PARTE TERZA
I
La mente umana non riesce a concepire l’assoluta continuità del moto. Le leggi di qualsiasi movimento si rendono comprensibili all’uomo solo quando egli osserva come a sé stanti alcune unità di questo movimento. Ma è proprio da questa arbitraria divisione della continuità del moto in unità discontinue che deriva gran parte degli errori umani.
È noto l’antico sofisma secondo cui Achille non raggiungerà mai la tartaruga che gli cammina davanti, sebbene Achille proceda dieci volte più veloce della tartaruga; quando Achille avrà percorso lo spazio che lo divide dalla tartaruga, la tartaruga avrà percorso un’altra decima parte dello stesso spazio; Achille percorrerà questa decima parte e nel frattempo la tartaruga ne percorrerà una centesima parte, e così via all’infinito. Questo problema appariva insolubile agli antichi. L’assurdità della conclusione (Achille non raggiungerà mai la tartaruga) derivava unicamente dal fatto che si consideravano, in modo arbitrario, unità discontinue di moto, mentre il moto di Achille e della tartaruga avveniva in modo continuo.
Prendendo unità di moto sempre più piccole, noi non facciamo che avvicinarci alla soluzione del problema, ma non la raggiungeremo mai. Solo ammettendo una grandezza infinitamente piccola, e una progressione ascendente da essa fino al decimo grado, e riferendoci alla somma dei termini di questa progressione geometrica, possiamo raggiungere la soluzione del problema. La nuova branca della matematica che ha trovato il modo di trattare le grandezze infinitamente piccole, suggerisce oggi risposte che prima sembravano impossibili, anche per problemi più complessi.
Questa nuova branca della matematica, sconosciuta agli antichi, nel momento in cui ammette, a proposito dei problemi del moto, grandezze infinitamente piccole come quelle in cui si ripristina la condizione principale del moto (cioè l’assoluta continuità), corregge l’errore che la mente umana commette inevitabilmente quando esamina singole unità del moto invece del moto continuo.
Nella ricerca delle leggi degli avvenimenti storici accade esattamente la stessa cosa.
Il movimento dell’umanità, essendo l’espressione di un numero infinito di volontà umane, si compie in modo continuo.
Impadronirsi delle leggi di questo movimento è lo scopo degli storici. Ma per afferrare le leggi del movimento continuo costituito dalla somma di tutte le volontà umane, la mente dell’uomo utilizza unità arbitrarie e discontinue. Il primo passo di ogni ricerca storica consiste nel prendere una serie arbitraria di avvenimenti continui e nell’esaminarli separatamente dagli altri; mentre nessun avvenimento ha, né può avere, un principio a sé, giacché ogni avvenimento scaturisce, senza soluzione di continuità, dall’altro. Il secondo passo consiste nell’esaminare l’azione di un uomo, re o condottiero, come una somma di volontà umane, mentre la somma delle volontà umane non si esprime mai nell’attività di un solo personaggio storico.
La scienza storica, nel suo evolversi costante, esamina unità sempre più piccole, e per questa via tende ad avvicinarsi alla verità. Ma, per quanto piccole siano le unità che essa prende in considerazione, noi sentiamo che valutare un’unità separatamente dall’altra, o ammettere che sia possibile il principio di un qualsiasi fenomeno, è falso così come è falso ammettere che la volontà di tutti gli uomini si esprima nelle azioni di un solo personaggio storico.
Ogni deduzione della storia si sfalda come polvere al minimo sforzo critico, senza lasciare nulla dietro di sé, per il solo fatto che la critica scelga come oggetto d’osservazione un’unità discontinua maggiore o minore: cosa che può sempre fare, dal momento che l’unità assunta dalla storia è comunque arbitraria.
Solo sottoponendo all’osservazione un’unità infinitamente piccola, un differenziale della storia, vale a dire le tendenze omogenee degli uomini, e riuscendo ad integrare, cioè ad esprimere la somma di questi valori infinitamente piccoli, noi possiamo sperare di comprendere le leggi della storia.
