XIV
Appena aveva saputo da Nikolaj che suo fratello si trovava a Jaroslàvl insieme ai Rostov, la principessina Mar’ja, sebbene la zia tentasse di dissuaderla, si era immediatamente preparata a raggiungerlo, e non da sola, ma con il nipotino. Non chiese né volle sapere se fosse una cosa difficile, possibile: era suo dovere essere accanto al fratello, forse in fin di vita, e fare tutto il possibile per portargli il figlio; per questo s’accingeva a partire. Il fatto che il principe Andrej non l’avesse informata lui stesso, la principessina Mar’ja se lo spiegava col motivo che, forse, era troppo debole per scrivere, o che considerava troppo arduo e pericoloso per lei e per il bambino quel lungo viaggio.
In pochi giorni la principessina Mar’ja fu pronta: il suo convoglio era composto dalla grande carrozza del vecchio principe, quella con cui era venuta a Voronež, da un calesse e da una carretta. Con lei partirono m.lle Bourienne, Nikoluška con il precettore, la vecchia njanja, tre cameriere, Tichon, un giovane domestico e un haiduk, da cui la zia aveva voluto che fosse accompagnata.
Non si poteva nemmeno pensare di seguire il normale itinerario per Mosca, così il giro che doveva fare la principessina Mar’ja attraverso Lipetsk, Rjazan, Vladimir, Šuja era molto lungo, molto difficile perché non sempre si trovavano i cavalli postali, e persino pericoloso nelle vicinanze di Rjazan, dove si diceva che fossero apparsi i francesi.
Durante questo lungo viaggio, m.lle Bourienne, Dessales e la servitù della principessina Mar’ja restarono stupiti dalla sua fermezza d’animo e dalla sua resistenza fisica. Andava a dormire per ultima e si alzava per prima, nessuna difficoltà poteva fermarla. Grazie alla sua attività e alla sua energia, che lei riusciva a trasmettere anche ai suoi compagni di viaggio, alla fine della seconda settimana giunsero a Jaroslàvl.
L’ultimo periodo del suo soggiorno a Voronež era stato, per la principessina Mar’ja, il più felice della sua vita.
Ormai l’amore che provava per Rostov non la tormentava, non la sconvolgeva più. Quell’amore riempiva tutta la sua anima, era diventato parte di lei, e lei non lottava più contro quel sentimento. Negli ultimi tempi la principessina Mar’ja si era convinta di essere amata e di amare, anche se mai lo confessava a se stessa in modo chiaro e definito. Se ne era potuta convincere durante il suo ultimo incontro con Nikolaj, quando lui era venuto a comunicarle che suo fratello si trovava con i Rostov. Nikolaj non aveva fatto nessuna allusione alla possibilità che ora, in caso di guarigione del principe Andrej, quest’ultimo avrebbe potuto riallacciare gli antichi rapporti con Nataša, ma la principessina Mar’ja aveva capito, dall’espressione del suo volto, che lui si rendeva conto di quella possibilità, e ci pensava. E nonostante ciò, l’atteggiamento di Nikolaj nei suoi confronti, cauto, delicato e affettuoso, non soltanto non era mutato, ma egli sembrava persino felice che la parentela con la principessina Mar’ja gli consentisse di esprimerle più liberamente la sua amicizia-amore: così almeno credeva la principessina Mar’ja. Lei sapeva di amare per la prima e l’ultima volta nella sua vita, sapeva di essere riamata; ed era felice, tranquilla sotto questo riguardo.
Questa felicità puramente spirituale, però, non solo non le impediva di sentire in tutta la sua intensità il dolore per il fratello, ma anzi, tranquillizzando il suo spirito, in un certo senso le permetteva di abbandonarsi in pieno al sentimento verso il fratello. Questo sentimento era così forte, al momento della partenza da Voronež, che quelli che l’accompagnavano, vedendo la sua espressione sofferente e disperata, erano convinti che si sarebbe ammalata lungo la strada; e invece proprio le difficoltà e le preoccupazioni del viaggio, che la principessina Mar’ja affrontò con tanta energia, diedero tregua al suo dolore, infondendole nuova forza.
Come sempre succede in questi casi, la principessina Mar’ja pensava unicamente al viaggio, senza ricordarne lo scopo. Ma avvicinandosi a Jaroslàvl, quando di nuovo cominciò a pensare a ciò che poteva attenderla - e non più fra qualche giorno, ma quella sera stessa - l’agitazione della principessina Mar’ja giunse al grado estremo.
