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Marian prese la busta con il cibo che aveva comprato a una stazione di benzina e fece uscire Birka dal furgone. Lanciò un rapido sguardo intorno. Per strada non si vedeva nessuno. La casa in legno era sempre la stessa di prima. Era da due settimane che viveva in ufficio, senza che nessuno lo avesse scoperto. Cato, Tønnesen e tutta la Sezione Omicidi lavoravano come ossessi al caso di quegli uomini.
Birka ne aveva risentito un po’, le erano mancate le sue passeggiatine. Il cane respirava affannosamente. Era doloroso osservarne i movimenti rigidi mentre saliva le scale. Marian provava una profonda inquietudine, perché non bastava certo aver cambiato la serratura per tenere fuori Glenn Haug. Si sentiva impotente di fronte al caso su cui stava indagando e alla mancanza di risultati. Quando alzò lo sguardo, l’artista era appoggiato alla ringhiera in cima alle scale. «Ciao, cowboy», la salutò sarcastico. «Allora sei viva. Dove sei stata negli ultimi tempi, Marian?».
Era la prima volta che la chiamava per nome. Era imbarazzante e patetico quello che era successo. E pericoloso. L’artista non aveva avvertito nessuno. Evidentemente aveva creduto a quello che gli aveva detto lei, che la situazione era sotto controllo.
«Mi dispiace. Ho creato un caos pazzesco. Si trattava di un caso di droga. Non potevo restare in casa, ma ora è tutto sistemato».
L’artista aveva dell’argilla sulle mani e sugli avambracci. Marian portava la pistola alla cintura, sotto il maglione. Avrebbe dovuto inventarsi una spiegazione plausibile per la mancanza di una pallottola al magazzino materiali.
«C’erano degli agenti segreti appostati intorno alla casa quella notte», mentì. «L’ho attirato in una trappola e ora è al fresco».
L’artista sorrise. «Ho provato a cercare su internet».
«Abbiamo tenuto la stampa all’oscuro, per il momento. Ha dei complici».
«Capisco. Ma puoi garantire per la mia sicurezza? Arriveranno altri pazzi scatenati come quello?». Le rivolse un sorrisetto sbieco.
«No, non arriverà nessuno». Marian spostò la busta della spesa nell’altra mano. «Non ho il coraggio di entrare, la casa brulicherà di formiche».
«Va’ dalla formica, o pigro, guarda le sue abitudini e diventa saggio1. Ho lo stesso problema in casa mia». Raddrizzò la schiena. «G.T.?», le chiese con aria indagatrice.
«G.T.? E che vorrebbe dire?»
«Gin tonic, così potremo parlare di formiche davanti a un bicchiere». Stava sorridendo sotto i baffi.
Marian guardò Birka, che trotterellando saliva gli ultimi scalini fino a raggiungere il vicino. Deglutì. Possibile che sapesse della bottiglia di gin che teneva nel mobiletto del bagno?
«Lascia stare, mi sembri stanca».
Marian salì l’ultimo gradino, si spostò i capelli dietro l’orecchio e aprì la porta. Poi gli chiese: «Non è che per caso sei stato in viaggio da qualche parte? Ho visto che una delle tue sculture rappresenta un monaco orientale. Sembri interessato all’Oriente. Quelle bestiole brulicanti potresti essertele portate a casa in valigia. Da qualche parte dovranno pur venire».
Lui si raddrizzò impettito. «Dici sul serio? Sono stato in Asia agli inizi di agosto. Vuoi dire che sono stato io…?».
Marian lo guardò stanca. Aveva la testa del cane addosso, il muso nel palmo della mano. «Sì, devi essere stato tu».
L’artista assunse un’aria stupita. «Cristo santo. In tal caso ci penso io a sistemarle. Non te ne dovrai preoccupare più. Chiamerò una ditta di disinfestazione».
Marian lo guardò. Davvero era così semplice? Dopo tutte quelle settimane. D’un tratto le spuntarono le lacrime agli occhi.
«Adesso vai pure a casa», le disse.
«Grazie», rispose Marian. Il cuore le martellava nel petto. Pensò: “Basta che poi non pretenda qualcosa in cambio!”.
*
Margrethe Moe passò davanti all’Opera e tenne stretto il manubrio mentre attraversava il tunnel, protesa in avanti. Il rumore cambiò, enfatizzato dalle pareti della montagna.
