70

Marian parcheggiò proprio di fronte al cancello, spense il motore, aprì il vano portaoggetti, prese l’arma e, mentre la infilava nella fondina attaccata alla cintura, intravide un movimento sul lato interno del parabrezza. Una formica. Procedeva con una sveltezza mostruosa. Marian tirò giù la manica della maglia fino alla mano e la schiacciò. Era tardo pomeriggio, il sole bianco stava calando e a breve le guglie della casa sarebbero state immerse nell’oscurità. Quella notte aveva dormito. Percepiva la vicinanza dell’artista come una presenza rassicurante. La sensazione che ci fosse qualcosa che le era sfuggito, prima, nell’ufficio di Frank Moe, si intensificò.

*

Poco dopo la mezzanotte parcheggiarono nel garage sotterraneo. C’era Frank alla guida, seduto sopra un cuscino sul sedile del conducente. Erano tutti bassi, nella famiglia della mamma. Lei aveva visto il fratello spingere il padre nella fossa dell’olio. Dopo quella vicenda lui l’aveva tenuta in pugno, benché lei non ne capisse il perché. Avrebbe dovuto essere il contrario.

Il fratello aveva ucciso il padre quando aveva diciannove anni. Era a casa in licenza dal servizio militare. L’uniforme lo faceva quasi apparire più grosso, gli donava. Tuttavia svolgeva solo un lavoro d’ufficio nell’esercito, perché non era stato riconosciuto idoneo al combattimento a causa della sacca che portava all’addome.

Lei amava il padre e in seguito gli aveva scritto alcune righe nella propria Bibbia. Mio caro. Il padre aveva l’abitudine di posarle la grossa mano sulla testa dicendo: «La mia sola e unica ragazza». Margrethe aveva avuto due fratelli, Einar e Frank. Il maggiore si era tolto la vita all’età di ventidue anni, sparandosi nel bosco. Il padre era caduto nella buca dell’olio il fine settimana dopo, precipitando sul fondo e fracassandosi metà del cranio. La pozza di sangue che si era formata là sotto somigliava a una stella. Ormai erano passati quasi trent’anni. Frank l’aveva scampata facendolo passare per un incidente. Era ancora lì, la stella scura sulla superficie porosa di cemento. Lei si trovava nel gabbiotto di vetro. Frank aveva chiamato un’ambulanza e aveva raccontato sconvolto del terribile evento, del padre che era caduto.

Margrethe scese dal furgone. La portiera si richiuse con un’eco fragorosa tra i muri. C’era un pesante odore di gas di scarico. Era stata lei a scovare quegli uomini nel registro dei pazienti. Al piano di sopra, nell’ufficio di Dan Brodahl. La sera tardi si era seduta lassù a cercare, nel Centro regionale di assistenza per l’infanzia e l’adolescenza, acronimo norvegese RKBU. “Bambini rovinati da uomini adulti” sarebbe stato un nome più appropriato. Solo uno di loro, Leo Schavenius, era un paziente di Dan. Gli altri bambini andavano da un altro dottore del piano di sopra. Quegli uomini erano menzionati solo nei resoconti in cui erano riportate le sedute con persone diverse dai genitori, tra cui anche il personale dell’asilo. Erano quelli i nomi da cercare e scovarli era dunque un bel rebus. La polizia non ci sarebbe riuscita.

Glenn Haug la guardò sospettoso nella luce scialba del garage, probabilmente per via della tuta in pelle e del casco. Margrethe sollevò la visiera. «Avvicinati alla macchina e ti darò i medicinali». Lui la osservò scettico, alzò la mano e si calcò il berretto sulla fronte. Non era mica stupido. «Perché è così importante per te vendermi della roba? E perché dovrei avvicinarmi alla macchina? Lavorate per la polizia? Perché avete cercato di contattarmi?»

«E va bene», rispose lei. «Se non ti interessa». Gli voltò le spalle e tornò al furgone.

Non funzionò. Glenn Haug non le corse dietro, ma scomparve zoppicando lungo la rampa di risalita. Aveva una gamba ferita.

Margrethe si rimise a sedere in macchina e disse: «Credo che con lui dovremo arrenderci».

«Haug è stata una tua idea, non mia». Accese il cruscotto e fece marcia indietro. «I miei sono tutti bell’e sistemati».

Margrethe Moe si sentì pervadere la testa dal silenzio, come se fosse imbottita di ovatta.

«Andiamo a casa», disse Frank. Lei sapeva bene cosa poteva celarsi a volte dietro le parole. Le voci infantili e quelle di donna avevano una frequenza notevolmente più elevata rispetto alle voci maschili, ma la voce del fratello era un misto di tutto questo. Frank aveva cominciato a studiare i registri vocali già all’età di diciassette anni. Voleva cantare, ma era stato rifiutato persino dal coro di Varåa. Aveva preso il diploma, fatto il servizio militare e poi si era iscritto a psicologia. Possedeva una volontà di ferro. Le era superiore, a volte fingeva che andasse tutto bene e poi all’improvviso esplodeva, lasciandola in uno stato di annichilimento per diversi giorni. Era diventata infermiera psichiatrica, ma non era in grado di aiutare se stessa. E neppure Dio era in grado di aiutarla e lei aveva smesso di rivolgergli le proprie preghiere.

*

Tønnesen era da lei nell’ufficio del seminterrato alle nove esatte del mattino successivo. Elly aveva appuntamento dall’ipnotizzatore alle undici e Marian l’avrebbe accompagnata.

Tønnesen aveva una montagna di incartamenti sotto il braccio. Li posò sulla scrivania e si sedette.

