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Appostato poco oltre lungo la strada, la osservava attraverso le finestre dell’antica casa in legno intagliato. La luce era accesa anche nella torre. Lei aveva camminato avanti e indietro parlando al telefono, ma ora aveva riattaccato. Il cielo era nero e trapuntato di stelle. Alzò lo sguardo verso le finestre di lei e la vide avvicinarsi a quella alla destra del bancone della cucina e guardare fuori nel buio. Si vedeva chiaramente che si sentiva inquieta. Somigliava a una bambola dai movimenti rigidi e innaturali. Un leggero fruscio attraversò le chiome spoglie degli alberi. Aveva molto tempo a disposizione, o forse no. No, non aveva tempo. Negli ultimi giorni l’aveva seguita, arrivando addirittura alla reception della questura, ma si era voltato ed era uscito subito, senza osare chiedere dove fosse il suo ufficio. Prese il cellulare e lo guardò, poi lo rimise in tasca. Alcune foglie autunnali si erano appiccicate al marciapiede. Doveva compiere qualcosa di inaspettato. Stava seguendo un piano che in realtà non era tale. Marian Dahle doveva morire. Lui avrebbe preferito fuggire, andarsene via, lontano. Posò il piede sulle foglie scivolose, cercando di scostarle con la punta della scarpa, poi pescò dalla tasca la chiave che gli aveva dato la vecchia. Il metallo brillava sotto la luce del lampione.
*
Era successa una catastrofe. Schavenius non era morto. Contravvenendo al divieto di accesso ai non addetti ai lavori, dei bambini erano entrati a giocare nel cantiere e avevano sentito dei gemiti. Avevano pensato si trattasse di un gatto, ma poi avevano trovato Schavenius, ancora vivo. Ora le foto di quei maledetti bambini erano dappertutto, su ogni canale televisivo e su tutti i quotidiani in rete. I giornalisti avevano riferito che il battito del cuore di Schavenius era quasi impercettibile, quando era arrivato il personale dell’ambulanza. Ma quell’uomo era grande e grosso, perciò il suo corpo non si arrendeva tanto facilmente. La balena era stata trasportata all’ospedale di Ullevål. Quando si fosse svegliato dal coma, tutto sarebbe finito. Avrebbe raccontato dello strumento di tortura, e di loro. Sarebbe stato in grado di descrivere quella casa in muratura non lontano dalla città, in direzione dell’aeroporto di Gardermoen. Sicuramente lo aveva capito, nonostante avesse ottantasette anni. Era stato giudice della Corte Suprema ed era abituato a ricordare i dettagli. Oslo era una piccola città circondata da boschi. Schavenius aveva visto i loro volti; era stato in casa, nell’officina, aveva visto la mamma nel gabbiotto di vetro. Quando si fosse svegliato, quanto tempo sarebbe trascorso prima che la polizia riuscisse a scovare Stormørkveien? E la stanza con il trono!
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Marian poggiò la fronte alla finestra rimase così per un po’, a fissare il buio, il nulla. Era l’ora in cui tutto riposava. Come poteva qualcuno compiere delle azioni così efferate?
Andò al tavolo e incastrò l’iPad nel sostegno. La guerra era fatta di nemici, sofferenze e uccisioni. Digitò la parola “nemici” su Google. Nel caso in cui un’uccisione veniva considerata un atto di giustizia, non si rilevava alcuna attività nella parte del cervello connessa con il senso di colpa. Si sedette e cercò su internet “colpa” e “odio”, trovando subito ciò che voleva. Tønnesen doveva essere esperto di certe cose. I ricercatori dell’università di Melbourne avevano fatto giocare a Couter-Strike le persone che si erano sottoposte all’esperimento. I giocatori si calavano nei panni di assassini che uccidevano nemici o civili, mentre i ricercatori ne monitoravano l’attività cerebrale con l’ausilio della risonanza magnetica. Quando le persone uccidevano dei civili, cresceva l’attività nella parte anteriore del cervello, nella cosiddetta corteccia orbitofrontale, quella che regolava i sentimenti, la gratificazione e le decisioni morali. Le persone provavano senso di colpa per un atto colpevole ingiustificabile. Quando invece uccidevano dei nemici, la ricerca dimostrava che i meccanismi del cervello associati alla violenza contro gli altri non venivano attivati e l’azione veniva percepita come giusta. Marian chiuse la ricerca. Colui che uccideva e torturava questi uomini li considerava nemici, oppure spazzatura. Era tentata di discutere la questione con Karsten Tønnesen, ma non poteva farlo, non aveva niente a che vedere con quelle indagini. La tortura subita da Joner e Schavenius era un tipo di punizione. C’erano quattro uomini su quella lista e Glenn Haug era ancora a piede libero. O forse no? Magari i torturatori lo avevano catturato e forse era per quello che non era riuscita a rintracciarlo. Andreas Lindeberg non era ancora stato ritrovato, Joner era morto ammazzato e Schavenius era ricoverato in ospedale con delle lesioni mortali.