PROCLAMA

 

«Pacifici abitanti di Mosca, artigiani e operai, che la sciagura ha costretto ad allontanarsi dalla città, e voi, agricoltori disseminati qua e là per le campagne, che un’infondata paura trattiene ancora lontano dalla città, ascoltate! La pace sta ritornando in questa capitale e l’ordine vi è ormai ristabilito. I vostri conterranei escono senza timore dai loro rifugi, certi di essere rispettati. Qualsiasi atto di violenza contro le loro persone e i loro averi viene immediatamente punito. Sua Maestà l’Imperatore e Re tutela i loro diritti e nessuno tra voi è considerato da Lui suo nemico, eccetto coloro che non obbediscono al Suo volere. Egli vuole por fine alle vostre sciagure e restituirvi alle vostre case e alle vostre famiglie. Venite dunque incontro alle sue benefiche intenzioni e avvicinatevi a noi senza alcun timore di pericolo. Abitanti! Ritornate con fiducia nelle vostre abitazioni: presto troverete il modo di soddisfare i vostri bisogni!

Operai e artigiani laboriosi! Ritornate ai vostri mestieri: le case e le botteghe, protette da pattuglie di soldati, vi attendono, e il vostro lavoro riceverà il dovuto compenso! E voi infine, contadini, uscite dai boschi in cui vi ha spinto il terrore, ritornate senza paura nelle vostre izbe, nella ferma fiducia che troverete conveniente difesa. In città sono stati istituiti magazzini, dove i contadini potranno portare le scorte superflue di cereali e altri prodotti della terra. Il Governo ha preso i seguenti provvedimenti per garantire la libera vendita dei prodotti agricoli: 1) a datare da oggi, i contadini, gli agricoltori e coloro che vivono nei dintorni di Mosca possono portare in città senza alcun pericolo le loro scorte, di qualunque genere esse siano, in due magazzini designati a questo scopo, sulla Mochovaja e all’Ochotnyj Rjad; 2) detti prodotti verranno da essi venduti al prezzo che verrà concordato con l’acquirente; ma se il venditore non riceverà il giusto prezzo da lui richiesto, il venditore stesso sarà libero di riportarseli indietro, nella sua campagna, e nessuno, sotto nessun pretesto, potrà impedirglielo; 3) tutte le domeniche e i mercoledì sono fissati come giorni di grande mercato settimanale, ragion per cui un adeguato contingente di soldati il martedì e il sabato verrà dislocato su tutte le strade maestre, a una certa distanza dalla città, onde proteggere i convogli; 4) eguali misure saranno prese affinché sulla strada del ritorno i contadini non incontrino ostacoli con i loro veicoli e cavalli; 5) saranno presi al più presto provvedimenti per il ripristino dei normali commerci. Abitanti della città e delle campagne, e voi, lavoratori e artigiani, di qualunque nazionalità siate! Siete invitati ad ottemperare alle paterne intenzioni di Sua Maestà l’Imperatore e Re, e a collaborare con Lui alla causa del benessere comune. Recate ai Suoi piedi fiducia e rispetto e non esitate a unirvi a noi!»

Per tenere alto il morale delle truppe e del popolo, di continuo venivano organizzate riviste, venivano distribuite ricompense. L’imperatore girava a cavallo per le vie della città e dava conforto agli abitanti; e, nonostante il gran daffare che gli davano le questioni di governo, frequentava di persona i teatri istituiti per suo ordine.

Per quanto riguardava la beneficenza, la più alta virtù dei coronati, Napoleone faceva tutto ciò che era in suo potere. Su tutti gli istituti di beneficenza aveva ordinato di scrivere Maison de ma mère, intendendo unire, con quest’atto, il tenero sentimento del figlio alla maestosa virtù del monarca. Visitò l’ospizio infantile e, lasciando che gli orfani da lui salvati sbaciucchiassero le sue bianche mani, si trattenne a conversare benignamente con Tutolmin. Poi -

come risulta dall’eloquente esposizione di Thiers - fece distribuire la paga alle sue truppe in denaro russo, in quel denaro falso che lui stesso aveva fatto fabbricare. « Relevant l’emploi de ces moyens par un acte digne de lui et de l’armée Française, il fit distribuer des secours aux incendiès. Mais les vivres étant trop précieux pour être donnés à des étrangers la plupart ennemis, Napolèon aima mieux leur fournir de l’argent à fin qu’ils se fournissent au dehors, et il leur fit distribuer des roubles papiers»

Per ciò che riguardava la disciplina dell’esercito, venivano emanati di continuo ordini che stabilivano severe punizioni per le inadempienze ai doveri di servizio, e disposizioni dirette a stroncare il saccheggio.

