II

 

Qual è la forza che muove i popoli?

Gli scrittori di biografie particolari e gli storici di singoli popoli intendono questa forza come un potere inerente agli eroi e ai dominatori. Secondo le loro descrizioni, gli avvenimenti si verificano esclusivamente per volontà dei Napoleoni o degli Alessandri o, in genere, di quelle persone sulle quali lo storico concentra la sua attenzione. Le risposte che questo genere di storici danno alla domanda su quale sia la forza che muove gli avvenimenti sono soddisfacenti, ma solo finché si ha a che fare con un solo storico per ogni singolo avvenimento. Ma non appena gli storici di diverse nazionalità e concezioni cominciano a descrivere il medesimo avvenimento, le risposte che essi danno perdono subito ogni significato, perché questa forza viene interpretata da ognuno di loro non solo in modo diverso, ma spesso del tutto opposto. Uno storico afferma che un avvenimento fu causato dal potere di Napoleone, un altro afferma che è stato causato dal potere di Alessandro, un terzo dal potere di un altro personaggio. Oltre a ciò, gli storici di questo tipo si contraddicono l’un l’altro anche nelle spiegazioni che danno della forza sulla quale si basa il potere dello stesso personaggio. Thiers, bonapartista, dice che il potere di Napoleone era fondato sulla sua virtù e sulla sua genialità; Lanfrey repubblicano, dice che era fondato sulla sua canaglieria e sull’inganno del popolo. Cosicché gli storici di questo genere, distruggendo le posizioni l’uno dell’altro, con ciò stesso distruggono il concetto della forza che produce gli eventi e non danno nessuna risposta al quesito fondamentale della storia.

Gli storici di storie universali, che si devono occupare di tutti i popoli, sembrano riconoscere l’erroneità delle concezioni degli storici particolari riguardo alla forza che produce gli avvenimenti. Per essi questa forza non è un potere inerente agli eroi e ai capi, ma la considerano come il risultato di molte forze variamente dirette. Descrivendo una guerra o l’assoggettamento di un popolo, gli autori di storie universali non ricercano la causa dell’avvenimento nel potere di una singola persona, ma nell’interferenza reciproca delle azioni di molte persone collegate con l’avvenimento.

Secondo questa concezione, il potere dei personaggi storici, risultando come il prodotto di molte forze, non può più venir considerato come una forza che di per sé produce gli avvenimenti. Tuttavia, questi storici nella maggior parte dei casi impiegano di nuovo la concezione del potere come della forza che produce di per sé gli avvenimenti e che è con essi in rapporto di causa. Secondo la loro esposizione, ora il personaggio storico è un prodotto del suo tempo e il suo potere è solo il prodotto di varie forze; ora il suo potere è una forza che produce gli avvenimenti. Gervinus, Schlosser, per esempio, ed altri ancora, ora dimostrano che Napoleone è un prodotto della rivoluzione, delle idee del 1789 e così via, ora dicono apertamente che la campagna del 1812 e altri avvenimenti che sono loro sgraditi sono semplicemente il prodotto di una mal indirizzata volontà di Napoleone e che le stesse idee del 1789 vennero arrestate nel loro sviluppo dagli arbitri di Napoleone. Le idee della rivoluzione, l’orientamento generale degli avvenimenti produssero il potere di Napoleone. Ma il potere di Napoleone soffocò le idee della rivoluzione e l’orientamento generale degli avvenimenti.

Questa strana contraddizione non è affatto casuale. Non solo la si incontra da ogni passo, ma tutte le descrizioni degli autori di storie universali sono costituite da una serie conseguente di contraddizioni del genere. Questa contraddizione deriva dal fatto che dopo essersi addentrati nel terreno dell’analisi, questi storici si fermano a metà strada.

Per trovare le forze componenti di una risultante, è necessario che la somma delle componenti sia eguale alla risultante. Questa condizione non è mai rispettata dagli storici generali, e perciò, per spiegare la forza risultante, debbono necessariamente ammettere, oltre alle componenti che sono insufficienti, un’altra forza inspiegabile che agisce sulla risultante.

Lo storico particolare, descrivendo la campagna del 1813 o la restaurazione dei Borboni, dice apertamente che questi avvenimenti sono stati prodotti dalla volontà di Alessandro. Ma lo storico Gervinus, respingendo quest’opinione dello storico particolare, cerca di dimostrare che la campagna del 1813 e la restaurazione dei Borboni, oltre la volontà di Alessandro, ebbero come causa l’attività di Stein, di Metternich, di m.me de Staël, di Talleyrand, di Fichte, di Chateaubriand e di altri. La somma di queste componenti, però, cioè l’azione reciproca di Chateaubriand, di Talleyrand, di m.me de Staël e di altri, evidentemente non è eguale a tutta la risultante, e cioè a quel fenomeno per cui milioni di francesi si assoggettarono ai Borboni. Dal fatto che Chateaubriand, Talleyrand, m.me de Staël e altri si siano detti tra loro le tali e talaltre parole derivano soltanto i loro rapporti reciproci, ma non l’assoggettamento di milioni di uomini. E

perciò, per spiegare in che modo da questi loro rapporti sia derivato l’assoggettamento di milioni di uomini, cioè come da componenti eguali soltanto ad una A sia derivata una risultante eguale a mille A, lo storico deve necessariamente ammettere di nuovo quella forza del potere che ha negato, riconoscendovi il risultato di forze molteplici, e cioè deve ammettere una forza inspiegabile che agisce sulla risultante. È ciò che fanno gli storici generali. E di conseguenza non solo contraddicono gli storici particolari, ma anche se stessi.

