49

Era la notte del primo di ottobre. Il furgone scivolò ancora una volta lento sulla strada di ghiaia fino a immettersi sulla via che portava a Varåa. Alla fine era morto, il giudice della Corte Suprema. Ora era steso immobile nel retro del furgone. Il fratello guidava. I fari illuminavano gli alti steli d’erba ormai secchi che si incurvavano lungo il ciglio della carreggiata. Le linee dei solchi tracciati dall’aratro erano strisce di un marrone nerastro, visibili fino a qualche metro dentro il campo. Non c’erano stelle nel cielo. Le immagini dei ricordi si fecero strada a forza nella memoria, immagini astruse e dolorose. Non parlavano tra di loro: la musica era già abbastanza eloquente. Il pensiero dell’infanzia richiamava ancora alla mente l’odore d’olio della tuta da lavoro del padre, che con le sue grosse mani accarezzava le auto. Amava le auto. Aveva l’abitudine di lisciarsi i capelli all’indietro, come se fosse stato una rockstar.

L’alto condominio con le impalcature era accanto alla vecchia sede del club di motociclisti di Dælenenga, a qualche centinaio di metri dal parcheggio in cui avevano gettato Joner. Conoscevano bene il posto, perché vi avevano fatto diversi giri. Il fratello diceva che la polizia non avrebbe mai immaginato che potessero gettare un cadavere nella stessa zona. Era quello il modo giusto di pensare, il fratello era geniale.

Ai vari piani della nuova costruzione era tutto un pullulare di operai durante il giorno, capisquadra, manovali con gli elmetti e qualche rara donna. Il problema era riuscire a intrufolarvisi di notte. L’area era circondata da un’alta recinzione a rete con un cancello chiuso, per evitare che polacchi, lituani, estoni e altre canaglie entrassero a rubare i materiali. Ma negli ultimi giorni il cancello era semplicemente rimasto accostato. E lo era anche adesso. Telecamere di sorveglianza non ce n’erano, lo avevano ovviamente verificato. Il fratello sistemò a marcia indietro il furgone dietro l’edificio. Schavenius non aveva battito. Trascinarono fuori quel corpo pesante e impiegarono del tempo per riuscire a far scivolare il cadavere fuori dal tappeto e dentro una fossa tra due mura di fondazione. La gola gorgogliava, ma doveva trattarsi di un fenomeno normale nei morti. Lo ricoprirono con dei sassi. I muratori vi avrebbero steso sopra una colata di cemento il lunedì, da lì a due giorni, e nessuno passava da quel posto nel fine settimana. Il giudice della Corte Suprema era sparito, per l’eternità. La Terra avrebbe continuato a ruotare instancabile sul proprio asse.

«Andiamo a casa, dài», disse il fratello.

*

Marian era in ufficio, stanchissima. Era rimasta sdraiata con addosso un plaid per tutta la notte. I giorni sembravano confondersi gli uni con gli altri in un gran guazzabuglio. Il calendario indicava che era ottobre. Aveva insistito perché Annie non facesse parola del biglietto con nessuno, dicendo che la polizia aveva tutto sotto controllo. E Annie le aveva creduto.

Posò le mani sul tavolo e vi poggiò sopra la fronte. Il pensiero del foglietto di Annie la faceva uscire di testa. Non esisteva più. E neppure riusciva a togliersi dalla mente l’idea che fosse stato Farhi Salman a starle alle costole quando era stata indagata dall’Unità investigativa speciale dopo aver ereditato la casa di un collega. E poi c’era stato quell’altro caso, quello della donna scomparsa, che però, a differenza di Thona, aveva lasciato un vestito insanguinato, che Marian si era portata a casa. Era severamente vietato far uscire dalla questura delle prove materiali. Di tutte le cose perverse che aveva fatto, quella era forse la peggiore: portarsi a casa quell’abito e indossare un capo appartenuto a una persona morta. Si era guardata allo specchio, mentre si infilava dalla testa quel vestito rosso privo di odori e con una doppia cucitura intorno al seno. Era strappato su un lato, fino alla vita. Dei resti di sangue marrone rappreso si erano sbriciolati e le erano piovuti sui piedi nudi. Non aveva provato vergogna, ma solo un senso di dispiacere intimo e profondo. E pace. Perché in quel momento era diventata tutt’uno con la donna scomparsa. E quando aveva risolto il caso qualche settimana più tardi, era stato come se quell’attimo in cui aveva avuto indosso il vestito andasse ben oltre il tempo e ogni possibilità di definizione e avesse affinato la sua capacità di comprendere. E poi aveva risolto il caso e aveva pensato quello che pensava anche adesso: quando le cose sono talmente semplici che la polizia non le vede, lì sta il vero genio.

