IX

 

Rispetto agli altri rami del sapere che hanno cercato di risolvere questo problema, la soluzione del problema della libertà e della necessità per la storia ha il vantaggio che in essa questo problema non si riferisce all’essenza stessa della volontà umana, ma al manifestarsi di tale volontà nel passato e in date condizioni.

Nella soluzione di questo problema, la storia si trova, nei confronti delle altre scienze, nella posizione di una scienza sperimentale rispetto alle scienze speculative.

Come suo oggetto la storia non ha la volontà dell’uomo, ma la rappresentazione che noi ce ne facciamo.

E perciò per la storia non esiste, come per la teologia, l’etica e la filosofia, il mistero insolubile dell’unione di libertà e necessità. La storia considera una rappresentazione della vita dell’umanità in cui l’unione di queste due contraddizioni si è già compiuta.

Nella vita reale ogni avvenimento storico, ogni azione umana viene compreso in modo molto chiaro e definito, senza che si avverta la minima contraddizione, sebbene ogni avvenimento appaia in parte come libero, in parte come necessario.

Per risolvere il problema del come si uniscano la libertà e la necessità e di che cosa costituisca l’essenza di questi due concetti, la filosofia della storia può e deve prendere una strada opposta a quella seguita dalle altre scienze.

Invece di definire in se stessi i concetti di libertà e di necessità e quindi ricondurre i fenomeni della vita a queste definizioni, dall’enorme congerie di fenomeni di sua pertinenza e che si rappresentano sempre in dipendenza dalla libertà e dalla necessità, la storia deve dedurre la definizione dei concetti stessi di libertà e di necessità.

Qualunque sia la rappresentazione che esaminiamo dell’attività di molti o di un solo uomo, noi non la possiamo comprendere altrimenti che come un prodotto in parte della libertà dell’uomo, in parte delle leggi di necessità.

Sia che si parli delle migrazioni dei popoli o delle invasioni dei barbari, o dei decreti di Napoleone III, o dell’azione compiuta da un uomo un’ora fa, consistente nel fatto d’aver scelto una certa direzione tra le tante possibili per la sua passeggiata, noi non notiamo la minima contraddizione. La misura della libertà e della necessità, che ha guidato le azioni di questi uomini, è per noi chiaramente definita.

Molto spesso l’idea di una maggiore o minore libertà varia a seconda del punto di vista dal quale noi esaminiamo il fenomeno; ma sempre ogni azione umana non ci si presenta altrimenti che come una determinata unione di libertà e di necessità. In ogni azione considerata noi vediamo una certa parte di libertà e una certa parte di necessità.

E sempre, quanta più libertà vediamo in un’azione qualsiasi, tanto meno vi vediamo la necessità; e quanto maggiore è la necessità, tanto minore è la libertà. Il rapporto della libertà con la necessità aumenta e diminuisce a seconda del punto di vista da cui consideriamo l’azione; ma questo rapporto rimane sempre inversamente proporzionale.

Un uomo che annega e che si aggrappa a un altro e lo fa affogare, o una madre affamata, spossata dall’allattamento del figlio, che ruba del cibo, o un uomo addestrato alla disciplina che nel plotone di esecuzione uccide a un comando un uomo indifeso appaiono meno colpevoli, cioè meno liberi e più soggetti alla legge della necessità a chi conosce le condizioni in cui si trovavano, e più liberi a chi non sa che quell’uomo stava egli stesso annegando, che la madre era affamata, che il soldato faceva parte del plotone d’esecuzione ecc. Esattamente nello stesso modo, un uomo che vent’anni fa ha commesso un omicidio e poi è vissuto tranquillamente senza nuocere a nessuno appare meno colpevole, e il suo atto più sottoposto alla legge della necessità per chi lo considera dopo vent’anni, e più libero per chi consideri quello stesso atto il giorno dopo in cui era stato commesso. E nello stesso modo ogni azione di un pazzo, di un ubriaco o di un uomo fortemente eccitato appare meno libera e più necessaria a chi conosce lo stato d’animo dell’uomo che ha commesso l’azione, e più libera e meno necessaria a colui che non lo conosce. In tutti questi casi aumenta o diminuisce il concetto di libertà e, di conseguenza, diminuisce o aumenta il concetto di necessità, sempre a seconda del punto di vista da cui si considera l’azione. Cosicché, quanto maggiore appare la necessità, tanto minore appare la libertà.

