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Si era fatto leggermente buio nel silenzio della sera. I blocchi alti dei condomini erano disposti tutti in fila, come riquadri neri contro il cielo grigiastro. Erano edifici tipici della periferia di Oslo, circondati da parcheggi asfaltati, parchi giochi con altalene e grosse sabbiere, panchine in legno e lampioni disposti in maniera simmetrica tutt’intorno. Ai pali dei lampioni erano appesi cestini della spazzatura stracolmi. Il grosso traliccio dell’alta tensione installato su un praticello in mezzo ai palazzi ronzava isolato da tutto il resto. La gente ormai doveva essere occupata a mettere a letto i bambini. Le finestre erano macchie gialle che si sovrapponevano le une alle altre attraverso il vetro della visiera. Non si scambiarono una parola. In uno degli alti condomini viveva il secondo uomo della lista, che questa volta era il portiere di un palazzo. A Glenn Haug non erano riusciti ad avvicinarsi, perché alla stazione di Oslo S si era spaventato. Evidentemente aveva capito che erano lì per lui, e così avevano dovuto elaborare un nuovo piano. Il fratello era tornato a casa dal lavoro poco prima, avevano mangiato e lui era salito di sopra a controllare Andreas. Credevano che sarebbe morto per le ferite e invece era ancora vivo. Avevano rimandato il momento di sbarazzarsi di lui, ma erano d’accordo che avrebbero dovuto farlo subito, quella notte stessa.
Erano già stati in quel posto. Parcheggiarono di nuovo le motociclette nel posteggio riservato agli ospiti e si avviarono con un’andatura rilassata verso il condominio B. Lungo il vialetto erano stati piantati dei grossi alberi di tuia. Si fermarono a osservare il portiere dal vetro illuminato della finestra della cucina.
Poi si ritrassero e fecero il giro del palazzo. Sul retro c’era il resto dell’appartamento d’angolo del portinaio, quasi addossato a una scarpata. Su questo lato si affacciava il salotto. Le tende non erano mai tirate e dall’interno la luce andava a posarsi sul prato come un tappeto giallo quadrato. Il portiere aveva messo della musica. Ai due uomini le note giungevano attutite, come se venissero da dentro un sacco. Si guardarono intorno. Nessuno in vista. Erano già stati in quel posto diverse sere prima di allora, nel buio, con solo una parete e una finestra a separarli dal portiere. Lui non sapeva di essere osservato, non sapeva che i due uomini vestiti in pelle seguivano ogni suo movimento. Stava vagando dentro casa con indosso dei pantaloncini corti e delle grosse Crocs. Avevano progettato nei minimi dettagli come catturarlo, come stordirlo con il gas, per poi trascinarlo nel furgone. Magari non dalla porta d’ingresso, ma piuttosto da quella del salotto. Avrebbero potuto portare la macchina sul vialetto. SOSTA CONSENTITA SOLO PER CARICO E SCARICO, c’era scritto sul cartello. Avrebbero agito la sera seguente. Avevano già individuato il luogo dove lo avrebbero seppellito, un posto nel bosco, o forse in città. Il fratello si trastullava con quel pensiero.
Adesso erano al margine del prato. In linea d’aria li separavano non più di cinque o sei metri, e un muro. Ma Gustav Joner non aveva idea di cosa lo stesse aspettando.
Tornarono indietro lungo la E6. Dovevano sbarazzarsi di Andreas e poi catturare Joner una volta che Andreas fosse stato morto e sepolto.
*
La testa aveva qualcosa che non andava. Andreas era diventato lentissimo, si era arrestato esitante, in preda alla paura. Gli mancavano le sue giornate, piene di compiti da svolgere al lavoro. Alzarsi al mattino presto. Certo erano stancanti, ma belle. Alle sue spalle c’era la casa in muratura con il portone del garage e quella lampada esterna da quattro soldi. Guardò la casa marrone a sinistra, che distava appena un tiro di schioppo. La casa era stata costruita su un muro di foratini in calcestruzzo, che presentava un’apertura, in corrispondenza della quale era stato posizionato un grigliato in legno per rampicanti. Avrebbe potuto intrufolarvisi strisciando, per sfruttare l’apertura come postazione di avvistamento. Se gli uomini non lo avessero trovato, se ne sarebbe potuto restare seduto immobile per diverse ore. Il cane, però, lo avrebbe scovato. Tese l’orecchio per sentire se arrivavano delle motociclette, ma tutto taceva.
