XIV

 

M.me Schoss, che era andata a trovare sua figlia, accrebbe più che mai lo spavento della contessa raccontandole ciò che aveva visto in un deposito di alcolici di via Mjasnitskaja. Ritornando per quella strada, non aveva potuto proseguire verso casa per la presenza di una folla ubriaca che tumultuava davanti al deposito. Aveva preso una carrozza di piazza ed era rientrata a casa facendo un lungo giro per i vicoli; il vetturino le aveva raccontato che il popolo spaccava le botti del deposito, giacché tale era l’ordine.

Dopo pranzo tutti i componenti della famiglia Rostov si accinsero con entusiastico impegno all’imballaggio degli oggetti e ai preparativi per la partenza. Il vecchio conte, che nel pomeriggio era improvvisamente divenuto attivo, non smetteva di andare dalla casa al cortile e viceversa, urlando ordini sconclusionati alla servitù e facendole ancor più fretta. Petja dava ordini in cortile. Sonja non sapeva che cosa fare sotto l’incalzare dei contradditori ordini del conte e finiva col perdere completamente la testa. I servitori, urlando, discutendo e facendo un gran chiasso, correvano su e giù per le stanze e il cortile. Nataša, con l’ardore che metteva sempre in tutte le cose, si era messa improvvisamente all’opera anche lei. Dapprima il suo intervento nel lavoro d’imballaggio fu accolto dagli altri con diffidenza. Da lei tutti si aspettavano soltanto scherzi e non volevano darle retta; ma, con ostinazione e accanimento, lei esigeva che le obbedissero, si arrabbiava, quasi piangeva a vedere che non le davano ascolto, e infine riuscì ad ottenere la loro fiducia.

La sua prima impresa, che le costò immensi sforzi e le conferì definitiva autorità, fu l’imballaggio dei tappeti. Il conte aveva in casa dei preziosi gobelins e tappeti persiani. Quando Nataša si mise al lavoro, nel salone c’erano due casse aperte: una era già piena fin quasi all’orlo di porcellane, l’altra di tappeti. Molte altre porcellane erano ancora sui tavoli e se ne continuavano a portare dalla dispensa. Bisognava cominciare una nuova, terza cassa e gli uomini andarono a prenderla.

«Sonja, aspetta, possiamo sistemare tutto così,» disse Nataša.

«Impossibile, signorina, ci abbiamo già provato,» disse il dispensiere.

«No, aspetta, ti prego.» E Nataša cominciò a togliere dalla cassa i piatti e le scodelle avvolti nella carta.

«I piatti qui, fra i tappeti,» disse.

«Ma solo di tappeti ce n’è ancora da riempire più di tre casse,» disse il dispensiere.

«Ma aspetta, per piacere.» E Nataša si mise a vuotare la cassa e a scegliere gli oggetti con rapidità e destrezza.

«Questi no,» disse dei piatti di Kiev, «questi sì, fra i tappeti,» disse dei piatti di Sassonia.

«Ma lascia stare, Nataša; basta, via, sistemiamo tutto noi,» disse in tono di rimprovero Sonja.

«Eh, signorina!» diceva il maggiordomo.

Ma Nataša non si arrese, tirò fuori tutto dalla cassa e cominciò di nuovo a riempirla rapidamente dopo aver deciso che non era assolutamente il caso di portar via i modesti tappeti di fattura domestica e le stoviglie superflue. Ed effettivamente, eliminata tutta la roba di poco valore, tutto quello che non valeva la pena di portarsi dietro, tutta la roba di valore si riuscì a sistemarla in sole due casse. Solo che il coperchio della cassa dei tappeti non voleva chiudersi. Si sarebbero potute togliere alcune cose, ma Nataša insisteva. Tentava di accomodare meglio, di sistemare diversamente, obbligava il dispensiere e Petja (che s’era trascinato dietro nel lavoro d’imballaggio) a premere sul coperchio e faceva lei stessa sforzi disperati.

«Ma basta, Nataša,» le disse Sonja. «Vedo che avevi ragione, ma togli quel che c’è sopra.»

«Non voglio!» gridò Nataša, scostandosi con la mano i capelli che le ricadevano sul volto sudato e con l’altra continuando a schiacciare i tappeti. «Su, forza spingi, Petja, spingi! Vasiliè, spingi!» gridava.

I tappeti si appiattirono e il coperchio si chiuse. Battendo le mani, Nataša si mise a urlare di gioia e le spuntarono le lacrime agli occhi. Ma fu cosa di un attimo. Subito mise mano a un altro lavoro; tutti ormai avevano piena fiducia in lei e il conte non si arrabbiò quando gli dissero che Natalja Il’inièna aveva mutato un suo ordine e i domestici andavano da lei a chiedere se legare o no il carro e se era carico abbastanza. Le cose procedevano più spedite grazie all’intervento di Nataša: si lasciavano le cose inutili e si imballavano nel modo meno ingombrante quelle di valore.

Ma per quanto tutta la servitù si desse da fare al massimo, a tarda notte non s’era ancora riusciti a imballare tutto. La contessa si era addormentata e anche il conte andò a dormire rimandando la partenza al mattino.

Sonja e Nataša, senza svestirsi, dormirono nella stanza dei divani.

In nottata un altro ferito passò per via Povarskaja e Mavra Kuzminièna, che stava sul portone, lo fece entrare in casa Rostov. Quel ferito, così pensava Mavra Kuzminièna, doveva essere una persona molto importante. Lo trasportavano infatti in un calesse completamente chiuso dal mantice e con la cappotta calata. In cassetta, insieme al cocchiere, stava seduto un anziano, rispettabile cameriere. Seguiva una carrozza con un medico e due soldati.

«Accomodatevi da noi, prego. I padroni partono, la casa è vuota,» disse la vecchia rivolgendosi al vecchio cameriere.

«Eh,» rispose il cameriere con un sospiro, «non speriamo nemmeno di poterlo condurre a casa! Abbiamo una casa nostra, a Mosca, ma è lontana e ora è disabitata.»

«Venite da noi, vi prego, in casa dei miei padroni c’è tutto quello che occorre,» disse Mavra Kuzminièna. «Ma sta molto male?» soggiunse.

Il cameriere fece un gesto con una mano.

«Non speriamo nemmeno di poterlo condurre a casa. Bisognerebbe domandare al medico…»

E il cameriere scese di cassetta e si avvicinò alla carrozza.

«Va bene,» disse il dottore.

Il cameriere tornò al calesse, ci diede un’occhiata dentro, scosse la testa, ordinò al cocchiere di svoltare nel cortile e poi si fermò accanto a Mavra Kuzminièna.

«Signore Iddio!» mormorò lei

Mavra Kuzminiéna propose di portare il ferito su in casa.

«I padroni non diranno nulla…» diceva.

Ma bisognava evitare le scale e perciò il ferito venne trasportato nel padiglione annesso alla casa e adagiato nella vecchia camera di m.me Schoss. Il ferito era il principe Andrej Bolkonskij.

Guerra e Pace
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