Il piano del fratello era quasi giunto a compimento. Era basato sull’odio e sull’annientamento dei nemici. Glenn Haug, però, non erano ancora riusciti a catturarlo. Insieme erano tutti gli uomini, lei e il fratello. Il piano aveva preso forma dopo che l’ispettore Cato Isaksen della polizia si era presentato al reparto per informare Annie della riapertura del caso. Annie era convinta che Glenn Haug avesse violentato e ammazzato Thona.
Il trono era pronto da tempo. Costruirlo era stata per il fratello una sorta di terapia. Gli uomini che abusavano dei bambini meritavano di soffrire. Ma per Glenn Haug non bastava. Lui era stato un’idea di Margrethe; il fratello preferiva fare del male a uomini che avevano stuprato bambini maschi. In ospedale i dipendenti del reparto erano obbligati a prelevare i medicinali dal magazzino a due a due, ma il fratello poteva sottoscrivere delle ricette, perciò adesso aveva tutte le caramelline pronte per Haug: Xanor, Ritalin e Demerol. Lo avrebbero stordito con il gas, se solo fossero riusciti a trovarlo. Era così sfuggente, gli sgusciava via dalle mani. Alla stazione di Oslo S era sceso a uno dei binari e si era gettato su un treno non appena li aveva adocchiati. E neppure rispondeva al telefono. Persino quando aveva bussato alla porta della sua residenza nei panni di se stessa, senza tuta in pelle, le aveva sbattuto la porta in faccia. Ora avrebbero fatto un ultimo tentativo, attirandolo nel garage del centro commerciale Oslo City.
Ripensò al figlio di papà della Oslo bene, al portinaio e al giudice della Corte Suprema. Finalmente la giustizia aveva trionfato. Tuttavia Margrethe aveva perso la lista con i loro nomi nella stanza del personale qualche settimana prima. Quella compilata dal fratello quando avevano elaborato il piano. Era seduta sulla panca con la borsa ai piedi; la borsa si era rovesciata e lei lì per lì non si era accorta che la Bibbia con il foglietto era scivolata via. Quando se ne era resa conto, era tornata subito nella stanza del personale. Qualcuno aveva posato la Bibbia in cima alla pila di libri sul davanzale della finestra, ma Margrethe aveva scoperto con orrore che il foglietto non c’era più. Nessuno però ne aveva fatto parola e quindi aveva supposto che il personale delle pulizie lo avesse buttato nella spazzatura.
In alcuni punti l’asfalto era crepato. Strinse la presa sul manubrio e si tenne lontana dall’auto che aveva davanti. Diede gas e svoltò verso Lillestrøm. La neve si trasformava in ghiaccio che, scivolando sulla visiera, non garantiva certo un’ottima visuale.
Il fratello era piccolo, lei invece misurava quasi un metro e ottanta. Era stato un bambino mingherlino, torturato sin dal primo giorno di scuola. Il suo aspetto faceva scattare negli altri l’impulso di prendersi gioco di lui. La mamma lo abbracciava quando piangeva. Diceva che non si potevano proteggere i bambini. Il fratello leggeva molto ed era bravo a disegnare.
Avrebbero caricato sul furgone la madre e se ne sarebbero andati in Spagna per una lunga vacanza dopo Natale. Era lì che si erano procurati la bomboletta spray con il gas paralizzante. Avevano occasione di attaccare bottone con diverse persone quando noleggiavano le moto in Spagna. Le mancavano i paesaggi spagnoli, straducole strette che attraversavano piccoli borghi color avana, vasti campi e oliveti, con il disco del sole largo in cielo. Dentro di sé le sembrava già di sentire quella dolce brezza sul viso.
Margrethe si era sposata con il figlio del sacerdote di Varåa quando era ancora molto giovane, ma il fratello gliel’aveva rimproverato, neanche fosse stata una traditrice o una figlia screanzata. Due anni dopo aveva divorziato ed era tornata nella casa in muratura. All’epoca il padre era già morto da alcuni anni e quindi lei doveva occuparsi della madre. Doveva sempre procedere in punta di piedi e fare come le diceva il fratello, ma senza apparire sottomessa, per evitare di farlo infuriare.
1 Bibbia, Proverbi, 6:6.