Nei primi quindici anni del XIX secolo l’Europa conosce un inconsueto movimento di milioni di uomini. Gli uomini lasciano le loro abituali occupazioni, corrono da un angolo all’altro dell’Europa, rapinano, assassinano, trionfano e si disperano, per molti anni l’intero corso della vita cambia rivelando un intenso movimento che inizialmente va crescendo e poi diminuisce. Perché e in base a quali leggi avveniva tutto questo? si chiede la mente umana.
Gli storici, tentando di rispondere, raccontano le imprese, citano i discorsi di alcune decine di persone riunite in un edificio di Parigi, e per definire queste imprese e questi discorsi usano il termine «rivoluzione»; poi ci danno dettagliate biografie di Napoleone e di altri personaggi, alcuni a lui favorevoli, alcuni ostili, spiegano come e quanto queste persone si influenzassero a vicenda, e affermano: ecco come è nato questo movimento ed ecco le sue leggi.
La mente umana, però, non solo si rifiuta di prestar fede a questa spiegazione, ma denuncia apertamente la fallacità del suo metodo che considera le cause più marginali come determinanti e decisive. È stata la somma delle volontà umane a creare la rivoluzione e Napoleone, e soltanto questa somma di volontà li ha prima tollerati e poi distrutti.
«Ma ogni volta che ci sono state conquiste, ci sono stati anche conquistatori; ogni volta che si sono fatti dei grandi mutamenti in uno stato, ci sono stati anche grandi uomini,» dicono gli storici. Effettivamente, ogni volta che sono apparsi dei conquistatori, ci sono state anche delle guerre, risponde l’intelligenza umana, ma questo non dimostra che i conquistatori fossero la causa delle guerre e che si possono trovare le cause della guerra nell’attività di un solo uomo. Se io, ogni volta che guardo l’orologio, vedo che le lancette indicano le dieci e sento che dalla chiesa vicina le campane invitano alla messa, non ho per questo il diritto di concludere che la posizione delle lancette sia la causa del movimento delle campane.
Ogni volta che vedo una locomotiva in movimento, sento un fischio, vedo che si apre una valvola e vedo che si muovono le ruote, ma questo non mi dà il diritto di concludere che il fischio e il movimento delle ruote siano le cause del movimento della locomotiva.
I contadini dicono che in primavera talvolta soffia un vento freddo perché le gemme della quercia cominciano a schiudersi, e in effetti ogni primavera soffia un vento freddo quando la quercia fiorisce. Ma, sebbene io ignori la causa del vento freddo che soffia quando la quercia fiorisce, io non posso credere, come i contadini, che la causa del vento sia il fiorire della quercia, per il semplice fatto che l’intensità del vento è un effetto che sta al di fuori delle influenze della gemma. Io ci vedo soltanto una coincidenza di circostanze, circostanze che si possono riscontrare in ogni fenomeno della vita, e so che, per quanto scrupolosamente abbia osservato le lancette dell’orologio, la valvola e le ruote della locomotiva, o le gemme della quercia, non conoscerò la causa dello scampanio, del movimento della locomotiva e del vento primaverile. Così dovrebbero fare gli storici. E dei tentativi in questo senso sono già stati fatti.
Per studiare le leggi della storia dobbiamo sostituire completamente l’oggetto della nostra indagine, lasciare in pace i re, i ministri e i generali, e studiare quegli elementi omogenei e infinitesimali che condizionano il comportamento delle masse. È impossibile prevedere quanto lontano si possa andare su questa strada di comprensione delle leggi della storia; ma è evidente che solo su di essa si trova la possibilità di cogliere tali leggi, e la mente umana non ha ancora impiegato in questa direzione una milionesima parte degli sforzi che gli storici hanno impiegato per descrivere le imprese dei vari re, condottieri e ministri e per esporre le loro considerazioni in merito alle imprese stesse.