aiutante.

«Come, come sono quei versi di Marin, come sono quei versi, eh? Quelli che ha scritto contro Gerakov: “Sarai maestro alla scuola militare…” Dilli, dilli,» esclamò Kutuzov, visibilmente intenzionato a ridere.

Kajsarov li declamò… Kutuzov, sorridendo, dondolava la testa al ritmo dei versi.

Quando Pierre si fu allontanato da Kutuzov, Dolochov, muovendogli incontro, lo prese per la mano.

«Sono molto contento d’incontrarvi qui, conte,» gli disse ad alta voce e senza sentirsi imbarazzato, dalla presenza di estranei, con una risolutezza e una solennità tutte particolari. «Alla vigilia di una giornata in cui Dio sa chi di noi sia destinato a restare fra i vivi, sono felice dell’occasione di potervi dire che mi rammarico dei malintesi che ci sono stati fra noi e che desidererei che voi non aveste nessun rancore nei miei confronti. Vi prego di perdonarmi.»

Pierre guardava Dolochov sorridendo e senza sapere che cosa dirgli. Dolochov, con le lacrime agli occhi, lo abbracciò e lo baciò.

Boris disse qualche parola al suo generale e il conte Bennigsen si rivolse a Pierre e lo invitò ad andare insieme con lui lungo la linea del fronte.

«A voi interesserà,» gli disse.

«Sì, mi interesserà molto,» disse Pierre.

Mezz’ora più tardi Kutuzov ripartì per Tatarinovo e Bennigsen, con il suo seguito di cui faceva parte anche Pierre, si avviò alla volta del fronte.

Guerra e Pace
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