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Fu svegliato da un raggio di luce di un bianco abbagliante. Le lampade a neon dell’officina erano state accese e lampeggiarono qualche volta prima di stabilizzarsi. Già al momento del risveglio ebbe la chiara impressione che qualcosa di terribile fosse accaduto. Era come se un artiglio gelido fosse calato in quella fossa nel cemento per pungerlo sulla spalla. Andreas era rimasto sveglio tutta la notte, rabbrividendo nella giacca leggera, ma alla fine doveva essersi addormentato per un attimo sul duro pavimento. Il sangue sulle labbra si era rappreso; aveva sfregato la bocca contro il cemento per togliere il nastro adesivo. Si gettò su un fianco. I punti doloranti erano nel petto, nell’addome e nella gola. Non sentiva più né piedi né mani, era solo dolore.

Sotto il portone del garage, nello spiraglio tra il bordo della fossa per l’olio e il furgone, intravedeva una luce grigia se si metteva in punta di piedi. C’era odore di piscio là sotto, perché aveva dovuto orinare in un angolo. Non arrivava nessuno, perciò si rimise seduto e posò la testa sulle ginocchia. Era prigioniero in una trappola, come la volpe costretta a rosicchiarsi la zampa per liberarsi. E allora sentì quel suono, quello che veniva da dentro di lui. Un suono che non esisteva. Aveva fame e sete, lo stomaco era nero di rabbia. Per quale motivo lo avevano preso? Cosa volevano farne di lui?

*

Il cosiddetto ufficio non aveva finestre ed era illuminato a malapena da un unico lampadario a forma di palla appeso al soffitto, che conferiva alla stanza un’aria gelida. Non c’erano neppure prese d’aria, solo un sistema di ventilazione che brontolava nell’ingresso. A causa dell’ubicazione, c’era un bel viavai di gente che faceva avanti e indietro dal guardaroba accanto. Uno schifoso buco di merda, in parole povere, ma in fondo era quello che piaceva a lei, avere un nascondiglio dove non trovarsi persone tra i piedi. Il magazzino dei reperti indiziari e l’ufficio materiali, dove tra l’altro si potevano registrare le armi, erano al piano di sotto, al livello K2. Marian conosceva di vista Henningsen, che li gestiva.

Si prese un caffè alla macchinetta del piano superiore, talmente bollente che le bruciò la lingua. Andò a prendere Birka e la sua coperta nella macchina che aveva lasciato nel parcheggio e poi scese nel seminterrato con il bicchierino di carta in mano. Birka annusò un po’ qua e là prima di accucciarsi. Poi Marian tirò fuori la vecchia fotocopiatrice che a suo tempo era riuscita a farsi dare da una segretaria che lavorava alla Omicidi. Non si poteva mai sapere quando avrebbe potuto far comodo.

Non c’era un cadavere. C’erano tracce del DNA della bambina su una palla che doveva trovarsi nel deposito dei reperti indiziari, ma non avevano niente con cui confrontarlo. La nuova tecnologia avrebbe forse fornito risposte migliori, ma a quali domande? Non avevano neppure dei sospetti. In poche parole la bambina era sparita senza lasciare traccia.

*

Il motore fu avviato, la vettura fece retromarcia e una leggera scaletta d’acciaio con sei scalini venne calata nella fossa. Scese l’uomo mingherlino con le ciglia scure. Adesso indossava una tuta blu dalla stoffa logora piena di macchie d’olio, che però era troppo grande per lui e che quindi aveva dovuto arrotolare. Gli diede una bottiglietta d’acqua, che Andreas bevve avido, poi chinò la testa di lato e gli coprì di nuovo la bocca con del nastro adesivo.

L’altro uomo non si era fatto vedere, ma Andreas sentiva che c’erano persone in casa. Si udivano un tintinnio di piatti e il rumore di una televisione accesa. Provava un’angoscia talmente palpabile che credeva ne sarebbe morto.

