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Marian sgranò gli occhi. «Cosa!? Abitavate in un’altra casa? Perché non lo avete detto?». Si alzò in piedi.

«Pensavo che la nonna ve lo avesse raccontato. Ce ne sono tante di piccole costruzioni negli orti: minuscoli cottage, rimesse, serre, la piccionaia, il fienile e il pollaio».

«Non ne ha proprio fatto parola». Marian strinse il bicchiere di carta vuoto fino a schiacciarlo. Qualcosa prese forma nel profondo della sua coscienza. «Prendiamo subito la macchina e andiamo agli orti».

«Ma la polizia c’è stata dopo la sparizione di Thona». Elly si alzò brancolando, l’espressione sul suo viso era cambiata. Per un attimo nei suoi occhi balenò un lampo di genuina franchezza.

«Non ti preoccupare, ma nei documenti si parla solo della casa. Avresti dovuto dirlo», tagliò corto Marian.

«Ora però è inabitabile, perché è marcia. Non arrabbiarti, non lo sapevo. C’erano un sacco di spifferi, gli sportelli dei mobili si aprivano da soli e le pareti scricchiolavano. Mi sembrava che quella casa parlasse».

«Vivo in una vecchia casa di legno», replicò Marian. «Ne so qualcosa di case che parlano».

*

Sui solchi tracciati dall’aratro si stendeva un sottile strato di neve. Si inoltrarono lungo il viottolo erboso coperto di brina. Le piante degli orti si erano trasformate in figure ghiacciate. Quando ebbero oltrepassato la piccionaia e la serra, Elly si fermò, fece un profondo respiro e indicò: «Eccola».

La piccola casetta, un gracile scheletro di legno grigio mezzo marcio, si trovava un po’ più in basso rispetto alla serra. Aveva le dimensioni di un capanno da orto. Sembrava quasi una casetta per bambini a due piani, tanto che sarebbe stata benissimo a Legoland. Era circondata da cespugli spogli e giovani alberelli, ma poco oltre si stendevano le strisce di argilla e terra fresche appena dissodate. L’intenso odore di marciume si sentiva fin da lì. Il prato degradava verso Uelandsgate.

Marian fu scossa da un improvviso brivido di freddo. Allora era quella la casa, o meglio il capanno, alla cui porticina Thona aveva bussato quella volta. La pistola era rimasta nel vano portaoggetti. Le tornò in mente adesso e sperò che nessuno avrebbe scassinato la macchina. Ovviamente era un pensiero assurdo, la macchina era parcheggiata accanto alla chiesa ed era pieno giorno.

Elly si sentì raggelare. «Non avrei dovuto dirti della casa».

Marian la guardò. «Non vuoi che questo caso venga risolto?»

«Sì, certo che lo voglio».

La nonna però era l’unica persona che avesse. L’idea del Natale in arrivo la rattristava, anche se la nonna faceva sempre del suo meglio. Il problema era il padre, che si aggirava intorno alla casa. Il Natale precedente aveva vestito lo spaventapasseri da Babbo Natale e aveva vagato pericolosamente nel buio, fuori dalle finestre. Il 25 dicembre la nonna lo aveva trovato ancora una volta addormentato nel capanno, coperto dalla neve, nel vecchio sacco a pelo. Era quasi congelato, a sentire lei. Aveva dovuto chiamare un’ambulanza. E così quel Natale era stato rovinato.

L’anellino che aveva al naso era bianco di brina. «Però non dire alla nonna che te l’ho fatta vedere».

«Dovremo perlustrare questa casa», le spiegò Marian. «Avviso subito la Scientifica». Studiò il volto della ragazza. «Perché hai tanta paura, Elly?»

«Non lo so», rispose lei.

«Mi hai detto che Thona non ti piaceva molto».

«Non lo pensavo davvero, Marian. Non so di cosa ho paura. E va bene, andrò da quell’ipnotizzatore».

*

Marian scostò un paio di rami coperti di brina, talmente duri da doverli tenere lontani con la forza per aprire la porta. Dentro era buio e freddo, i mobili erano ammassati gli uni sugli altri e sopra un tavolo da pranzo erano rovesciate delle sedie. Batté i piedi per scuotere un po’ di neve dagli stivali. Alcuni libri erano impilati sul pavimento, con le costole scollate per l’umidità. C’erano diversi oggetti lì dentro: un divano a due posti ammuffito, vecchi tappeti e un armadio, sulla cui cima erano riposte delle tendine piene di terra e ancora attaccate ai pali. C’era un letto posto in verticale e dei sacchi con dei vestiti sporchi disposti lungo la parete. Una scaletta stretta conduceva al piano superiore. Le assi del pavimento erano marce e gelidi spifferi di freddo filtravano all’interno. Poi Marian scorse la botola. Vi era stato trascinato sopra il tavolo ed era sigillata con del nastro adesivo metallizzato. Marian ne afferrò un’estremità e lo strappò via. Dopodiché aprì la botola e il suo sguardo andò a cadere dritto su un pavimento di cemento.

Il caso della bambina scomparsa
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