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Fanny spalancò la porta ed entrò nell’ufficio. «Ciao», la salutò. «Sei di turno stanotte? E sei qui al buio?»
«No», rispose Annie, alzandosi svelta e avvolgendosi meglio nel soprabito. Si irrigidì, come se nel suo cervello ci fosse una lampadina d’allarme che all’improvviso si era accesa.
Fanny portava una lunga catenina al collo e dal suo polso pendevano dei ciondoli, figure di animali ed edifici, simili a quelli che portavano i bambini. Perché non le diceva niente di quella strana Bibbia? Possibile che non l’avesse vista?
«Mi ero semplicemente dimenticata di chiudere una pratica e poi sono dovuta uscire per comprare il pane nel negozio di una stazione di servizio», mentì Annie. «Ho un po’ troppe cose per la testa al momento».
Fanny la guardò preoccupata e Annie notò che aveva delle macchioline gialle negli occhi verdi, intorno all’iride, segno che il suo sistema nervoso stava per cedere.
Tanto per dire qualcosa, le confidò: «Ho pensato alla lapide. Nel caso in cui trovassero Thona. Vorrei che venisse seppellita nel cimitero di Vestre Gravlund e non in quello di Nordre Gravlund vicino agli orti».
Fanny le diede un rapido abbraccio. «Perché non facciamo qualcosa di carino tutte insieme? Potremmo andare in Spagna. Tu, io e Margrethe».
«Sì», rispose Annie, anche se sapeva bene che certe proposte finivano sempre in un nulla di fatto.
Un volta tornata in macchina, valutò se fosse il caso di inviare un SMS a Marian Dahle, ma guardando l’orologio si rese conto che era troppo tardi. Rimase per un attimo seduta con la testa tra le mani poggiate sul volante. Quando si raddrizzò, vide accendersi la luce al primo piano, nell’ufficio di Dan Brodahl. Fece marcia indietro per uscire dal parcheggio e si diresse verso casa nel buio.
*
L’urlo le era rimasto intrappolato in gola. Un urlo primordiale. Qualcuno voleva entrare, introdursi in casa sua. Per un breve istante vide se stessa da fuori mentre arretrava piano, come una bimba terrorizzata rimasta sola in casa. L’armadio sembrava crescerle incontro. Protese le dita nell’aria e indietreggiò ancora di qualche passo. Al margine del campo visivo gli oggetti fluttuavano, come la linea dell’orizzonte nell’afa estiva. Sentiva una pressione comprimerle gli orecchi. Sollevò le mani al viso e urlò, un urlo breve, che si interruppe bruscamente, facendo ripiombare tutto nel silenzio. Dopo un attimo Marian udì il rumore distinto di qualcuno che si ritirava lungo il pavimento del basso solaio. Poi sentì dei passi e la porta della soffitta che veniva aperta, i cardini che cigolavano e la porta che si richiudeva con fragore.
Mentre scendeva tremante in salotto, le sfuggì la presa intorno alla ripida scala d’acciaio e capitombolò per terra, ma si rimise in piedi e andò al portone d’ingresso. Posò l’orecchio vicino all’apertura e si mise in ascolto, maledicendo il fatto di non avere uno spioncino. Non osava neppure socchiudere la porta, perché qualcuno avrebbe potuto spalancarla con uno spintone; lei sarebbe caduta dentro e in quel modo sarebbe stata in trappola. Fuori il silenzio era così totale da farle avvertire un ronzio nella testa. Ma dov’era lui adesso? Nella tromba delle scale? In casa dell’artista? Di sotto, vicino al portone esterno? Attraversò di corsa il salotto e andò alla finestra accanto al bancone della cucina. Giù in giardino non c’era nessuno. Si intravedeva solo un movimento quasi impercettibile, quello di un ramo che graffiava il tavolino in ferro.
*
Una volta rientrata in casa, Annie si sedette su una delle piccole poltrone e ricostruì con la fantasia l’immagine dell’uomo che doveva aver rapito la sua bambina. Prese il foglio con i nomi e lo riguardò diverse volte. Più vino beveva, più vividi si facevano nella sua mente i movimenti fulminei e la figura ricurva che portava via Thona. Sua figlia non aveva una voce potente. Agosto di quindici anni prima. Quanto tempo era passato! Da allora non aveva più avuto il coraggio di tornare in quegli orti. Cosa le aveva fatto quel demonio? Lo sapeva benissimo cosa le aveva fatto. Come l’aveva uccisa? Come? Soffocandola? Ferendola con un coltello? Colpendola in testa con un sasso? Nessuno poteva aiutarla. Nessuno!
Da piccola Thona aveva paura delle signore anziane. Si aggrappava alla sua gonna tutte le volte che al supermercato incontravano qualche vecchia che le rivolgeva la parola. E nonostante questo l’aveva mandata negli orti di Myrtel Haug. Quel posto orribile.