E viceversa.

La religione, il buon senso dell’umanità, le scienze del diritto e la stessa storia intendono in modo eguale questo rapporto fra la necessità e la libertà.

Tutti i casi, senza eccezione, nei quali aumenta e diminuisce la nostra idea della libertà e della necessità hanno solo tre basi:

1) Rapporto dell’uomo che ha compiuto l’azione con il mondo esterno,

2) con il tempo, e

3) con le cause che hanno prodotto l’azione.

1) Il primo punto è dato dal maggior o minor rapporto a noi visibile dell’uomo con il mondo esterno, dalla nozione più o meno chiara di quel determinato posto che ogni uomo occupa rispetto a tutto ciò che esiste contemporaneamente a lui. È quella base a causa della quale appare evidente che l’uomo che annega è meno libero e più soggetto alla necessità dell’uomo che si trova sulla terraferma; quella base a causa della quale le azioni di un uomo che vive in stretto contatto con altri uomini in una località popolosa, le azioni di un uomo legato alla famiglia, all’impiego, alle sue faccende, appaiono indubbiamente meno libere e più soggette alla necessità delle azioni di un uomo solo e isolato.

Se noi osserviamo un uomo solo, senza rapporti con tutto ciò che lo circonda, ogni sua azione ci sembra libera.

Ma se noi vediamo anche un suo qualsiasi rapporto con ciò che lo circonda, se vediamo un suo legame con chicchessia: con una persona con cui parla, con un libro che legge, con il lavoro da cui è occupato, perfino con l’aria che lo circonda, perfino con la luce che cade sugli oggetti che gli stanno intorno, vediamo che ciascuna di queste condizioni ha su di lui un influsso e dirige almeno un aspetto della sua attività. E, quanto più ci avvediamo questi influssi, tanto più diminuisce la nostra idea della sua libertà e aumenta quella della necessità alla quale è sottoposto.

2) Il secondo punto è: il maggior o minor rapporto, temporaneo e visibile, fra l’uomo e il mondo esterno; la più o meno chiara visione del posto che l’azione dell’uomo occupa nel tempo. Questa è la base a causa della quale la caduta del primo uomo, che ha avuto come sua conseguenza l’origine del genere umano, ci appare evidentemente meno libera che non il matrimonio di un uomo d’oggi. È la base in conseguenza della quale la vita e l’attività degli uomini che sono vissuti secoli fa, collegate a me nel tempo, non possono apparirmi così libere come la vita contemporanea, le cui conseguenze mi sono ancora ignote.

La gradualità dell’idea circa la maggiore o minore libertà e necessità a questo riguardo dipende dal maggiore o minore intervallo di tempo intercorso fra il compimento dell’atto e il giudizio su di esso.

Se io considero un’azione da me compiuta un momento prima, approssimativamente nelle stesse condizioni in cui mi trovo ora, la mia azione mi appare indubbiamente libera. Ma se esamino un’azione compiuta un mese fa, trovandomi ormai in altre condizioni, riconosco involontariamente che se quell’azione non fosse stata compiuta, molte cose utili, piacevoli e anche necessarie che ne sono conseguite non avrebbero avuto luogo. Se poi mi trasferisco con il ricordo a un atto ancora più lontano, compiuto dieci o più anni fa, le conseguenze del mio atto mi appariranno ancor più evidenti, e mi riuscirà difficile immaginare che cosa sarebbe accaduto se quell’atto non avesse avuto luogo.

Quanto più indietro mi trasferirò con i ricordi, o, che è lo stesso, nell’avvenire con il giudizio, tanto più il mio ragionamento sulla libertà dell’atto diventerà dubbio.

La stessa progressione nella sicurezza della parte che spetta al libero arbitrio nelle azioni collettive dell’umanità noi troviamo nella storia. Un avvenimento contemporaneo ci appare senza alcun dubbio come opera di persone che ci sono tutte note; ma in un avvenimento più lontano noi vediamo già le inevitabili conseguenze al di fuori delle quali non possiamo immaginarci nient’altro. E quanto più andiamo indietro nel nostro esame degli avvenimenti tanto meno essi ci appaiono arbitrari.

