XX

 

Pierre conosceva bene quella grande stanza divisa da un’arcata e da colonne, tutta addobbata di tappeti persiani.

La parte del locale oltre le colonne, dove a un lato aveva posto un grande letto di mogano chiuso da cortine di seta e all’altro una grande custodia a vetri piena di icone, era soffusa di una vivida luce rossa, come le chiese durante le funzioni serali. Sotto le guarnizioni metalliche delle icone, vivamente illuminate dal riverbero, c’era una lunga poltrona alla Voltaire, e sulla poltrona, contornata nella parte alta da candidi cuscini non ancora gualciti, evidentemente appena cambiati, giaceva - nascosta sino alla cintola da una coperta verde chiaro - la maestosa figura ben nota a Pierre: la figura di suo padre, il conte Bezuchov. Aveva anch’egli quella stessa canuta criniera di capelli, sparsa sulla larga fronte, che faceva pensare a un leone: e quelle stesse nobili rughe molto marcate, che solcavano il bel volto tinto di un colore giallo rossastro. Egli giaceva proprio sotto le immagini. Le sue mani larghe e grasse emergevano dalla coperta e vi posavano sopra. Fra il pollice e l’indice della mano destra, che giaceva con il palmo all’ingiù, era stata inserita una candela che un vecchio domestico reggeva, piegandosi da dietro la poltrona. Sulla poltrona incombevano, in piedi, i sacerdoti con i loro paramenti maestosi sfavillanti e i lunghi capelli che vi ricadevano sopra. Tenevano nelle mani i ceri accesi e celebravano, lenti e solenni. Un po’ più indietro stavano le due principessine più giovani, con i fazzoletti ora nelle mani ora premuti sugli occhi e, dinanzi a loro, la maggiore, Catiche, con un’espressione irosa e decisa e gli occhi che non si staccavano un istante dalle icone, quasi a dire che non rispondeva di sé caso mai avesse distolto lo sguardo. Anna Michajlovna, con una mite tristezza e una diffusa pietà dipinte sul volto, e la signora sconosciuta, erano in piedi accanto alla porta. Il principe Vasilij era sul lato opposto, vicino alla poltrona, dietro una sedia intagliata e foderata di velluto, che egli aveva voltato con lo schienale verso di sé. Vi teneva appoggiata la mano sinistra con la candela, e con la destra si faceva il segno della croce alzando gli occhi verso l’alto ogni volta che portava le dita alla fronte. La sua faccia esprimeva una tranquilla devozione e una pacata rassegnazione alla volontà divina. «Se voi non capite questi sentimenti, tanto peggio per voi,» sembrava dire la sua faccia.

Dietro di lui c’erano i dottori, l’aiutante e la servitù di sesso maschile; come fossero stati in chiesa, gli uomini e le donne si tenevano separati. Tutti tacevano e si facevano il segno della croce; si udivano soltanto la lettura liturgica, un sorvegliato, denso cantare di basso e, nei momenti di silenzio, sospiri e spostar di piedi. Con l’aria compresa di chi sa bene ciò che fa, Anna Michajlovna attraversò tutta la stanza, si avvicinò a Pierre e gli diede una candela. Lui l’accese e, impegnato a osservare i presenti, in distrazione cominciò a farsi il segno della croce con la stessa mano in cui reggeva la candela.