Gli facevano male le spalle e aveva ancora addosso la giacca. L’uomo gracile lo spinse su per la scala e poi dentro l’officina. C’era una vecchia di cui aveva visto spuntare qualche ciuffo di capelli la sera prima, che lo guardava apatica attraverso il vetro. Doveva essere demente, oppure una scellerata. L’aria nella casa in muratura era satura dei fumi della cucina e di puzza stantia di sigarette. Era arredata in stile anni Sessanta, con tappezzeria e mobili decorati con motivi grandi, come quelli tornati di moda al giorno d’oggi.

Il tavolo della sala era pieno di carte e schedine del lotto, mentre sulle sedie consunte e sul divano erano stati gettati giacche e indumenti vari. Dalla luce di una TV accesa arrivavano le notizie del mattino. Il primo uomo non si vedeva da nessuna parte. Attraverso una porta socchiusa Andreas vide che la cucina era dritto davanti a lui e sul bancone c’era un gran caos. Là dentro scorse una donna, che però accostò subito la porta. Allora uno dei due uomini aveva una moglie? La sua immagine gli era rimasta impressa: un po’ paffutella, ma scialba. L’uomo gli tolse la giacca e Andreas non si ribellò. A destra della cucina c’era una ripida scala che conduceva al primo piano, con un tappeto verde che emanava fetore di muffa e doveva essere pieno di acari.

«Sali!», gli intimò l’uomo.

E lui non ebbe scelta.

*

Lungo una delle pareti erano disposti degli schedari in metallo con i cassetti vuoti, coperti da una polvere sottile. Evidentemente quella stanza veniva usata come ripostiglio: c’erano vecchie scatole e carte varie ammucchiate lungo l’altra parete. Marian bevve un sorso di caffè. In quel posto poteva starsene in pace quanto voleva, ma non c’era aria. Come sarebbe andata con il mal di testa?

Da un chiodo nel muro pendeva un calendario della polizia del 1998. Le uniformi erano cambiate da allora. I fogli erano arricciati lungo i margini. Si sedette. Ormai non contava davvero più niente, era caduta così in basso da accettare di starsene in un seminterrato in mezzo a vecchie scartoffie. Sulla Terra vivevano sei miliardi e mezzo di persone e a nessuno degli altri importava un fico secco di lei. Era una formica, come quelle che avevano invaso il suo appartamento dal giardino sottostante, irrompendo da una fessura nel pavimento. Aveva comprato tutti i veleni in polvere che aveva trovato, oltre a dei piccoli contenitori con un liquido rosso letale, ma Birka li aveva leccati e quindi era dovuta passare alla controffensiva con aspirapolvere e cloro. Gli esseri umani erano altrettanto insignificanti quanto le formiche: uno in più o in meno non faceva nessuna differenza. E due giorni prima le formiche erano tornate.

Un Mac era stato messo a sua disposizione. Marian guardò il mucchio di cartelline sulla scrivania consunta, una pila di vecchi involucri marrone chiaro contenenti dei documenti. In cima c’era un foglio informativo. Avrebbero avuto a disposizione un tecnico della Scientifica e un analista da poter contattare in qualsiasi momento. Poi c’era un uomo di nome Salman a cui avrebbero dovuto fare rapporto. La Kripos aveva creato un indirizzo mail per le segnalazioni: tips.coldcase@politiet.no. Con la riapertura di altri casi irrisolti, quella sarebbe stata una casella di posta comune. Quel Salman della Kripos avrebbe poi esaminato e suddiviso le varie segnalazioni per inoltrare a ogni gruppo le mail di sua esclusiva competenza. “Macché gruppo e gruppo”, pensò Marian. Era difficile pensare a se stessa e a un vecchio pensionato come a un gruppo.

In mezzo alla stanza c’era uno scatolone con su scritto “Scomparsa”, pieno di verbali di interrogatori e ritagli di giornale. Marian si sedette sulle ginocchia. Quel caso aveva spopolato sui media per anni. Ovviamente avrebbe dovuto leggere con attenzione tutti quei documenti ed esaminare ciò che c’era scritto, anche tra le righe. Con un occhio diverso, possibilmente. Bevve un sorso di caffè, si chinò e diede una pacca distratta al cane. Birka sollevò il muso e la guardò con aria quasi sollevata. Come se un cane potesse sentirsi sollevato.

Il caso della bambina scomparsa
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