La guerra austro-prussiana ci appare come un’indubbia conseguenza delle azioni dell’astuto Bismarck, ecc.

Le guerre napoleoniche, sebbene in modo più dubbio, tuttavia ci appaiono ancora come opera della volontà di eroi; ma nelle crociate vediamo già un avvenimento che occupa un posto ben determinato e senza del quale la storia moderna dell’Europa sarebbe inconcepibile, sebbene ai cronisti delle crociate questo avvenimento apparisse soltanto come opera della volontà di alcuni personaggi. Se poi passiamo alla migrazione dei popoli, a nessuno oggi viene in mente che dipendesse dall’arbitrio di Attila rinnovare il mondo europeo. Quanto più si trasporta indietro nella storia l’oggetto dell’osservazione tanto più dubbia diventa la libertà degli uomini che hanno prodotto gli eventi e tanto più evidente la legge della necessità.

3) Il terzo punto è la maggiore o minore nostra capacità di accesso a quell’infinita serie di cause che costituisce un’esigenza inevitabile della ragione e nella quale ogni fenomeno capito - e perciò ogni azione dell’uomo - deve avere il suo posto determinato, come conseguenza delle azioni precedenti e causa delle successive.

Su questo si fonda il fatto che le nostre azioni e quelle degli altri uomini ci appaiono, da una parte, tanto più libere e meno soggette alla necessità quanto più ci sono note le leggi fisiologiche, psicologiche e storiche dedotte dall’osservazione, alle quali l’uomo è soggetto, e quanto più sicuramente è stata da noi osservata la causa fisiologica, psicologica o storica dell’azione; d’altra parte, quanto più semplice è l’azione osservata e quanto meno complicato per carattere e intelligenza è quell’uomo la cui azione consideriamo.

Quando assolutamente non comprendiamo la causa di un’azione, si tratti di un delitto, di un’opera buona o anche di un’azione indifferente al bene e al male, in quest’azione noi riconosciamo la massima percentuale di libertà.

Nel caso di un delitto noi esigiamo soprattutto un castigo; nel caso di una buona azione apprezziamo soprattutto l’azione stessa. Nel terzo caso riconosciamo la presenza della massima individualità, originalità, libertà. Ma se anche una sola delle innumerevoli cause ci è nota, riconosciamo già una certa parte di necessità e chiediamo minor pena per il delitto, riconosciamo minor merito nell’azione virtuosa e minor libertà nell’azione che ci era sembrata originale. Il fatto che il delinquente sia cresciuto in un ambiente di canaglie già attenua la sua colpa. L’abnegazione di un padre, di una madre, il sacrificio con la possibilità di una ricompensa sono più comprensibile di un sacrificio senza motivo, e perciò sembrano meno meritevoli di simpatia, meno liberi. Il fondatore di una setta, di un partito, un inventore ci riescono meno sorprendenti quando sappiamo come e da che cosa è stata preparata la loro attività. Se noi abbiamo una lunga serie di esperienze, se la nostra osservazione è costantemente rivolta alla ricerca dei rapporti di causa ed effetto nelle azioni umane, le azioni degli uomini ci appariranno tanto più necessarie e tanto meno libere quanto più sicuramente noi colleghiamo gli effetti con le cause. Se le azioni considerate sono semplici e noi abbiamo avuto la possibilità di osservare un’enorme quantità di azioni del genere, la nostra idea della loro necessità sarà ancora più piena. L’atto disonesto del figlio di un padre disonesto; la cattiva condotta di una donna capitata in un certo ambiente, il ritorno all’ubriachezza di un uomo che è stato un alcoolizzato, e così via, sono azioni che tanto meno ci appaiono libere quanto più ce ne risulta comprensibile la causa. Se poi l’uomo di cui esaminiamo l’azione si trova al più basso livello dello sviluppo mentale, come un bambino, un pazzo, un idiota, conoscendo le cause dell’azione e la elementarità del carattere e della mente, noi vediamo già una parte così grande di necessità e così poca libertà, che non appena ci è nota la causa che deve produrre l’atto, possiamo già prevederlo.