L’ hajduk, che era stato mandato avanti in città per informarsi dove stessero a Jaroslàvl i Rostov, e quali fossero le condizioni del principe Andrej, venne incontro, alla barriera della città, al resto del convoglio, in arrivo, vide e restò sbigottito nello scorgere il viso terribilmente pallido della principessina Mar’ja, affacciata al finestrino.
«Ho saputo tutto, eccellenza: i Rostov stanno in piazza, nella casa del mercante Bronnikov. Non è lontano, proprio in riva al Volga,» disse l’ haiduk.
La principessina Mar’ja lo guardava con un’aria spaventata e interrogativa, senza capire perché lui non rispondesse alla domanda più importante: come stava suo fratello? Fu m.lle Bourienne che fece, per conto della principessina, quella domanda.
«Come sta il principe?» domandò.
«Sua eccellenza sta con loro, nella stessa casa.»
«Dunque è vivo,» pensò la principessina e chiese a bassa voce:
«Come sta?»
«I domestici dicono che sta sempre nelle stesse condizioni.»
Cosa significasse «nelle stesse condizioni» la principessina non stette a chiederlo e, dopo aver gettato uno sguardo di sfuggita, senza darlo a vedere, al piccolo Nikoluška che stava seduto davanti a lei e gioiva alla vista della città, chinò la testa e non la rialzò più, finché la pesante carrozza, scricchiolando, sussultando e traballando non si fermò. I predellini scattarono in fuori con un gran fracasso.
Gli sportelli si aprirono. A sinistra c’era dell’acqua (il grande fiume), a destra una scalinata d’ingresso. Sulla scalinata c’era gente, alcuni domestici e una ragazza accesa in viso, con una grande treccia nera, che sorrideva - come parve alla principessina Mar’ja - in modo sgradevole e ipocrita (era Sonja). La principessina salì di corsa per le scale; la ragazza dal sorriso ipocrita disse: «Di qui, di qui!» e la principessina si trovò in anticamera, di fronte a una donna anziana, di tipo orientale, che le veniva rapidamente incontro con un’espressione commossa. Era la vecchia contessa.
Questa abbracciò la principessina Mar’ja e si mise a baciarla.
« Mon enfant! » esclamò. « Je vous aime et vous connais depuis longtemps.»
Nonostante fosse profondamente agitata, la principessina capì che aveva di fronte la contessa, e che bisognava dirle qualcosa. Senza sapere neppure lei come, pronunciò quelle parole di cortesia in francese, con lo stesso tono di quelle che le erano state appena rivolte, e poi domandò come stava lui.
«Il dottore dice che è fuori pericolo,» rispose la contessa, ma mentre diceva così levò con un sospiro gli occhi verso l’alto, e la sua espressione, nel compiere quel gesto, contrastava con le sue parole.
«Dov’è? È possibile vederlo?» domandò la principessina.
«Subito, principessina, subito, amica mia. E questo è suo figlio?» disse, rivolgendosi a Nikoluška, che in quel momento era entrato insieme a Dessalles. «Ci sarà posto per tutti, la casa è grande. Oh, che bambino delizioso!»
La contessa condusse la principessina in salotto. Sonja si mise a chiacchierare con m.lle Bourienne, mentre la contessa carezzava e vezzeggiava il bambino. Poi nella stanza entrò il vecchio conte e salutò la principessina.
Il vecchio conte era straordinariamente cambiato, da quando la principessina l’aveva visto l’ultima volta. Era un vecchietto arzillo, allegro, sicuro di sé: adesso la sua aria smarrita faceva quasi pena. Parlando con la principessina, si guardava continuamente intorno, come per chiedere ai presenti se si stava comportando a dovere.
Dopo la rovina di Mosca e del suo patrimonio, distolto all’improvviso dalla vita cui era avvezzo, aveva perso la consapevolezza della propria importanza e stentava a ritrovare il suo posto nella nuova realtà.
Nonostante fosse completamente presa dal desiderio di vedere al più presto il fratello, e irritata perché proprio in un momento simile quella gente la tratteneva, e s’attardava a vezzeggiare ipocritamente il nipotino, la principessina non poteva fare a meno di notare tutto ciò che accadeva intorno a lei, e sentiva che era necessario obbedire, per un certo tempo, alle regole di quel nuovo mondo nel quale era entrata. Sapeva che era indispensabile e, sebbene quell’attesa le costasse molto, non provava alcun astio nei confronti dei suoi ospiti.
«Questa è mia nipote,» disse il conte, presentando Sonja. «Voi non la conoscevate, principessina?»
