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C’era qualche sporadica casa e ogni tanto delle viuzze qua e là, ma dopo un po’ restò solo una strada che saliva su per la collina. Era buio pesto, se si escludeva la piccola falce di luna che spuntava da dietro una nuvola. Marian lanciò un’occhiata all’orologio del cruscotto. Segnava le 03:35. La luce dei fari formava due coni gialli nell’oscurità. Marian passò accanto a un uomo con un pastore tedesco al guinzaglio. In quel posto e nel mezzo del notte? Diede uno sguardo nello specchietto retrovisore, domandandosi se fosse il caso di fermarsi per chiedergli se sapesse dove abitava Margrethe Moe, ma qualcosa la spinse ad accelerare invece di frenare. Quell’uomo aveva un’aria familiare. Forse lo aveva già visto da qualche parte? All’incrocio successivo trovò il cartello che indicava Stormørkveien. Si immise sulla stradina di ghiaia a destra. Era piena di buche e tutte le pozzanghere erano ricoperte di ghiaccio.
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Maggie gli aveva telefonato. Annie era fuggita. Il suicidio di Annie Ormberg Johansen doveva avvenire nel bosco, ma Maggie non era riuscita a fare in modo che succedesse. Frank Moe lasciò la strada e si infilò tra gli alberi sulla destra, poco prima del punto in cui la via svoltava in Stormørkveien. Era appena passata una macchina e non era la vedova che viveva più in alto nella valle, ma un’auto sconosciuta. La cosa non gli piaceva. Era arrivato il momento. Liberò Rex e si mise a correre.
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«Ma la madre di Thona ha sofferto per quindici anni», le fece notare Karsten Tønnesen.
«Anche per noi è stato un inferno». Myrtel Haug raddrizzò la schiena e posò le mani in grembo. «Credi che sia stato facile per me? E per Glenn? Pianse tutto il tempo il giorno dopo. E ha usato lo spaventapasseri come altare. Così disse quando seppellimmo la bambina: il mondo continua a girare come se niente fosse, ma lo spaventapasseri sarà come un palo, un punto fisso che ci ricorderà la bambina morta. Non potete togliermi Elly».
«Ma quella non è Elly». Karsten Tønnesen alzò la voce. Cato Isaksen e Farhi Salman stavano seguendo l’interrogatorio da un ufficio dal lato opposto del corridoio.
«Ma anche lei crede di essere Elly. Dovetti imparare a comportarmi bene. Smisi di usare le mani. Non so se capisci. Siamo io e lei. Sono stata una cattiva nonna per Elly, la rimproveravo e mi arrabbiavo con lei. Quando ho avuto Thona, sono dovuta cambiare, perché quella bambina era tanto spaventata. Ha solo me».
«Thona ha sua madre», precisò Karsten Tønnesen. «Tuo figlio è pericoloso. Ha dato la caccia a Marian Dahle. Per ucciderla».
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Birka era ancora irrequieta sul sedile posteriore. E all’improvviso eccola, un’orrenda casa in muratura quadrata, simile a una piccola fabbrica. Marian rallentò e sbirciò dal finestrino. Possibile che fosse quello il posto? Sembrava una casa disabitata, con le tende tirate alle finestre. L’edificio aveva una parte riservata al garage, con un largo portone in lamiera.
Il furgone nero era parcheggiato lungo la strada. Sulla carrozzeria scintillava la luce della luna. Marian provò all’improvviso una paura raggelante. E se Annie fosse già morta?
In quel momento le venne in mente che avrebbe potuto dire che le era partito un colpo lassù, quando avesse riconsegnato l’arma al deposito. Per questo mancava una pallottola nel caricatore.
Procedette lentamente fino ad arrivare a una strada per il trasporto del legname, con uno spiazzo in cui svoltò per tornare indietro. Se fosse riuscita a trovare Annie, sarebbero dovute fuggire da quel posto alla svelta, perché era molto probabile che Margrethe Moe fosse coinvolta in tutta quella faccenda. Parcheggiò con il cofano rivolto nella giusta direzione, spense il motore, si protese di lato e aprì il vano portaoggetti. La pistola era sparita.
*
Mentre accendeva la luce dentro la macchina, ebbe una folgorazione e capì cos’era successo. Ci fu un movimento, un’ombra scura che invase lo specchietto: qualcuno era seduto dietro alla rete che separava la macchina dal bagagliaio. Comparve prima una mano, poi la canna della pistola, poi un volto con una ragnatela tatuata. Era Glenn Haug.
Era in simili situazioni, quando ci si ritrovava con un piede sull’orlo del baratro, che le esperienze passate si rivelavano importanti. Fare un bel respiro. La schizofrenia non aveva solo connotazioni negative. Lei lo sapeva bene. Una creatività a rischio di degenerare.
«Allora, Glenn, come sta la gamba?», gli domandò con voce ferma.
«E a te che te ne frega, brutta troia?».
Era la voce rude.
«Scendi dalla macchina e lascia dentro questo cagnaccio», le ordinò saltando giù dal bagagliaio.
Marian spalancò la portiera e uscì. Avvertì la luce fredda della luna sulla pelle, come acqua. Aprì lo sportello di Birka, che scese dal furgone.
Glenn Haug le puntò contro la pistola. «Ti ho detto di lasciare dentro il cane».
Zoppicava ancora. Le arrivò addosso e le puntò la bocca dell’arma contro la testa. Marian riconobbe il suo odore indefinito, un misto di sudore e sporcizia, quello che aveva sentito in casa.
«Se vuoi uccidermi, allora spara».
Birka li fissava immobile. «Abbiamo trovato tua figlia, Glenn. Elly, sepolta dietro lo spaventapasseri».
Lui sbarrò gli occhi. La parte bianca era coperta da un velo giallognolo. «Balle!». Marian vide i denti gialli e storti e sentì l’alito putrido sfiorarle la guancia.
«Tua madre ha sputato il rospo. Elly è Thona. Fosti tu a spingerla nella botola della casetta. Le volanti della polizia saranno qui tra due minuti. Restituiscimi la pistola e aiutami a trovare la mamma di Thona. È in pericolo».
Glenn Haug tremava. Si fermò a riflettere.
«Avrai sentito che ho chiamato i rinforzi mentre guidavo, quindi in ogni caso la partita si chiude qui per te».
Glenn si asciugò sotto il naso con la mano libera e Marian scorse il rigonfiamento infiammato sul suo viso, sotto il tatuaggio a forma di ragnatela.
«La madre di Thona è in pericolo di vita», continuò. «Deve essere nella foresta. Certo tu questo bosco nero non lo conosci, ma se mi aiuterai, ti verrà concessa una riduzione della pena. Te lo garantisco, hai la mia parola».
Lui la guardò per un istante, con la luce della luna che gli illuminava gli occhi. Portò la mano libera alla testa e sfregò con fare febbrile il berretto avanti e indietro.
«Sei in debito con la madre di Thona. Salvala!».
«Non ti darò la pistola però».
Si udirono dei latrati rabbiosi dal bosco. Entrambi si voltarono verso la fonte di quel rumore.
Marian si incamminò e lui la seguì. C’era uno spazio aperto di fianco alla casa, un campo che scendeva sul lato sinistro fino al limitare del bosco, una specie di scarpata. «Un uomo con il cane», disse Marian. «Quell’uomo forse vuole ucciderla. Salva Annie Ormberg Johansen. Vai!».