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Annie aprì la porta dell’ufficio di Dan con una chiave universale ed entrò. Quel reparto restava chiuso di notte. La colse l’idea del possibile pericolo che stava correndo, ma l’ebbrezza la fece rilassare. Restando per un attimo in piedi in ascolto, udì il silenzio venirle incontro. Tenne indosso il cappotto, lasciò spento il lampadario del soffitto e accese invece la lampada della scrivania, che gettò sulla superficie del tavolo un cerchio di luce gialla. Si sedette. L’ufficio era bianco e spoglio, fatta eccezione per dei disegni di bambino attaccati alla parete e un cappotto appeso dietro la porta. Annie esaminò i disegni e una casetta di pasta di sale posata sulla scrivania insieme a un gatto dipinto di rosso. In un contenitore di plastica c’erano delle penne e un tagliacarte affilato. Annie accese il Mac, che emise un pling-plong prima che la luce azzurra le inondasse il viso. Continuando a tenere gli orecchi tesi, lanciò uno sguardo verso la porta socchiusa e verso la finestra, ma non si vedeva nessuno nell’edificio di fronte. Entrò nel database dell’ospedale utilizzando la propria password e digitò il nome e il codice del reparto, Centro regionale di assistenza per l’infanzia e l’adolescenza. Si addentrò nel sistema inserendo i cognomi Lindeberg, Joner e Schavenius uno dopo l’altro, ma non ebbe alcun risultato, perciò era ormai sicuro che non fossero stati tra i loro pazienti. Non spuntò neppure il nome di Glenn Haug, quando lo cercò. Facendo però un altro tipo di ricerca, ottenne dei risultati. Trattenne il respiro, quando vide comparire il nome di Hallgrim Schavenius, non come paziente a sé stante, ma menzionato all’interno della cartella clinica della nuora, che era stata lì con il figlioletto Leo. Leggendo rapidamente il referto, si rese conto che quel caso sarebbe stato probabilmente accantonato dalla polizia, per insufficienza di prove. Un caso arenato, così li chiamavano in ospedale. Il giudice della Corte Suprema l’avrebbe fatta franca. Se fosse sopravvissuto.
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Marian posò la torcia su una pietra, puntando il cono di luce gialla sul punto in cui voleva scavare, poi prese la vanga… proprio dietro allo spaventapasseri poteva indicare diversi punti. Quanto dietro? Un metro? Due? O forse tre? Non c’era nessuno nel buio, solo uno dei gatti di Myrtel, quello vecchio e malaticcio, che Birka aveva allontanato, orgogliosa di essere riuscita a scacciare qualcuno. Marian strappò via l’erba che copriva il terreno, ma non fu facile, a causa del gelo. Sotto lo strato superiore trovò un tappeto di vecchie foglie e aghi di conifere. Quando la fossa ovale fu ormai profonda una ventina di centimetri, si mise in ginocchio. Lo strato argilloso in superficie lo aveva ormai rimosso e in profondità il suolo non era più congelato e la terra era soffice e nera. Se non avesse trovato niente, Myrtel avrebbe capito che qualcuno aveva scavato in quel posto durante la notte. Qualcosa però le diceva che non avrebbe chiamato la polizia. Scavare esercitava su di lei un’azione calmante. Continuò ad affondare a più riprese la vanga nel terreno, con lentezza. Attaccò a nevicare, ma poco; poi si alzò un vento gelido, come un alito che le giungeva da sinistra. La neve, partita dall’alto sotto forma di pioggia, si congelava nel suo percorso verso il basso, per poi andare ad appiccicarsi sul viso, dove si scioglieva. Fuori passava qualche rara auto. Il fruscio degli pneumatici sull’asfalto era l’unico rumore che sentiva. Oltre al brusio della città, in lontananza.
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Annie proseguì la sua ricerca nel database. In un campo scrisse “resoconti dei parenti” ed ebbe conferma del fatto che il nipote e la nuora del giudice della Corte Suprema, Leo Schavenius e sua madre, erano stati lì per parlare con Dan. Ma non trovò traccia dei genitori degli altri bambini, mentre faceva scorrere rapida gli occhi lungo la lista.
Digitò i nomi degli altri medici. Ce n’erano solo due, oltre a Dan. Quando arrivò ai pazienti del secondo, un giovane dottore nuovo, vennero fuori i nominativi di altri bambini. Cercando in un campo sulla destra, ebbe una sorpresa: comparve il nome di Gustav Joner. Mentre lo fissava, si rivide davanti agli occhi la foto del portiere. Ora capiva tutto. Joner era collegato a un bambino chiamato Sebastian Storeng. Era stata la sua insegnante della scuola di Tveita a presentarsi in ospedale per capire come comportarsi in un caso di abuso. Si chiamava Olea Thon, un nome del tutto sconosciuto, e aveva dichiarato di volersi prendere cura dei propri allievi, di volerli tutelare.
Nel campo sottostante si leggeva: “Andreas Lindeberg”. Annie sentì un brivido lungo la schiena. Simen e Toby frequentavano l’asilo Gulltoppen a Vinderen. I dipendenti dell’asilo erano stati all’ospedale; si trattava di due donne, che erano venute insieme, Charlotte Lae e Hanne Elvebakken, anche questi nomi sconosciuti. Annie annotò il nome dell’asilo di Gulltoppen su un foglietto che si trovava sulla scrivania. Non erano delle vittime quegli uomini. Con ogni probabilità anche Andreas Lindeberg era morto. Giunse un rumore dalla porta e Annie si voltò di scatto.