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Annie scorse una striscia fioca sopra la coltre di nebbia, in lontananza. Quel bagliore arancione doveva provenire dalle luci dell’autostrada, ma non aveva idea di che strada prendere per arrivarci. Udiva il rumore del traffico come un brusio lontano. Dalle chiome degli alberi caddero minuscoli fiocchi di neve che le si incollarono freddi sulla fronte. L’aria gelida le sferzava le gambe, coperte solo dalle calze di nylon ormai strappate. E gli stivali avevano la suola liscia e una delle cerniere si era aperta.
*
Tønnesen la osservò. «E così hai sepolto il cadavere da sola. Dici che Glenn è innocente, ma ha tirato su il corpo dalla cantina e l’ha trasportato fino alla piccionaia, perciò è complice».
«Glenn non ha fatto niente di male». Il tono della voce era troppo alto, il che poteva indicare che stava mentendo. Mentire richiede uno sforzo. Chi mente parla troppo e a una velocità eccessiva.
«Sono stata io a seppellirla, non il mio figliolo», proseguì monotona Myrtel Haug.
«Come ti sei sbarazzata dei vestiti?»
«In un cassonetto, vicino alla chiesa».
Tønnesen e l’avvocato si scambiarono un’occhiata.
«Sono troppo vecchia per queste cose, condannatemi e mettetemi dentro. Voglio solo scontare la mia pena. Ma lasciate Glenn fuori da questa storia».
«Non sono un giudice», disse Tønnesen. «Dovremo aprire un’inchiesta. Ci vorrà del tempo».
«Vi ho detto di lasciare Glenn fuori da questa storia».
«Non possiamo. Stai cercando di proteggerlo? Hai paura di lui?»
«Sì», rispose Myrtel.
«Hai mentito. Hai tenuto un omicidio nascosto per quindici anni, hai occultato delle informazioni e distrutto prove per la polizia».
«Vuoi dire che è colpa mia, se Glenn è diventato com’è?».
La voce di Karsten Tønnesen aveva un tono tranquillo. «Sì», rispose. «Eredità e ambiente, condizioni neurobiologiche, psicologiche e sociali, sono tutti fattori che incidono».
«Allora, se certe cose cominciano nell’infanzia, quand’è che finiscono? Era ubriaco e in preda a un attacco psicotico. Non si reggeva in piedi. E così è successo. Punto e basta».
«Cosa? Cos’è successo?»
«Non fu un incidente». L’espressione sul volto di Myrtel Haug si fece tesa. «Glenn andò su tutte le furie e le diede uno spintone».
*
La Golf di Annie era parcheggiata sotto il gazebo. Marian suonò il campanello. La casa era al buio. Sulle scale dell’ingresso c’era il vaso con la tuia, coperta di brina. Marian vi poggiò sopra la mano con fare assente. La situazione si era fatta insostenibile per Annie. Forse non era più in vita? Era un pensiero atroce. Sbirciando dalla finestra della cucina, scorse una porta socchiusa in salotto, quella che conduceva alla cameretta di Thona. Là dentro la luce era accesa.
Il cellulare emise un trillo. Era Tønnesen che la teneva aggiornata tramite messaggio. “Myrtel ha cambiato la sua dichiarazione. Fu Glenn a spingere Thona. Manipolarono Elly per farle credere che fosse stata lei”.
Quel pazzo squinternato di Glenn Haug. Povera Elly. Forse il suo senso di colpa si era acuito da Shai Timo?
Marian si accorse in quel momento che il cellulare aveva solo il nove percento di carica rimanente. Accidentaccio. C’erano cinque messaggi non letti.
Uno era una mail della Scientifica, arrivata diverse ore prima. La aprì. Era l’analisi della palla. Non avevano trovato niente di nuovo. “La chiazza scura era solo terra. Tra l’altro, i foglietti che identificavano le impronte digitali delle bambine erano attaccati al posto sbagliato: Thona-A doveva stare dall’altra parte, dove c’era Elly-B. Per il resto niente da riferire”.
*
Myrtel Haug aveva bisogno di fumare una sigaretta, perciò l’avvocato e un agente l’avevano accompagnata fuori e ora stavano tornando. Evidentemente l’aver denunciato il figlio era stato un grosso shock per lei.
Karsten Tønnesen la pregò di rimettersi seduta.
«Dobbiamo restare qui tutta la notte? Non c’è altro da dire. Voglio andare a casa». Myrtel guardò l’avvocato.
«Non credo che sarà possibile», replicò Marie Sagen, posando le mani ben curate sulla superficie del tavolo.
Tønnesen si schiarì la voce. «Quando si ammazza qualcuno per disgrazia, non si finisce per forza in prigione. Un omicidio premeditato, invece, può voler dire anni dietro le sbarre. E allora, se è stato un incidente, perché lo avete tenuto nascosto?»
«Certe regole non le conosciamo mica, noi. È successo tutto troppo in fretta e Glenn ha una paura matta della polizia. Si infuriò con Thona, è fatto così. Le diede uno spintone e lei cadde dentro la botola».
«Elly dov’era?»
«Era lì, ha visto tutto. Cacciò un urlo e Glenn scappò via. Dissi a Elly che doveva tenere la bocca chiusa, che non sapevamo dov’era finita la bambina e che Glenn non era mai stato da noi. Poi mi inventai che era malata e la mandai a letto di sopra, in camera sua».
«Ho parlato con uno che ti ha avuta in cura nel 1999», proseguì calmo Karsten Tønnesen.
Myrtel Haug ebbe un sussulto, poi abbassò gli occhi sulle mani. «Ah, allora lo sai. Che non ho tutte le rotelle a posto. Dovete prendere Glenn, prima che faccia qualcosa a Elly».
«E perché mai dovrebbe farle qualcosa?»
«Non lo so».
«Perché?».
L’intuito gli diceva che c’erano altre cose che la signora dei piccioni non aveva ancora confessato. Tønnesen sentì dentro di sé la voce di Marian: “Hai dell’intuito Tønne. So che in polizia l’intuito viene snobbato come una cazzata, ma tu la pensi diversamente, non è vero?”.