X

Eppure, strano a dirsi, tutti questi provvedimenti, progetti, premure, che non erano affatto peggiori di altri decisi in circostanze analoghe, non sfioravano nemmeno la sostanza della cosa: giravano senza scopo, a loro capriccio, non riuscendo a entrare nell’ingranaggio come le lancette d’un quadrante d’orologio staccato dal meccanismo.

Dal punto di vista strategico il geniale piano della campagna russa, di cui Thiers dice « que son génie n’avait jamais rien imaginé de plus profond, de plus habile et de plus admirable» e a proposito del quale lo stesso Thiers, entrando in polemica con monsieur Fain dimostra che deve essere stato preparato non già il 4, ma il 15 ottobre, questo piano non fu mai - né mai avrebbe potuto essere - realizzato perché non conteneva nulla che si avvicinasse alla realtà.

La fortificazione del Cremlino, per la quale sarebbe stato necessario abbattere la Mosquée (così Napoleone chiamava la chiesa di San Basilio), si dimostrò perfettamente inutile. La collocazione di mine sotto il Cremlino mirava unicamente ad esaudire il desiderio dell’imperatore che, nell’abbandonare Mosca, il Cremlino saltasse in aria: si voleva, cioè, punire una trave del pavimento su cui il bambino, cadendo, s’era fatto male. Durante l’inseguimento dell’esercito russo, inseguimento che stava tanto a cuore a Napoleone, si verificò un fenomeno inaudito. I comandanti francesi perdettero le tracce di un esercito di sessantamila russi e, come asserisce Thiers, fu solo grazie all’abilità - e persino alla genialità - di Murat, che si riuscì a rintracciare, nemmeno si trattasse d’uno spillo, quell’esercito di sessantamila uomini.

Quanto alla diplomazia, tutte le argomentazioni circa la propria magnanimità e giustizia, svolte da Napoleone di fronte a Tutolmin e Jakovlev, quest’ultimo preoccupato solo di trovare un cappotto e una vettura, si dimostrarono inutili. Alessandro non ricevette quegli ambasciatori e non rispose alla loro ambasceria.

Dal punto di vista giuridico, dopo l’esecuzione dei presunti incendiari, andò a fuoco anche l’altra metà di Mosca.

Dal punto di vista amministrativo, l’istituzione della municipalità non arrestò il saccheggio e si dimostrò vantaggiosa, solo per quelle persone che della municipalità facevano parte e che, sotto il pretesto di mantenere l’ordine, saccheggiavano Mosca o salvavano la roba loro dal saccheggio.

Per la questione religiosa, il metodo - basato sulle visite alle moschee - che in Egitto aveva dato così buoni risultati, qui non portò nessun frutto. Due o tre preti, tutti quelli, cioè, che si poterono trovare a Mosca, tentarono di eseguire i voleri di Napoleone, ma uno di essi fu schiaffeggiato da un soldato francese durante una funzione e, a proposito di un altro, un funzionario francese fece il seguente rapporto: « Le prêtre, que j’avais découvert et invité à recommencer à dire messe, a nettoyé et fermé l’église. Cette nuit on est venu de nouveau à enfoncer les portes, casser les cadenas, déchirer les livres et commettre d’autres désordres. »

Dal punto di vista del commercio, nessuna risposta seguì al proclama rivolto ai laboriosi artigiani e a tutti i contadini. Laboriosi artigiani in città non se ne trovavano, e i contadini, da parte loro, catturavano i commissari che si spingevano troppo lontano a diffondere il proclama nelle campagne, e li uccidevano.

Circa il divertimento e le distrazioni da offrire al popolo e all’esercito mediante i teatri, la cosa non ebbe miglior successo. I teatri istituiti al Cremlino e nella casa Poznjakov vennero subito chiusi, giacché gli attori e le attrici erano stati rapinati.

Neanche la beneficenza arrecò gli effetti desiderati. Mosca era piena di assegnati, falsi e non falsi, e ormai nessuno più vi attribuiva valore. I francesi, intenti ad accrescere il loro bottino, volevano soltanto l’oro. E non solo non avevano nessun valore le banconote false che così graziosamente Napoleone distribuiva agli infelici, ma persino l’argento veniva ceduto a un prezzo più basso del suo valore rispetto all’oro.

Ma la più stupefacente dimostrazione dell’inefficacia degli ordini supremi venne, in quel periodo, dai tentativi compiuti da Napoleone per porre fine ai saccheggi e ripristinare l’ordine pubblico.