Solo su questi tre punti si fondano i concetti delle circostanze attenuanti la colpa e della non imputabilità dei delitti, che esistono in tutte le legislazioni. L’imputabilità appare minore o maggiore a seconda della maggiore o minore conoscenza delle circostanze in cui si trovava la persona la cui azione è sottoposta a giudizio, secondo il maggiore o minore intervallo di tempo intercorso fra il momento in cui l’azione è stata compiuta e il momento in cui viene giudicata e secondo la maggiore o minore comprensione delle cause dell’azione.

X

Così la nostra concezione della libertà e della necessità gradualmente aumenta e diminuisce a seconda del maggiore o minore legame con il mondo esterno, della maggiore o minore lontananza nel tempo dalle cause in base alle quali esaminiamo i fenomeni della vita umana.

Cosicché, se consideriamo la situazione di un uomo, il cui legame con il mondo esterno è più noto e maggiore il periodo di tempo intercorso tra il giudizio di un suo atto e il momento in cui è stato compiuto e più accessibili le cause del suo atto, ci facciamo l’idea di una massima necessità e di una libertà minima. Se invece consideriamo una persona in una situazione di minor dipendenza dalle cause esterne; se la sua azione è stata compiuta in un momento vicinissimo al momento presente e le cause della sua azione ci sono inaccessibili, ci facciamo l’idea di una necessità minima e di una libertà piena.

Ma sia nell’uno che nell’altro caso, per quanto mutiamo il nostro punto di vista, per quanto cerchiamo di chiarirci il più possibile il legame in cui l’uomo si trova con il mondo esterno, o per quanto esso ci sembri incomprensibile, per quanto si allunghi o si abbrevi il periodo di tempo; per quanto comprensibili o incomprensibili ci siano le cause, non possiamo mai immaginarci né una completa libertà, né un’assoluta necessità.

1) Per quanto cerchiamo di rappresentarci un uomo che non subisce nessuna influenza del mondo esterno, non riusciremo mai a concepire una libertà nello spazio. Ogni azione dell’uomo è inevitabilmente condizionata da ciò che lo circonda e dallo stesso corpo dell’uomo. Io alzo una mano e l’abbasso. La mia azione mi sembra libera; ma, alla domanda se avrei potuto alzare la mano in qualsiasi direzione, vedo che ho alzato la mano in quella direzione che avrebbe incontrato meno ostacoli sia nei corpi che mi circondano, sia nella struttura stessa del mio corpo. Se fra tutte le possibili direzioni ne ho scelto una, l’ho scelta perché quella direzione presentava minori ostacoli. Perché la mia azione sia libera è necessario che essa non incontri nessun ostacolo. Per potersi rappresentare un uomo libero, dobbiamo immaginarlo fuori dello spazio, cosa evidentemente impossibile.

2) Per quanto si cerchi di avvicinare il momento del giudizio al momento in cui è avvenuta l’azione, non otterremo mai il concetto della libertà nel tempo. Poiché se considero un atto compiuto un secondo prima, devo comunque riconoscere la non libertà di quell’atto in quanto è inchiodata a quel momento nel quale è stata compiuta.

Posso alzare una mano? Io la alzo, ma mi domando: potevo non alzare la mano in quel momento che è ormai passato?

Per convincermene nel momento successivo non la alzo. Ma io non ho alzato la mano in quel momento in cui mi domandavo se ero libero. Ormai è trascorso del tempo, che non era in mio potere fermare, e la mano che allora ho alzato e l’aria in cui allora ho fatto quel movimento non sono più la stessa aria che ora mi circonda, né la stessa mano, con la quale ora non faccio un movimento. Quel momento in cui si è compiuto il primo movimento è irrevocabile e in quel momento io potevo fare un solo movimento e qualunque movimento io avessi fatto, quel movimento poteva essere soltanto uno. Il fatto che nel momento seguente io non abbia alzato la mano non dimostra che potevo non alzarla. E

siccome il mio movimento poteva essere uno solo in quel momento non poteva essere un altro. Per rappresentarselo libero bisogna immaginarlo nel presente, al limite tra passato e futuro, cioè fuori del tempo, il che è impossibile.