La principessina più giovane, Sophie, quella col neo, rubiconda e ridanciana lo stava guardando. Ella sorrise, nascose la faccia nel fazzoletto e lo tenne nascosto a lungo; poi, dopo aver dato un’occhiata a Pierre, rise di nuovo. Era evidente che non poteva guardarlo senza ridere, ma non riusciva a trattenersi; infine, per evitare quella tentazione, si spostò pian piano dietro una colonna. Verso la metà del rito le voci dei sacerdoti all’improvviso tacquero; gli ecclesiastici bisbigliarono tra lo loro qualcosa; il vecchio servitore che reggeva la mano del conte si sollevò e guardò le signore. Anna Michajlovna si fece avanti e, chinatasi sopra il malato, chiamò Lorrain facendogli un gesto con il dito da dietro la schiena. Il dottore francese stava in piedi appoggiato a una colonna, senza reggere nessuna candela, nell’atteggiamento rispettoso dello straniero che vuol mostrare come, nonostante la differenza di confessione religiosa, capisca tutta l’importanza del rito che si svolge e anche lo approvi. Si avvicinò dunque al malato coi passi silenziosi d’un uomo nel pieno vigore dell’età, prese con le sue bianche dita sottili la mano libera che posava sopra la coperta verde, e voltatosi dall’altra parte si mise a tastare il polso facendosi pensieroso. Il malato fu fatto bere, intorno a lui regnò una certa agitazione, poi tutti tornarono ai loro posti e il servizio divino ricominciò. Durante quest’interruzione Pierre osservò che il principe Vasilij aveva abbandonato il suo posto dietro la spalliera della seggiola. Poi, sempre con l’aria di saper bene ciò che faceva e tanto peggio per gli altri se non lo capivano, non si era avvicinato al malato, ma, passandogli accanto, aveva raggiunto la principessina più anziana e insieme con lei s’era diretto in fondo alla stanza, verso il grande letto dalle cortine di seta. Di lì il principe e la principessina erano poi scomparsi uscendo da una porta posteriore, ma, prima della fine della funzione erano ritornati ai loro posti l’uno dopo l’altro. Pierre d’altra parte non dedicò a questa circostanza maggiore attenzione che alle altre, avendo deciso una volta per sempre fra sé che tutto ciò che avveniva dinanzi a lui quella sera non poteva essere altrimenti.

Le note del canto liturgico cessarono e si udì la voce di un ecclesiastico che si congratulava rispettosamente col malato per l’avvenuta somministrazione del sacramento. Il malato continuava a giacere nella posizione di prima, senza vita e immobile. Intorno a lui tutto si era rimesso in moto: si udivano un muover di passi, un bisbigliare sul quale emergeva la voce di Anna Michajlovna.

Pierre la udì che diceva:

«Bisogna assolutamente trasportarlo sul letto, qui non è proprio possibile…»

I dottori, le principessine e i domestici avevano circondato il malato così da vicino, che Pierre ormai non vedeva più la testa giallo rossastra dalla criniera canuta, che egli per tutto il tempo della cerimonia, sebbene guardasse anche gli altri volti, non aveva mai perso di vista. Dal movimento cauteloso delle persone che circondavano la poltrona Pierre indovinò che stavano sollevando e trasportando il morente.

«Reggiti al mio braccio, così lo lascerai cadere,» sentì dire Pierre, in un bisbiglio di spavento da uno dei servitori. «Dal basso… ancora uno,» dissero altre voci, e i respiri affannosi e lo spostar di piedi si fecero più affrettati, come se il peso che portavano fosse stato superiore alle loro forze.

I portatori, e fra questi c’era anche Anna Michajlovna, arrivarono accanto a Pierre, e per un istante dietro le schiene e le nuche, il giovane vide le grosse spalle del malato, sollevate dalle persone che lo reggevano sotto le ascelle, l’alto e pingue torace scoperto e la testa leonina di capelli bianchi e ricciuti. Quella testa, con la fronte e gli zigomi eccezionalmente larghi, la bocca bella e sensuale e lo sguardo freddo e maestoso, non appariva alterata dall’approssimarsi della morte. Essa non era mutata da come Pierre la ricordava tre mesi prima, quando il conte lo aveva mandato a Pietroburgo. Ma ora quella testa dondolava inerte a causa dei passi ineguali dei portatori, mentre lo sguardo freddo e indifferente non sapeva dove posarsi.