Ecco cosa dicevano i rapporti delle autorità militari:

«In città continuano i saccheggi nonostante le disposizioni dirette a stroncarli. L’ordine non è ancora ristabilito e non c’è un solo mercante che eserciti la sua attività in modo legale. Soltanto i vivandieri si permettono di vendere, ma si tratta unicamente di oggetti rubati.»

« La partie de mon arrondissement continue à être en proie au pillage des soldats du 3 corps, qui, non contents d’arracher aux malheureux réfugiés dans des souterrains le peu qui leur reste, ont même la férocité de les blesser à coups de sabre, comme j’en ai vu plusieurs exemples. »

« Rien de nouveau outre que les soldats se permettent de voler et de piller. Le 9 octobre

« Le vol et le pillage continuent. Il y a une bande de voleurs dans notre district qu’il faudra arréter par de fortes gardes. Le 11 octobre. »

«L’imperatore è grandemente scontento del fatto che, nonostante l’ingiunzione di por fine al saccheggio, in città non si vede altro che reparti di soldati della Guardia che fanno ritorno al Cremlino carichi di bottino. Nella vecchia Guardia i disordini e il saccheggio si sono ripetuti, più violenti che mai, nella giornata di ieri, la scorsa notte e oggi. Con rincrescimento l’imperatore vede che i soldati scelti assegnati alla protezione della sua persona, quelli che dovrebbero dare esempio di disciplina, spingono invece a tal punto la loro disobbedienza da svaligiare le cantine e i magazzini approntati per l’esercito. Altri si sono abbassati al punto di non obbedire più alle sentinelle e agli ufficiali di guardia, e li ingiuriano e li battono.»

« Le grand maréchal du palais se plaint vivement,» scriveva il governatore, « que malgré les défenses réiterées, les soldats continuent à faire leurs besoins dans toutes les cours et même jusque sous le fenêtres de l’Empereur. »

Quest’esercito - che a somiglianza di un gregge brado calpestava sotto i piedi il foraggio che avrebbe potuto preservarlo dalla morte per fame - si disgregava e sempre più, ogni giorno della sua inutile permanenza a Mosca, andava incontro alla propria rovina.

Ma di lì non si spostava.

Si diede alla fuga solo quando, improvvisamente, fu assalito dal terror panico alla notizia della cattura dei convogli sulla strada di Smolensk, e della battaglia di Tarutino. E proprio la notizia della battaglia di Tarutino, che giunse inattesa a Napoleone durante una rivista, provocò in lui, come dice Thiers, il desiderio di punire i russi, così che diede quell’ordine di partire che da tutto l’esercito era richiesto.

Fuggendo da Mosca, gli uomini che componevano quell’esercito si portarono dietro tutto ciò che avevano saccheggiato. Anche Napoleone non abbandonò il suo trésor. Alla vista di tutti quei carriaggi che impacciavano la marcia dell’esercito, Napoleone restò sbigottito (come racconta Thiers). Eppure, con tutta la sua esperienza di cose di guerra, non diede l’ordine di bruciare i carriaggi inutili, così come aveva fatto con il convoglio di un maresciallo quando erano in marcia su Mosca; aveva dato un’occhiata alle carrozze e ai calessi su cui viaggiavano i soldati e aveva detto che era un’ottima cosa: quelle vetture sarebbero state adoperate per le vettovaglie, per i malati e per i feriti.

Tutto l’esercito era in una situazione simile a quella di un animale ferito che sente di essere perduto e non si rende più conto di quello che fa. Studiare le manovre e gli scopi perseguiti da Napoleone e dal suo esercito, dal momento del loro ingresso in Mosca fino alla disfatta finale, è come indagare il senso dei salti e delle convulsioni che precedono la fine di un animale ferito a morte. Spesso l’animale ferito, sentendo un fruscio, si lancia proprio in direzione del tiro del cacciatore, corre avanti, indietro, e così affretta da sé la propria fine. Lo stesso faceva Napoleone sotto la pressione di tutto il suo esercito. Il fruscio della battaglia di Tarutino aveva spaventato la belva ed essa si lanciò avanti, incontro al colpo del cacciatore, corse fino a lui, poi tornò di nuovo indietro e, infine, si diede alla fuga lungo la strada più svantaggiosa e pericolosa, come fa la belva pur di seguire le vecchie tracce.

Napoleone, che solitamente viene rappresentato come colui che guidò tutto questo movimento (così come i selvaggi credono che la figura scolpita sulla prua di una nave sia la forza da cui è guidata la nave), Napoleone - durante tutto questo periodo della sua attività - fu simile a un bambino che, aggrappato alle corde che pendono all’interno di una carrozza, s’immagina d’esser lui a guidare i cavalli.

Guerra e Pace
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