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Glenn Haug la fissò per un attimo a occhi stretti, poi si voltò e corse zoppicante giù per il prato nel buio. Marian sentì un ramoscello che si spezzava. Margrethe Moe era alle sue spalle, in un abito violetto e lucido.
Marian la osservò con sguardo severo. «È successo qualcosa ad Annie? Dov’è? In casa o nel bosco?»
«Nel bosco», rispose svelta Margrethe Moe. «Non sono riuscita a fermarla. Sai che è…».
«Voglio controllare dentro casa», disse Marian.
Margrethe Moe la fissò. «Annie è nel bosco. È in preda a un istinto suicida».
Marian lanciò un’occhiata in direzione della casa, dove la porta spalancata illuminava l’oscurità. «Voglio controllare la casa», ripeté e andò dritto verso la porta, con Margrethe Moe che la seguiva correndo a piccoli passi. «Spero che Annie non si sia fatta del male. Mio fratello la sta cercando».
In quel momento si udirono le volanti con i rinforzi, un suono debole giù in fondo alla valle. Per un attimo si fece più flebile, poi tornò a intensificarsi.
«Troverai solo la mia vecchia mamma là dentro», disse Margrethe. «Devi salvare Annie».
Per un istante in Marian sorse il dubbio di aver mal interpretato tutto quanto. Forse sarebbe dovuta correre nel bosco, e invece salì comunque i pochi gradini ed entrò. Dall’interno si udì una voce incrinata. «Che c’è?»
«Niente, mamma», gridò Margrethe. «Stiamo andando nel bosco per aiutare Frank a salvare una persona».
Marian restò per un attimo in piedi nell’ingresso. C’erano due tute in pelle appese a un gancio. Entrò nel soggiorno. Attraverso il gabbiotto in vetro alla sua destra poteva vedere direttamente dentro l’officina. Un tappeto verde ricopriva da un’estremità all’altra i gradini che conducevano al primo piano. Vide che era cosparso di striature violacee nella parte più vicina al muro. Sangue rappreso. Salì di sopra, con Margrethe Moe al seguito.
*
Su nel corridoio il sangue sul tappeto si stendeva ancora più copioso in sottili strisce secche e larghe chiazze. Sotto una fila di fotografie in bianco e nero sbiadite, la parete era macchiata da impronte di mani insanguinate che avevano tracciato archi di sangue che scendevano giù fino alle assi di legno del pavimento. In fondo al corridoio c’era un mobiletto basso ma profondo, costruito sotto alla cassetta del quadro elettrico. Lo sportello di ferro imbullonato era aperto. Marian diede uno sguardo alla fotografia della sposa appesa al muro: la donna indossava un abito bianco corto, aveva dei capelli ricci corvini, un velo e un mazzo di garofani. L’uomo era alto e robusto, con i capelli dall’effetto bagnato lisciati all’indietro. Le sembrò di riconoscere il ragazzo nella foto della cresima, un morettino esile; somigliava a qualcuno che aveva conosciuto poco tempo prima. Il cervello stava lavorando a un ritmo frenetico. Trattenne il respiro, mentre le batteva forte il cuore. Era Frank Moe. E Margrethe, anche lei si chiamava Moe. Era un cognome così comune e banale che non le era saltata all’occhio la coincidenza. Le colleghe alla fine mi hanno convinta a ricorrere allo psicologo. La fotografia non era nitida e la giacca del cresimando sembrava scivolare fuori dal campo visivo. Su un lato stava Margrethe, dall’altro un ragazzo più grandicello, con un bel sorriso triste.
A sinistra, più oltre nel corridoio, c’era una porta chiusa. Marian vi si diresse decisa.
*
C’era un forte odore di abeti e di neve mista a muffa. Sentiva il freddo nel corpo come un dolore intenso. Udì il cane abbaiare, sempre più vicino. Era seduta in ginocchio, con le calze bucate, su entrambe le gambe. Ora sentì anche le voce di Frank. «Annie, Annie! Vogliamo aiutarti. Rex, trova Annie!». Poi udì un altro cane, più in alto, lungo la strada, che abbaiò e poi si zittì. Ma nel sibilo del vento tra le cime degli abeti le giunse un altro debole rumore. Dei passi nel sottobosco. Stava arrivando, lo psicologo era ormai vicino. Prima però arrivò il cane. Il suono dei latrati la colpì come uno schiaffo sul viso e l’alito putrido le schizzò sulla guancia.
E dopo vide anche Frank. Nel buio. Il cane nella strada in alto abbaiò ancora e il pastore tedesco si girò di scatto. Restò così un paio di secondi, poi si lanciò a corsa. Frank gli urlò dietro. «Maledetto Rex!». Ma il cane era già partito all’inseguimento dell’altro.
Poi lui la tirò su per i capelli e lei ricadde in avanti e così rimase, stesa per terra. La sollevò di nuovo, ma Annie si divincolò sfuggendo alla sua presa, si gettò su un fianco e corse via. Dritta tra le braccia di un altro uomo. Che aveva una pistola.