3) Per quanto aumenti la difficoltà di capire le cause, non riusciremo mai a rappresentarci una libertà assoluta, cioè senza cause. Per quanto a noi resti inaccessibile la causa di un’espressione della volontà in un’azione nostra o altrui, la prima esigenza dell’intelletto è la supposizione e la ricerca di una causa, senza la quale qualsiasi fenomeno è inconcepibile. lo alzo la mano per compiere un atto indipendente da ogni causa, ma il fatto che io voglia compiere un atto che non ha causa è la causa della mia azione.

Ma anche se, rappresentandoci un uomo assolutamente al riparo da ogni sorta di influenze, considerandone soltanto un’azione mpmentanea del presente e supponendo che essa non sia provocata da nessuna causa, ammettessimo un residuo di necessità infinitamente piccolo, pari a zero, neanche in questo caso giungeremmo al concetto della piena libertà dell’uomo, poiché un essere impermeabile agli influssi del mondo esterno, che si trova fuori del tempo e non dipende da cause, non è più un uomo.

Allo stesso modo non possiamo mai immaginare un’azione umana senza che la libertà vi abbia parte e sia sottoposta soltanto alla legge della necessità.

1) Per quanto aumenti la nostra conoscenza delle condizioni spaziali in cui si trova l’uomo, questa conoscenza non può mai essere completa, dato che il numero di queste condizioni è infinitamente grande, com’è infinito lo spazio. E

perciò, dato che non tutte le condizioni che influiscono sull’uomo sono definite, non si ha mai un’assoluta necessità, ma esiste una certa parte di libertà.

2) Per quanto si estenda il periodo di tempo tra il fenomeno che esaminiamo e il momento del giudizio, sarà sempre un periodo finito, mentre il tempo è infi-

nlto, e perciò anche sotto questo riguardo non si potrà mai avere un’assoluta necessità.

3) Per quanto sia accessibile la catena delle cause di una qualsiasi azione, non potremo mai conoscere l’intera catena, poiché essa è infinita, e di nuovo non otterremo mai un’assoluta necessità.

Ma, oltre a ciò; anche se, ammettendo un residuo minimo di libertà pari a zero, noi ammettessimo in un caso qualsiasi, come, per esempio, in un uomo morente, in un embrione, in un idiota, una totale mancanza di libertà, per ciò stesso distruggeremmo il concetto stesso di uomo così come noi lo consideriamo, poiché, non appena non esiste la libertà, non esiste più l’uomo. E perciò la rappresentazione di una azione umana soggetta alla sola legge della necessità, senza il minimo residuo di libertà, è altrettanto impossibile della rappresentazione di un’azione umana assolutamente libera.

Perciò, per rappresentarci un’azione umana soggetta alla sola legge della necessità, senza libertà, noi dobbiamo ammettere la conoscenza di una infinita quantità di condizioni spaziali, di un periodo di tempo infinitamente grande e di una infinita serie di cause.

Per rappresentarci un uomo completamente libero, non soggetto alla legge della necessità, dobbiamo rappresentarlo solo al di fuori dello spazio, al di fuori del tempo e al di fuori di ogni dipendenza dalle cause.

Nel primo caso, se fosse possibile la necessità senza la libertà, giungeremmo alla definizione della legge della necessità attraverso la stessa necessità, cioè a una forma senza contenuto.

Nel secondo caso, se fosse possibile la libertà senza necessità, giungeremmo a una libertà incondizionata al di fuori del tempo, dello spazio e delle cause, la quale libertà per il fatto stesso di essere incondizionata e non limitata da nulla non sarebbe altro che un contenuto senza forma.

Giungeremmo insomma a quelle due basi sulle quali si fonda la concezione del mondo che ha l’uomo: all’inaccessibile essenza della vita e alle leggi che determinano quest’essenza.

La ragione dice: 1) Lo spazio con tutte le forme che gli dà la sua apparenza - la materia - è infinito e non può essere pensato altrimenti. 2) Il tempo è un infinito movimento senza un solo momento di quiete e non può essere pensato altrimenti. 3) Il nesso fra le cause e gli effetti non ha principio e non può avere fine.

La coscienza dice: 1) Io sono sola e tutto ciò che esiste si riduce a me; di conseguenza, io includo lo spazio; 2) io misuro il tempo che passa con il momento immobile del presente nel quale solo so di vivere; di conseguenza, io sono fuori del tempo; e 3) io sono al di fuori delle cause, poiché mi sento causa di ogni manifestazione della mia vita.