La principessina si voltò verso Sonja e, cercando di soffocare il vago senso d’antipatia che nell’intimo provava per quella ragazza, la baciò. Ma tutti quei convenevoli cominciavano, ormai, a infastidirla, soprattutto, perché dimostravano che lo stato d’animo dei presenti era molto lontano dal suo.
«Dov’è lui?» domandò ancora una volta.
«È da basso, c’è Nataša con lui,» rispose Sonja arrossendo.
«Abbiamo già mandato qualcuno a informarsi delle sue condizioni. Ma lei sarà stanca, principessina…»
La stizza e il disappunto fecero spuntare le lacrime agli occhi della principessina. Si girò dall’altra parte e stava per chiedere nuovamente alla contessa di dove si passava per andare da lui, quando dal corridoio si udirono dei passi leggeri, precipitosi, quasi allegri. La principessina si voltò e vide entrare di corsa nella stanza Nataša, quella Nataša che in quel lontano incontro a Mosca le era piaciuta così poco.
Ma alla principessina bastò guardare Nataša negli occhi, per comprendere che quella era la sua sincera compagna di dolore e quindi sua amica. Le corse incontro e, abbracciandola, scoppiò a piangere sulla sua spalla.
Quando Nataša, che stava vegliando al capezzale del principe Andrej, aveva saputo dell’arrivo della principessina Mar’ja, era subito uscita in silenzio dalla stanza di lui e a passi rapidi, allegri come alla principessina era sembrato, era corsa da lei.
Il suo viso agitato, quand’era entrata nel salotto, esprimeva una cosa sola: il suo sconfinato amore per lui, per lei, per tutto ciò che era vicino all’uomo amato, la sua pietà e il suo dolore per gli altri, il suo appassionato desiderio di dedicare tutta se stessa per alleviare le pene altrui. Si vedeva che in quel momento nell’animo di Nataša era presente il più lontano pensiero di se stessa, dei suoi rapporti con lui.
La sensibile principessina Mar’ja aveva capito tutto questo, sin dal primo sguardo e ora piangeva con dolorosa voluttà sulla sua spalla.
«Andiamo, andiamo da lui, Marie,» disse Nataša, conducendola in un’altra stanza.
La principessina Mar’ja sollevò il viso, si asciugò le lacrime e si rivolse a Nataša. Sentiva che da lei avrebbe capito, avrebbe saputo tutto.
«Come…» cominciò a chiedere, ma di colpo si interruppe.
Comprese che in quel momento le parole erano inutili: per le domande come per le risposte. La faccia e gli occhi di Nataša le avrebbero detto tutto quello che la voce sapeva.
Nataša la guardava, ma sembrava che avesse dei timori, dei dubbi: era incerta se dire tutto quello che sapeva, come se nell’intimo sentisse che di fronte a quegli occhi luminosi, che penetravano fino in fondo al suo cuore, non si poteva non dire tutta, tutta la verità, così come lei l’aveva vista. Le labbra le tremarono, intorno alla bocca comparvero piccole grinze, e, scoppiando in singhiozzi, Nataša si nascose il viso fra le mani.
La principessina Mar’ja comprese tutto.
E tuttavia continuava a sperare e domandò con parole in cui non credeva:
«Ma com’è la sua ferita? Come sta, nel complesso?»
«Voi, voi… vedrete,» poté dire soltanto Nataša.
Per un po’ rimasero sedute da basso, vicino alla sua camera, per rimettersi dal pianto ed entrare da lui con visi tranquilli.
«Che decorso ha avuto la malattia? È molto che è peggiorato? Quando è successo questo?» domandava la principessina Mar’ja.
Nataša raccontò che in un primo tempo il pericolo era rappresentato dallo stato febbrile e dai terribili dolori, ma che, vicino a Troica, quel pericolo era passato e al dottore era rimasto un solo timore: la cancrena. Ma anche questo pericolo era passato. Quando erano arrivati a Jaroslàvl, la ferita aveva cominciato a suppurare (Nataša, ormai, sapeva tutto circa la suppurazione, e altre cose del genere), e il dottore aveva detto che la suppurazione poteva avere buon esito.
Era sopravvenuta la febbre. Il dottore aveva detto che quella febbre non era poi così pericolosa.
«Ma due giorni fa,» cominciò Nataša, «improvvisamente è avvenuto questo…», qui si trattenne dal singhiozzare. «Non so perché, ma vedrete voi stessa in che stato si trova…»
«S’è indebolito? È dimagrito?» domandò la principessina.
«No, non è questo, peggio. Vedrete. Ah, Marie, è troppo buono, lui non può, non può vivere, perché…»