Si assopì per un attimo e sognò subito le fiamme. Udì il suono insistente dello sportello della stufa, che diventava come un canto greve nella testa. Attraverso il vetro sentiva il crepitio attutito del calore, che finiva per esplodere in un ruggito arancione. Il foglietto veniva ingoiato dalle fiamme, si arricciava lungo i bordi e la scritta svaniva del tutto. Allo stesso modo svaniva anche lei e non restavano che ceneri e frammenti di ossa. Si svegliò di soprassalto e iniziò a sventolare le mani per allontanare le fiamme, respirando rapida.

Quando alzò gli occhi, Tønnesen era sulla soglia della porta e la fissava preoccupato.

«Tutto bene?»

«Certo», replicò Marian. «Mi sono assopita, sono esausta. Entra».

«Cosa sognavi?»

«Fiamme. Sai…». Accennò un gesto esasperato con la mano e lui si sedette.

«Poco fa ho ricevuto via mail dalla Kripos la risposta del test del DNA», la informò.

«Di già? Ma non doveva volerci del tempo?».

Tønnesen si passò una mano sul mento. «Alla fin fine hanno esaminato alla svelta il materiale dell’Australia, facendolo rientrare tra un lavoro e l’altro. Ho stampato la mail». La fece scivolare verso Marian. Lei la guardò.

«Come c’era da aspettarsi, nessuna delle ragazze è Thona», commentò Tønnesen.

«Ovvio che no».

«E John Johansen è il padre di Thona», aggiunse Tønnesen.

«Era scontato».

*

Quella sera, mentre Marian era seduta nel salotto di casa, la notizia esplose sui media: il giudice della Corte Suprema era stato ritrovato in un cantiere edile con le stesse lesioni da tortura riportate anche da Gustav Joner. Schavenius, però, non era morto. Dei bambini avevano sentito un gemito provenire da un muro in via di costruzione e avevano trovato Schavenius gravemente ferito sotto a dei sassi. All’inizio avevano pensato che si trattasse di un gatto o di qualche altro animale. Avevano fermato un tassista di passaggio che li aveva seguiti e aveva rimosso le pietre con cui Schavenius era stato coperto. Poi avevano telefonato alla polizia. I media si erano gettati a capofitto nei dettagli più scabrosi, avanzando ipotesi sulle analogie tra il caso Joner e il caso Schavenius. Era incredibile che due uomini spariti a così breve distanza di tempo l’uno dall’altro riportassero esattamente le stesse lesioni.

Il cuore di Marian batteva come dopo una corsa. Percorreva su e giù la stanza come una pazza. Dentro le bruciava la consapevolezza che tutto questo si sarebbe potuto evitare, se solo avesse informato Cato del biglietto di Annie. Gli telefonò e lui le rispose, ma non sapeva che dirgli. Udiva le voci degli altri colleghi, dovevano essere nella stessa stanza. Cato le disse che non aveva tempo di stare al telefono, ma che pensavano potesse esserci un collegamento tra i due casi e che Gustav Joner fosse stato ucciso dalla stessa persona, perché il modus operandi era identico e anche Schavenius era stato torturato nella maniera più atroce. Lo avevano portato all’ospedale di Ullevål. Ma ora doveva lasciarla, perché stava per essere intervistato davanti alla questura.

Il caso della bambina scomparsa
titlepage.xhtml
part0000.html
part0001.html
part0002.html
part0003.html
part0004.html
part0005.html
part0006.html
part0007.html
part0008.html
part0009.html
part0010.html
part0011.html
part0012.html
part0013.html
part0014.html
part0015.html
part0016.html
part0017.html
part0018.html
part0019.html
part0020.html
part0021.html
part0022.html
part0023.html
part0024.html
part0025.html
part0026.html
part0027.html
part0028.html
part0029.html
part0030.html
part0031.html
part0032.html
part0033.html
part0034.html
part0035.html
part0036.html
part0037.html
part0038.html
part0039.html
part0040.html
part0041.html
part0042.html
part0043.html
part0044.html
part0045.html
part0046.html
part0047.html
part0048.html
part0049.html
part0050.html
part0051.html
part0052.html
part0053.html
part0054.html
part0055.html
part0056.html
part0057.html
part0058.html
part0059.html
part0060.html
part0061.html
part0062.html
part0063.html
part0064.html
part0065.html
part0066.html
part0067.html
part0068.html
part0069.html
part0070.html
part0071.html
part0072.html
part0073.html
part0074.html
part0075.html
part0076.html
part0077.html
part0078.html
part0079.html
part0080.html
part0081.html
part0082.html
part0083.html
part0084.html
part0085.html
part0086.html
part0087.html
part0088.html
part0089.html
part0090.html
part0091.html
part0092.html
part0093.html
part0094.html
part0095.html
part0096_split_000.html
part0096_split_001.html
part0096_split_002.html
part0096_split_003.html
part0096_split_004.html