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Annie si lanciava rapide occhiate alle spalle e intanto sentiva le folate di vento pungere come aghi di ghiaccio attraverso il girocollo. Si accorse di barcollare leggermente. L’ebbrezza si era stesa come un velo sui pensieri. Si strinse meglio nel cappotto. Intorno a lei si innalzavano gli edifici, grandi e imponenti, con le finestre buie e qualche rara luce. Il parcheggio era quasi vuoto. Si fermò e tirò fuori il cellulare per comporre il numero di Marian, che però non rispose.
Una busta della spesa vuota le volò incontro a gran velocità spinta dal vento, per il resto la quiete era totale nel complesso ospedaliero. Lasciò che il cellulare squillasse per un bel pezzo, poi lo infilò nella borsetta e proseguì per la propria strada. Marian aveva detto di essere sempre reperibile, ma ora non rispondeva.
Annie aveva le gambe gelate. Stava scontando le conseguenze dell’aver scelto le calze velate, nonostante si fosse tolta le décolleté per sostituirle con un paio di stivali. Più tardi avrebbe dovuto prenotare un taxi. Che sguardo le aveva rivolto Margrethe quando aveva capito che lei aveva riconosciuto la scrittura del fratello e fatto due più due! Uno sguardo più che eloquente. Era il motivo per cui Annie si era messa in cammino con il chiaro scopo di andare a cercare una risposta negli archivi.
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Margrethe rimase per un po’ nascosta dietro un’auto parcheggiata e notò che Annie si guardava ripetutamente alle spalle. Una volta si era addirittura fermata e si era voltata del tutto. Poi aveva telefonato a qualcuno, ma senza ricevere risposta. Aveva oscillato un po’ e poi aveva proseguito per la propria strada.
Margrethe aveva scovato negli archivi i bambini violentati subito dopo che Cato Isaksen era andato a informare Annie della riapertura del caso Thona. La detective a cui alla fine era stato assegnato il caso non era sembrata niente di che al primo incontro, e invece era una volpe, quella Marian Dahle. Se solo Annie non avesse trovato quel maledetto foglietto che lei era stata così sbadata da perdere! Doveva essere andata proprio in quel modo, infatti, e adesso quel foglietto era diventato una prova pericolosa, perché Annie lo aveva trovato prima che Joner e Schavenius fossero uccisi. Se Frank fosse venuto a sapere della sua sbadataggine l’avrebbe ammazzata. Adesso doveva mettere un punto a quella storia. Ancora pochi minuti e tutto sarebbe finito.
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Annie si arrestò per un istante davanti alla porta dell’edificio in cui lavorava. Le temperature sottozero stavano sferzando i grandi alberi dell’ingresso. Ora però Annie non sarebbe andata nel proprio reparto.
Attraverso la sfilza di finestre illuminate del corridoio vide che la guardia notturna entrava nella stanza del personale, chiudendosi la porta alle spalle. Diede un’occhiata dietro di sé. Nessuno in arrivo. Entrò svelta dal portone principale e salì difilato al centro per l’assistenza del primo piano.
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Il giardino era mutato, non era più un acquitrino di acqua e fango. Solo il fioco riverbero dei lampioni da dietro la siepe rendeva possibile distinguere i contorni del terreno coperto di brina, ma vicino al suolo si stendeva una coltre di fumo gelato simile a nebbia. Da lì a due giorni sarebbe stato novembre. Marian posò il borsone sull’erba bianca intirizzita e accese la torcia. Il fascio di luce creò un cerchio che nell’oscurità appariva come un UFO lucente. Diresse la torcia verso la panchina turchese, che era rimasta lì per tutti quegli anni. Se solo avesse potuto parlare. I campi erano suddivisi in orti vecchi e nuovi, ma non in maniera da permettere a chiunque di capire dove passavano le linee di confine. Solo Myrtel Haug sapeva chi erano i proprietari di ciascun appezzamento. Ormai la maggior parte erano arati, tra gli alberi correvano strisce di terra e argilla fresche. L’odore greve e penetrante era sparito per via del freddo. Alcuni orti però erano intonsi, con l’erba e le piante degli anni passati. Era così anche dietro lo spaventapasseri.
Lo spaventapasseri era vestito di bianco, tanto da confondersi quasi con il paesaggio. Marian si accorse che i girasoli erano stati finalmente rimossi.
Aveva già le dita fredde. E il naso. Un po’ più in là c’era una vanga acuminata poggiata contro un albero mezzo marcio. Menomale, perché gli strumenti che aveva portato da casa erano vecchi e smussati.
Osservò lo spaventapasseri e il prato alle proprie spalle. Avevano esplorato la zona con l’unità cinofila quando Thona era sparita e scavato a più riprese in vari punti, secondo quanto riferivano i documenti, senza trovare il cadavere della bambina. Era probabile che Myrtel Haug avesse lasciato trascorrere quelle due settimane, prima di seppellirla. Una buca profonda proprio dietro lo spaventapasseri. Che cosa assurda e mostruosa.
Si udì uno scricchiolio, come quando il velo di ghiaccio sopra una pozzanghera si incrina. Marian si voltò di colpo. Stava forse arrivando qualcuno? Birka abbaiò con il muso sollevato in aria, poi prese a ringhiare sommessamente. Marian fece luce con la torcia, facendo scorrere il fascio luminoso tra i fusti e i rami neri. Poi controllò la zona dei campi. Non stava arrivando nessuno, ma non riuscì comunque a liberarsi dalla sensazione che ci fosse qualcuno che la spiava nascosto dietro un albero nel buio. La pistola era rimasta in macchina, nel vano portaoggetti.