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Cato e Farhi Salman arrivarono insieme lungo il corridoio. Salman aveva esattamente l’aspetto che Marian aveva immaginato: un uomo piacente dai capelli grigi pettinati all’indietro e dalle sopracciglia nere. Quando passarono davanti alla parete in vetro, Marian si alzò per andare ad aprire la porta. «Cato, potresti per favore cercare di capire se qualcuno ha portato Annie Ormberg Johansen in un’altra stanza? Doveva essere qui parecchio tempo fa».
Cato si voltò e le andò incontro, Salman rimase dov’era. I loro sguardi si incrociarono. Dopo un fugace sorriso, Cato rispose con voce sommessa: «Bel lavoro, Marian. È stato Farhi Salman a sceglierti di persona. Ricordi che fu lui a occuparsi del tuo caso quando fosti indagata dall’Unità speciale?»
«Certo che lo ricordo», rispose Marian.
«Rimase impressionato da quello che scoprì».
«E cosa scoprì?»
«Niente». Cato sorrise. «Bel lavoro», ripeté, «ma non starai mica interrogando la vecchia senza un avvocato?»
«Ha detto che fu la nipote a uccidere Thona. Le è praticamente sfuggito di bocca. È una tragedia, non c’è altro da dire. Sto aspettando Tønnesen. L’avvocato sta arrivando».
Cato la guardò dubbioso, lei gli rivolse un rapido sorriso e se ne tornò nella saletta degli interrogatori. Il giovane agente non disse una parola.
Myrtel Haug aveva ancora le lacrime agli occhi.
«Proseguiamo pure. Dunque Thona cadde dalla botola della casetta?»
«Sì. Da due metri di altezza, sul pavimento di cemento».
Improvvisamente si accese una scintilla negli occhi di Myrtel Haug. Un momento di sagacia, che durò appena un secondo, come se si stesse concentrando. Dopodiché riprese a parlare: «Le bambine giocarono con la palla, poi vennero in casa. Thona voleva andare via e così Elly la spinse. A volte Elly era un po’ troppo brusca. Fu un incidente».
Marian la guardò. «Ma i tecnici della Scientifica non hanno trovato neppure una goccia di sangue là sotto».
«C’era un telo cerato. Glenn saltò di sotto e lo tirò subito su. Il cranio doveva essersi rotto, si dice così, no?»
«Frattura del cranio», precisò Marian, ripensando al ritrovamento dietro lo spaventapasseri. Ormai la sezione brulicava di gente, ma che ne era stato di Annie? Forse i giornalisti le si erano avventati addosso giù alla reception?
Myrtel Haug fissava Marian. «Elly ora è casa a dormire. Vai pure a raccontarle che è un’assassina, tanto credo che già lo sa. Ora mi metterete in prigione?»
«No, ma nascondere un delitto è un reato punibile per un adulto, Myrtel. Perché l’hai tenuto nascosto, se davvero fu un incidente? I bambini non possono essere condannati. Tu questo lo sapevi».
«Sì, ma Glenn era come impazzito. Successe tutto così alla svelta. Non hai idea di quanto può uscire fuori di testa».
*
Dietro al piccolo soggiorno c’era un abitacolo in vetro, in cui giaceva un’anziana addormentata, sul cui viso una lampada gettava un cerchio di luce. Attraverso il vetro dietro il letto, Annie vide che Frank era con il pastore tedesco. C’erano due moto parcheggiate, dietro la buca dell’olio, che si apriva come un cratere in mezzo al pavimento. Il cane osservava il padrone con le orecchie tese all’indietro.
«Nostro padre gestiva l’officina», raccontò Margrethe.
C’erano dei giornali sparsi sul tavolo del salotto. Su quello in cima figurava l’identikit di due motociclisti. Che senso poteva avere un simile identikit? Gli uomini con la tuta di pelle e il casco integrale apparivano tutti uguali.
In cucina le venne offerto qualcosa da bere. Margrethe la invitò a sedersi. Quella cucina era una trappola, una stanza angusta, striminzita e malridotta. Sul bancone della cucina era posato un coltello in mezzo ai piatti sporchi, con il manico in legno e una lama ricurva lunga due centimetri. Annie avvertì un senso di paralisi, in tutto il corpo. C’era odore di marciume. E pensare che Margrethe era così attenta e ordinata. Come poteva vivere in quel posto? «Perché vivi qui, Margrethe?».
*
Tønnesen aprì la porta della saletta per gli interrogatori. Marian spense il registratore e si alzò. «Cato è sceso di sotto a cercare Annie, ma non è ancora tornato».
«Cato era di sotto a parlare con dei giornalisti», disse Tønnesen. «Si aggirano qui intorno come uno sciame di moscerini. Telefono ad Annie».
*
Il cellulare squillò. La borsa di Annie era in soggiorno. Margrethe uscì dalla cucina portando con sé il coltello e andò ad aprire la borsetta. Il telefono si illuminava come la sirena di un’ambulanza, sparso in mezzo a una trousse, un portafogli e alcune carte. Era il nome di Karsten Tønnesen a lampeggiare sullo schermo, lo psichiatra di cui Annie le aveva raccontato. Una fitta d’ansia le lacerò come un coltello il sistema nervoso e in quello stesso istante capì cos’era che aveva dimenticato. Quel dannato cellulare di Annie poteva essere rintracciato. Il fratello era uscito con Rex. Presto la polizia avrebbe scoperto che Annie era lì. Doveva trovare subito una soluzione, prima che il fratello tornasse con il cane. L’idea che le era balenata per la mente, che il posto più sicuro per lei fosse la prigione, era ormai lontana. Non voleva finire in prigione. Il cellulare smise di squillare. Ecco come stavano le cose: Margrethe aveva portato Annie a casa con sé, perché la collega aveva avuto un crollo di nervi e non aveva voluto recarsi in questura.