La ragione esprime le leggi della necessità. La coscienza esprime l’essenza della libertà.

La libertà non limitata da nulla è l’essenza della vita nella coscienza dell’uomo. La necessità senza contenuto è la ragione dell’uomo con le sue tre forme.

La libertà è ciò che si considera. La necessità è ciò che considera. La libertà è il contenuto. La necessità è la forma.

Soltanto separando queste due fonti della conoscenza, che stanno tra di loro come forma e contenuto, si ottengono in modo separato i concetti, che reciprocamente si escludono e che non possono essere conosciuti, di libertà e di necessità.

Soltanto unendoli otteniamo una piena rappresentazione della vita dell’uomo.

Al di fuori di questi due concetti che reciprocamente si delimitano - come forma e contenuto - non è possibile alcuna rappresentazione della vita.

Tutto ciò che sappiamo della vita degli uomini è soltanto un dato rapporto tra libertà e necessità, cioè tra coscienza e leggi della ragione.

Tutto ciò che sappiamo del mondo esterno della natura è soltanto un dato rapporto tra le forze della natura e la necessità, tra l’essenza della vita e le leggi della ragione.

Le forze della vita della natura sono al di fuori di noi e noi non ne abbiamo coscienza; noi chiamiamo queste forze gravità, inerzia, elettricità, forza animale e così via; al contrario siamo coscienti della forza vitale dell’uomo e la chiamiamo libertà.

Ma, come la forza di gravità in se stessa incomprensibile pur essendo sentita da ogni uomo, ci è comprensibile solo nella misura in cui conosciamo le leggi della necessità alle quali è soggetta (dalla prima nozione che tutti i corpi sono pesanti fino alla legge di Newton); così anche la forza della libertà, in se stessa incomprensibile, di cui ognuno ha coscienza, ci è comprensibile solo nella misura in cui conosciamo le leggi della necessità alle quale è soggetta (cominciando dal fatto che ogni uomo muore fino alla conoscenza delle leggi economiche o storiche più complesse).

Qualsiasi conoscenza equivale a ricondurre l’essenza della vita alle leggi della ragione.

La libertà dell’uomo si distingue da ogni altra forza per il fatto che l’uomo ne è cosciente; ma per la ragione essa non si distingue in alcun modo da qualsiasi altra forza. La forza di gravità, l’elettricità o l’affinità chimica si distinguono fra loro solo perché queste forze sono diversamente definite dalla ragione. Nello stesso modo la forza della libertà dell’uomo per la ragione si distingue dalle altre forze della natura solo per la definizione che ne dà la ragione. La libertà senza la necessità, cioè senza le leggi della ragione che la definiscono, non si distingue in nulla dalla gravità, dal calore o dalla forza vegetativa; per la ragione è soltanto una vaga, indefinibile sensazione della vita.

E, come l’indefinibile essenza della forza che muove i corpi celesti, l’indefinibile essenza della forza del calore, dell’elettricità, o della forza dell’affinità chimica, o della forza vitale costituiscono il contenuto dell’astronomia, della fisica, della chimica, della botanica, della zoologia ecc., così l’essenza della forza della libertà costituisce il contenuto della storia. Ma come l’oggetto di qualsiasi scienza è il modo di manifestarsi di questa ignota essenza della vita, e in sé quest’essenza può essere soltanto l’oggetto della metafisica, così le manifestazioni della forza della libertà umana nello spazio, nel tempo e in dipendenza dalle cause costituisce l’oggetto della storia; mentre la libertà in se stessa è oggetto della metafisica.

Nelle scienze sperimentali chiamiamo leggi della necessità ciò che ci è noto; chiamiamo forza vitale ciò che ci è ignoto. La forza vitale è solo l’espressione di un residuo ignoto di ciò che noi sappiamo dell’essenza della vita.

Esattamente lo stesso nella storia: ciò che ci è noto lo chiamiamo leggi della necessità; ciò che ci è ignoto, libertà. La libertà, per la storia, è soltanto l’espressione di un residuo ignoto di ciò che sappiamo delle leggi della vita dell’uomo.

Guerra e Pace
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