Affondò la bomboletta spray nella cintura dei pantaloni. Il dolore era troppo per permettergli di correre, ma cercò di mettere un piede davanti all’altro e si incamminò lentamente lungo la strada di ghiaia. Il sole era ormai sparito. Esaminò la casa marrone e la scala con la porta d’ingresso chiusa. Anche lì brillava una lampada da esterno dalla luce fioca. Alle finestre le tende erano tirate. Chissà se c’era qualcuno dentro? In cima a un palo di legno vide una cassetta della posta, ma era piena di giornali e lettere che penzolavano sotto il coperchio. Non era un buon segno, lo avrebbe capito chiunque. Era meglio andare a destra o a sinistra? Dove avrebbe trovato gente, qualcuno che potesse aiutarlo? Dov’era la strada principale? Bastava dirigersi verso la luce arancione. Ma loro sarebbero senz’altro passati di lì per tornare a casa, sarebbero potuti spuntare in qualunque momento, sulle loro motociclette.
Una folata di vento agitò gli alberi sul limitare del bosco dietro la casa, andò a gonfiare la giacca di Andreas e gli spazzò all’indietro i capelli.
Lungo la parete dietro l’angolo c’era del terreno ricoperto di pietrisco che si stendeva per un mezzo metro a partire dal muro portante. Di giardino neanche l’ombra, solo un prato, o un campo, che spariva in un avvallamento scosceso, andando a finire sul nero limitare del bosco. Nel muro portante scorse la porta di uno scantinato e provò a scuotere la maniglia, ma era chiusa. Serrò gli occhi e vide delle macchie rosse formarsi all’interno delle palpebre. Poi prese a scendere lungo uno stretto sentiero che conduceva verso il bosco, una specie di canaletto di scolo naturale che seguiva il pendio, ma una caduta inaspettata gli fece percorre scivoloni l’ultimo tratto. Il dolore si diramò in tutto il corpo; si era graffiato il dorso di una mano. La bomboletta spray era scivolata via dai pantaloni ed era sparita, ma la ritrovò nel buio. Il sottobosco era ricoperto da steli di erica corti e lucenti, ma qua e là c’erano anche piante più grosse. Adesso riusciva a vedere nel buio. Dentro il bosco, in mezzo ai tronchi alti, c’era odore di resina e davanti a lui si stendeva uno stagno verde che era poco più di una pozza. Si rimise in piedi. Il sottobosco era cosparso di foglie, su cui i piedi lasciavano impronte evidenti, che però sparivano subito dopo. Doveva trovare la direzione giusta che lo avrebbe condotto in un posto abitato. Si incamminò verso la strada, ma più verso destra, immaginando che così sarebbe spuntato sulla carreggiata.
E così fu. In lontananza scorse una debole striscia di luce sopra le cime degli alberi, un bagliore arancione che doveva venire dai lampioni dell’autostrada. Nessuno poteva trovarlo, immerso com’era nella natura, nel buio. Il cane, però, avrebbe potuto scovarlo. Se solo fosse arrivata una macchina. Dal sentiero in ghiaia partiva una strada che si inoltrava tra i campi, solcata dalle tracce profonde delle ruote di un trattore, ma probabilmente non conduceva da nessuna parte. Giunto al ciglio della strada, affondò in un terreno di felci che odorava di muschio umido, terra putrida e angoscia.
Arrivava una macchina! Quando udì il rumore del motore, si alzò euforico sui talloni. Il dolore si propagò dai fianchi a tutta la colonna vertebrale. La ghiaia scricchiolava mentre la vettura si faceva più vicina. I fari anteriori andarono a illuminare le felci, mettendo in risalto la trama dei puntini simili a occhi sotto le foglie.
Avrebbero potuto essere loro! Tornò ad acquattarsi tra le felci, che nella luce dei fari somigliavano a ombre di scheletri. Pensò al bambino dell’asilo. Una notte aveva sognato di colpirlo con un martello e sul viso del piccolo era balenata una luce improvvisa che si era lasciata dietro un intrico di foglie autunnali dai bordi dentellati come la lama di una sega. Andreas aveva freddo. Quando aveva cominciato a lavorare in quell’asilo, la sua goffaggine era sparita. Ovviamente non aveva mai colpito nessuno con un martello. No, non era questo quello che aveva fatto.
In quello stesso istante si rese conto di essersi sbagliato, perché il furgone era dentro l’officina. Non era la loro macchina quella che stava arrivando. Si tirò su per metà sulle gambe, doveva risalire la scarpata. Cadde con la faccia su una pietra e cominciò a perdere sangue dal naso, ma si rialzò in piedi.
La vettura passò oltre proprio in quel momento. Al posto di guida, Andreas distinse le sembianze di un uomo anziano. Vaghe, con qualcosa di simile a un’aureola intorno alla testa.
Quando finalmente riuscì ad alzarsi e ad agitare le braccia, era ormai troppo tardi. Trattenne il respiro, non poteva credere che la macchina fosse passata senza fermarsi. Le fitte al bacino erano come delle percosse. I rossi fanali posteriori si dileguarono dietro una curva.