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Margrethe Moe raccolse i capelli scarmigliati di media lunghezza in una coda di cavallo. Nonostante l’impianto di aerazione, nel guardaroba l’aria era viziata. Finestre non ce n’erano, solo file di armadietti grigi con le chiusure di sicurezza, uno per ogni dipendente. Non era certo una gran bellezza, ma aveva un aspetto sano e dei lineamenti nitidi, anche se un po’ insignificanti. Gli occhi grigi erano contornati da ciglia scure e folte, il viso era rotondo. Sapeva bene di essere un po’ paffutella, ma quei pochi chili di troppo non le stavano poi tanto male.
Non appena il progetto di vendetta del fratello si fosse concluso, avrebbe riavuto la sua quotidianità. Un carrello con le tazze per il caffè sferragliò fuori dalla porta. Margrethe ripose gli occhiali dalla montatura in acciaio nella custodia. Si sentiva calda e sudaticcia, ma avvolse comunque una larga benda intorno al petto, per appiattire il seno e riuscire a infilarsi nella tuta di pelle. Le braccia tremolanti erano ricoperte da cicatrici bianche nella parte superiore. Ormai era passato del tempo dall’ultima volta che si era tagliata, non aveva bisogno di andare a cercare il punto in cui il dolore si dissolveva, non adesso che il fratello aveva messo in atto il suo progetto.
La polizia non aveva scoperto niente. Era lei l’altro uomo. Il mondo desiderava essere ingannato. Andreas Lindeberg non era mai riuscito ad accorgersi dell’inganno. Aveva sempre vigilato sull’altro uomo, ma era stata lei a catturarlo con l’affilatissimo coltello Wayne Barton nell’androne delle scale e a costringerlo a scendere in cantina. Aveva agito come un domatore di leoni sulla pista di un circo, senza nessuna paura e sotto gli occhi di tutti. Era stato il suo esame d’apprendistato e lo aveva superato. Quel corso di autodifesa che aveva frequentato per il lavoro era valso la pena. Siate decisi, utilizzate queste prese per tirarvi fuori da situazioni difficili, sorprendete l’assalitore (che per definizione era il paziente) e non sottovalutate mai l’aspetto psichico.
Poi il fratello era sceso nel rifugio antiaereo a prendere Andreas, mentre lei faceva la guardia di sopra. Aveva usato una pistola giocattolo, conosceva ogni genere di trucco per ingannare la mente. Il fratello le aveva detto che aveva superato la prova. Ne era orgogliosa. Avevano fatto ricerche accurate prima di entrare in azione, dedicato molto tempo ai pedinamenti.
Si tirò la tuta sopra i fianchi, sotto portava dei leggings, una maglietta di lana e la giacca in pile. Il padre lei non l’aveva mai toccata, aveva violentato i fratelli. Erano tre, ma il maggiore si era tolto la vita all’età di ventidue anni e subito dopo il padre era stato spinto nella fossa dell’olio. Dal fratello. Ed era morto.
La tuta di pelle era priva di qualunque segno di riconoscimento, non avevano sulla schiena la scritta INNOCENT DRAGONS, come gli altri del motoclub. Quello sarebbe stato l’ultimo giro in moto per quell’anno, perché era già la metà di ottobre. Era stato un autunno particolarmente mite e asciutto, ma quel giorno aveva nevicato leggermente, perciò era giunto il momento di riporre la moto in officina fino alla primavera successiva. I ragazzi adoravano andare al garage di Stormørkveien a lucidare le motociclette in primavera. Non si potevano certo definire degli Hells Angels, ma erano gemellati con un club in Olanda, che come loro si teneva alla larga da tutto ciò che aveva a che fare con criminalità e spaccio di narcotici. Da lì il nome Innocent Dragons.
Il casco era in fondo all’armadietto. La polizia era alla ricerca di due motociclisti per il caso Schavenius, perciò non potevano più andare in giro in moto loro due da soli. Non erano mica stupidi, i draghi innocenti. In ogni caso era ormai inverno e da allora in poi avrebbero usato solo il furgone. Avevano cambiato la targa, un’altra volta. Se alla fine tutto fosse andato in malora, l’isolamento avrebbe potuto rivelarsi una salvezza. Era quello a cui stava pensando in quel momento, che forse il posto più sicuro al mondo poteva essere in una prigione. Si infilò i guanti e allargò le dita. Andreas Lindeberg, Gustav Joner e Hallgrim Schavenius erano morti.
Schavenius aveva creduto che lei stesse dalla sua parte. Il metodo aveva funzionato, era facile manipolare una vittima. Poi però era sopravvissuto e lei era stata costretta a ucciderlo a Ullevål. Avrebbe potuto farlo il fratello, se solo non fosse stato tanto codardo.
Qualcuno toccò la porta e lei girò la serratura. Era Annie, con in mano un bicchiere usa e getta del caffè di Wayne’s Coffee.
«Ciao Margrethe», la salutò.
«Ciao», rispose Margrethe notando i fiocchi di neve sulle sue spalle.
«Davvero usi la motocicletta adesso, a ottobre inoltrato? Deve fare un freddo spaventoso».
«Sarà il mio ultimo giro».
Annie bevve un sorso di caffè dal bicchiere di carta e versò il resto nel lavabo. Chiazze scure andarono a formarsi intorno alla ghiera di metallo.