XXIII
In quel momento entrò a passo affrettato il conte Rastopèin, passando davanti alla folla degli aristocratici che gli facevano largo. Era in uniforme da generale, con la fascia a tracolla, con quel suo mento prominente e quegli occhi mobilissimi e penetranti.
«Sua Maestà l’imperatore sta per arrivare,» disse. «L’ho lasciato poc’anzi. Credo che, data la situazione nella quale ci troviamo, non ci sia molto da discutere. L’imperatore si è degnato di riunire noi e la classe mercantile,»
aggiunse. «Di là sgorgheranno i milioni - e indicò la sala ove erano radunati i mercanti - mentre sarà nostro dovere fornire milizie e non risparmiare noi stessi… È il meno che possiamo fare!»
Cominciarono le consultazioni fra i soli dignitari seduti alla tavola. Tutta la consultazione si svolse in tono composto e sommesso. Ne veniva addirittura un’impressione di malinconia, dopo tutto il clamore di poc’anzi. Si udirono, una alla volta, quelle voci senili che dicevano: «Sono d’accordo!»; oppure, per variare: «Anch’io sono dello stesso parere», e via di questo passo.
Fu dato ordine al segretario di scrivere la deliberazione della nobiltà di Mosca, in forza di cui tutti i proprietari moscoviti - come già quelli di Smolensk - offrivano dieci uomini su ogni mille dotati di equipaggiamento completo. I signori in seduta si alzarono come alleggeriti di un peso, spostando gli scranni con fragore, e s’avviarono qua e là per la sala onde sgranchire le gambe. Prendevano a braccetto il primo che capitava e chiacchieravano fra loro.
«L’imperatore! L’imperatore!» echeggiò un grido di sala, e tutta la folla si affrettò verso l’ingresso.
L’imperatore entrò nella sala lungo lo spazio lasciato libero dai nobili assiepati. Su tutti i visi si dipinse un sentimento di riverente e spaurita curiosità. Pierre era abbastanza discosto e non riuscì a udire distintamente le parole del sovrano. Capì soltanto, da ciò che aveva potuto captare, che l’imperatore parlava del pericolo in cui versava la Nazione e delle speranze che egli riponeva nell’aristocrazia moscovita. Al sovrano rispose una voce che annunciava la deliberazione presa proprio allora dalla nobiltà.
«Signori!» s’impose, rotta da un tremito la voce dell’imperatore.
La folla mormorò, poi tacque di nuovo e Pierre udì distintamente la voce così amabile, così umana e commossa dell’imperatore mentre diceva:
«Non avevo mai dubitato del fervore della nobiltà russa. Ma in questo giorno esso ha superato ogni mia aspettativa. Vi ringrazio a nome della patria. Ora, signori, dobbiamo passare all’azione: il tempo è la cosa più preziosa…»
L’imperatore non aggiunse altro. La folla prese a stringerglisi attorno; da ogni parte echeggiavano esclamazioni d’entusiasmo.
«Sì, la cosa più preziosa… parola dello zar,» esclamava fra i singhiozzi Il’ja Andreiè, che non aveva udito nulla ma aveva capito tutto a modo suo.
Dalla sala della nobiltà l’imperatore passò nella sala dei mercanti. Vi si trattenne per una decina di minuti.
Insieme agli altri Pierre fu tra coloro che videro uscire Sua Maestà dalla sala dei mercanti con gli occhi pieni di lacrime di commozione. Come si seppe poco dopo, l’imperatore aveva appena cominciato il suo discorso ai mercanti quando il pianto gli era sgorgato dagli occhi e aveva finito di parlare con voce tremante e spezzata. Quando Pierre lo vide, usciva accompagnato da due mercanti. Uno di questi, Pierre lo conosceva: era un appaltatore, un uomo grande e grosso. L’altro era uno dei capi; con un viso giallastro e scarno, e una barbetta a punta. Tutt’e due piangevano. Il magro aveva le lacrime agli occhi, ma il grasso appaltatore singhiozzava come un bambino e continuava a ripetere:
«Prenditi anche la nostra vita, prenditi tutti i nostri beni, maestà!»
In quel momento Pierre non provava più niente se non il desiderio di mostrare che per lui nulla sarebbe stato troppo, che era pronto a sacrificare ogni cosa. Ora gli rimordeva il suo discorso a indirizzo costituzionale, ed egli cercava solo l’occasione per cancellarlo. Avendo saputo che il conte Mamonov offriva un reggimento, Bezuchov dichiarò all’istante al conte Rastopèin che lui avrebbe offerto mille uomini e i mezzi di sussistenza.
Il vecchio Rostov non poté raccontare alla moglie senza piangere tutto ciò che aveva visto e udito. Acconsentì senza altri indugi al desiderio di Petja e andò di persona a iscriverlo tra i volontari.
Il giorno dopo l’imperatore partì. Tutti i nobili che si erano riuniti si tolsero le uniformi, tornarono alle loro case e ai loro club; ed ora, scatarrando, davano disposizioni agli amministratori a proposito della milizia e si meravigliavano di ciò che loro stessi avevano potuto combinare.