Trascorsero alcuni minuti di trambusto attorno al grande letto; le persone che avevano trasportato il malato si allontanarono. Anna Michajlovna toccò la mano di Pierre e gli disse: « Venez.» Pierre si accostò assieme a lei al letto sul quale il malato era stato deposto in una posa solenne, in evidente relazione al sacramento appena impartitogli. Giaceva con la testa appoggiata alta sui cuscini. Le sue mani erano simmetricamente disposte sulla coperta di seta con i palmi verso il basso. Quando Pierre si avvicinò, il conte lo guardò fisso, ma con quello sguardo di cui l’uomo non riesce a intendere il senso e l’importanza. Quello poteva non dire nulla, se non che, fino a quando gli occhi ci sono ancora, bisogna pur guardare qualcosa; oppure diceva troppo. Pierre si era fermato senza sapere che fare e si voltò con aria interrogativa verso la sua guida, Anna Michajlovna. Costei gli fece un cenno frettoloso con gli occhi, indicando la mano del malato e sporgendo le labbra per mandargli un bacio. Allungando con attenzione il collo per non impigliarsi nella coperta, Pierre mise in atto il suo consiglio e sfiorò con le labbra quella mano carnosa, dalla larga ossatura. Né la mano né un muscolo sul viso del conte ebbero un fremito. Pierre tornò a guardare interrogativamente Anna Michajlovna, per domandare che altro avrebbe dovuto fare, adesso. Con gli occhi Anna Michajlovna gli indicò la poltrona accanto al letto. Pierre si accinse docilmente a sedervisi, continuando a domandare con gli occhi se avesse fatto quel che bisognava. Anna Michajlovna approvò con un cenno del capo. Pierre assunse di nuovo la posizione simmetricamente ingenua della statua egiziana, palesemente dolendosi che il suo grosso corpo sgraziato occupasse tanto spazio e cercando con tutta la sua capacità di concentrazione di sembrare il più piccolo possibile. Guardava il conte, e il conte guardava nel punto dove si trovava la faccia di Pierre quando egli era ancora in piedi. Anna Michajlovna manifestava nella sua espressione la coscienza della gravità commovente di quell’estremo incontro fra padre e figlio. Tutto questo non durò più di due minuti, che a Pierre parvero un’ora. Improvvisamente, i saldi muscoli e le rughe della faccia del conte furono percorsi da un fremito; il fremito si accentuò, la bella bocca si distorse (allora soltanto Pierre comprese come suo padre fosse prossimo alla morte) e ne uscì un suono rauco e confuso. Anna Michajlovna fissava il malato negli occhi, e sforzandosi di indovinare che cosa gli occorresse indicava ora Pierre, ora la bevanda; ora in un bisbiglio menzionava interrogativamente il principe Vasilij, ora indicava la coperta. Gli occhi e la faccia del malato esprimevano l’impazienza. Egli fece uno sforzo per guardare un servitore che stava in piedi al capezzale del letto senza mai distaccarsene.

«Vuole voltarsi sull’altro fianco,» mormorò il servitore e si alzò per girare il pesante corpo del conte con la faccia verso il muro.

Mentre giravano il conte dall’altra parte, un suo braccio si rovesciò impotente all’indietro ed egli si sforzò invano di trarlo verso di sé. S’accorgesse il conte dello sguardo terrorizzato col quale Pierre fissava quel braccio senza vita, o qualche altro pensiero gli fosse balenato nella sua testa di moribondo, posò gli occhi sulla mano che non gli obbediva, poi sull’espressione sgomenta di Pierre, poi di nuovo sul braccio; e sul suo viso affiorò un lieve sorriso di sofferenza, così stonato con quei lineamenti, e pareva esprimere un sentimento di irrisione per la propria impotenza.

Inaspettatamente, alla vista di quel sorriso, Pierre sentì un fremito nel petto, un pizzicore nel naso e le lacrime gli annebbiarono la vista. Il malato venne voltato su un fianco verso la parete. Egli tirò un sospiro.

« Il est assoupi,» disse Anna Michajlovna, avendo notato la principessina che era venuta a dare il cambio.

« Allons

Pierre uscì.

Guerra e Pace
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