Gli abitanti delle campagne, non avendo un’idea chiara delle cause della pioggia, dicono, a seconda che desiderano la pioggia o il bel tempo, che il vento ha scacciato le nubi o che il vento ha portato le nubi. Non si comportano diversamente gli storici generali: a volte, quando gli garba, quando serve alla loro teoria, dicono che il potere è il risultato degli avvenimenti, altre volte, quando devono dimostrare qualcosa d’altro, dicono che il potere produce gli avvenimenti.

Un terzo tipo di storici, che si chiamano storici della cultura, seguendo la via tracciata dagli storici generali, che riconoscono spesso negli scrittori e nelle gran dame forze capaci di produrre gli avvenimenti, interpretano questa forza in modo completamente diverso. Essi la vedono nella cosiddetta cultura, nell’attività intellettuale.

Gli storici della cultura sono perfettamente conseguenti nei confronti dei loro predecessori, gli storici generali: poiché se è possibile spiegare gli avvenimenti storici col fatto che alcune persone sono state in questo o quel rapporto tra di loro, perché non spiegarli col fatto che alcune persone hanno scritto questi o quei libri? Questi storici, fra l’immenso numero di sintomi che accompagnano ogni fenomeno vivente, scelgono il sintomo dell’attività intellettuale e dicono che questo sintomo è la causa. Ma, nonostante tutti gli sforzi per dimostrare che la causa di un dato avvenimento è nella corrispettiva attività intellettuale, solo con molta fatica si può ammettere che tra l’attività intellettuale e il movimento dei popoli vi sia qualcosa di comune, ma non si potrà in nessun modo ammettere che sia l’attività intellettuale a dirigere le azioni degli uomini, poiché fenomeni come le terribili carneficine della rivoluzione francese, derivanti dalle prediche sull’uguaglianza degli uomini, o le guerre spietate e le repressioni, derivanti dalla predicazione dell’amore, sono in contrasto con questa supposizione.

Ma anche ammettendo che siano giuste tutte le astute e complesse elocubrazioni di cui abbondano queste storie; anche ammettendo che i popoli siano guidati da una certa forza indefinibile chiamata idea, il quesito fondamentale della storia o resta senza risposta, oppure all’antico potere dei monarchi e all’influenza dei consiglieri e di altre persone, introdotto dagli storici generali, si aggiunge ancora la nuova forza dell’ idea, il cui nesso con le masse richiede una spiegazione. È possibile capire che Napoleone abbia avuto il potere e perciò quel certo evento si sia verificato; con un po’ di buona volontà si può anche capire che Napoleone, insieme con altre influenze, sia stato causa di un avvenimento; ma in che modo il libro Contrat social abbia fatto sì che i francesi si siano messi a massacrarsi a vicenda è una cosa che non può essere capita se non si spiega il nesso causale tra questa nuova forza e l’avvenimento.

Indubbiamente esiste un nesso tra tutto ciò che si trova a vivere in uno stesso periodo, e perciò esiste la possibilità di trovare un certo nesso fra l’attività intellettuale degli uomini e il loro movimento storico, così come si può trovare un nesso del genere tra il movimento dell’umanità e il commercio, l’artigianato, il giardinaggio e quel che volete.

Ma è difficile capire perché l’attività intellettuale degli uomini appaia agli storici della cultura come la causa o l’espressione di tutto il movimento della storia. A una simile conclusione gli storici possono essere giunti solo in base a queste considerazioni: 1) la storia è scritta dai dotti, e perciò per loro è stato piacevole e naturale pensare che l’attività della loro categoria costituisca il fondamento del movimento di tutta l’umanità, come è naturale e piacevole pensare altrettanto per i commercianti, gli agricoltori, i soldati (e questo non risulta soltanto perché i commercianti e i soldati non scrivono libri di storia); 2) l’attività spirituale, l’istruzione, la civiltà, la cultura, l’idea, sono tutti concetti poco chiari, non ben definiti, sotto la cui copertura è molto comodo usare parole che hanno un significato ancora meno chiaro, e che sono facilmente applicabili a qualsiasi teoria.

Ma tralasciando di parlare del valore intrinseco di questo genere di storie (che forse saranno anche necessarie per qualcuno o per qualche cosa), le storie della cultura a cui si stanno sempre più riducendo tutte le storie universali, sono degne di nota per il fatto che, esaminando in modo serio e particolareggiato le varie dottrine religiose, filosofiche, politiche in quanto cause degli eventi, ogni volta che si trovano a dover descrivere un concreto fatto storico, come, per esempio, la campagna del 1812, lo descrivono involontariamente come un prodotto del potere, dicendo apertamente che la suddetta campagna è un prodotto della volontà di Napoleone. Esprimendosi così, gli storici della cultura involontariamente si contraddicono, o almeno dimostrano che quella nuova forza da loro escogitata non esprime gli eventi storici, e che l’unico mezzo per comprendere la storia è quel potere che essi non vorrebbero riconoscere.

Guerra e Pace
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