«Ne è passato di tempo. Peccato che la casetta si sia rivelata una falsa pista. Come va? Tu e Cato siete sulle tracce di un serial killer?»

«Non abbiamo molte tracce, purtroppo», constatò Tønnesen con lentezza. «La cosa peggiore è che ci aspettiamo di trovare da un momento all’altro un altro cadavere».

Marian fu scossa da un brivido. Ripensò a Glenn Haug, ma non ebbe la forza di raccontare ancora la storia del bigliettino di Annie. Aveva come l’impressione che le pareti le si stessero rovesciando addosso. Era seduta bloccata in quella stanza. La tensione tornava a farsi sentire, i nervi sembravano cavi metallici nel corpo.

«È del nostro caso che voglio discutere», chiarì rapido Tønnesen. Si appoggiò alla scrivania e guardò Marian negli occhi: «Quando ho visto Myrtel Haug per la prima volta, ho subito riconosciuto in lei dei segnali».

«Quali?»

«Questa è la mia materia. Myrtel Haug soffre di un disturbo. È schizofrenica. Ho trovato le prove».

«Ricordi cosa ti ho detto?», replicò Marian. «Una madre pericolosa è assai peggio di un rapinatore con il passamontagna».

Tønnesen la guardò. «Ma non ero stato io a dirlo?»

«Forse sì», rispose Marian cauta.

«Myrtel Haug è la madre pericolosa».

«Pericolosa per chi? Per Glenn Haug? O per Elly?». Marian avvertì un soffio gelido nel corpo.

«Forse per entrambi», rispose Tønnesen. «Più che altro sono preoccupato per le condizioni di Glenn Haug e per ciò che può essere capace di fare. Myrtel è stata internata. Sindrome psicotica acuta polimorfa con sintomi schizofrenici».

«Quando? Come lo hai scoperto?»

«Mi sono arrischiato a fare qualche domanda in giro. Ho parlato con uno dei medici da cui era in cura, un anziano professore, e ho scoperto che nel 1999 Myrtel ha trascorso dei mesi in un istituto, l’ospedale psichiatrico di Gaustad. È successo poco prima che quel posto venisse chiuso, perciò non è stato facile trovare i documenti. Ho fatto qualche telefonata e alla fine ho colto nel segno. Dunque Myrtel è stata internata prima della scomparsa di Thona. Fu dimessa a giugno e Thona sparì ad agosto. Già, è una coincidenza da far accapponare la pelle. Myrtel mostra sia i sintomi primari che quelli di secondo rango. Penso che all’epoca potesse essere una bomba a orologeria», proseguì Tønnesen.

Marian si agitò inquieta sulla poltrona. «Hai dell’intuito Tønne. So che in polizia viene snobbato come una cazzata, ma tu la pensi diversamente, non è vero?».

Karsten Tønnesen la osservò e poi rispose: «Potrebbe essere stata Myrtel Haug a togliere la vita alla bambina. Disturbi dissociativi, propensione agli scoppi di aggressività e tendenza a punire gli altri».

«Detto in parole povere, incapacità di controllare i propri impulsi», precisò Marian. «A vederla, però, sembra tranquilla».

Tønnesen frugò nella cartellina e ne estrasse un foglio. «Sai benissimo che spesso sono le circostanze ad attivare certi meccanismi. Ha sintomi evidenti: indifferenza di fronte agli obblighi sociali, incomprensione per i sentimenti altrui e, soprattutto, scarsa tolleranza per le frustrazioni».

Marian annuì. «Elly aveva accennato al fatto che la nonna si sentiva vittima di persecuzioni, che manifestava bisogni contraddittori e che era impulsiva. Sono sue testuali parole: “La nonna non riesce ad andare d’accordo con nessuno, tranne che con i piccioni”».

Karsten Tønnesen confermò annuendo con il capo. «La schizofrenia è ereditaria. È un disturbo complesso e i sintomi sono tra i più vari. Neanche Glenn Haug gode di buona salute mentale. Volevo solo farti sapere che può essere pericoloso».

Marian lo guardò. «Ho già avuto modo di accorgermene».

Il caso della bambina scomparsa
titlepage.xhtml
part0000.html
part0001.html
part0002.html
part0003.html
part0004.html
part0005.html
part0006.html
part0007.html
part0008.html
part0009.html
part0010.html
part0011.html
part0012.html
part0013.html
part0014.html
part0015.html
part0016.html
part0017.html
part0018.html
part0019.html
part0020.html
part0021.html
part0022.html
part0023.html
part0024.html
part0025.html
part0026.html
part0027.html
part0028.html
part0029.html
part0030.html
part0031.html
part0032.html
part0033.html
part0034.html
part0035.html
part0036.html
part0037.html
part0038.html
part0039.html
part0040.html
part0041.html
part0042.html
part0043.html
part0044.html
part0045.html
part0046.html
part0047.html
part0048.html
part0049.html
part0050.html
part0051.html
part0052.html
part0053.html
part0054.html
part0055.html
part0056.html
part0057.html
part0058.html
part0059.html
part0060.html
part0061.html
part0062.html
part0063.html
part0064.html
part0065.html
part0066.html
part0067.html
part0068.html
part0069.html
part0070.html
part0071.html
part0072.html
part0073.html
part0074.html
part0075.html
part0076.html
part0077.html
part0078.html
part0079.html
part0080.html
part0081.html
part0082.html
part0083.html
part0084.html
part0085.html
part0086.html
part0087.html
part0088.html
part0089.html
part0090.html
part0091.html
part0092.html
part0093.html
part0094.html
part0095.html
part0096_split_000.html
part0096_split_001.html
part0096_split_002.html
part0096_split_003.html
part0096_split_004.html