25
Le motociclette imboccarono la strada di ghiaia. Mentre si avvicinavano alla casa in muratura, i sassolini scricchiolavano sotto le ruote. C’era solo un’altra casa più avanti lungo la strada, su in cima, a Klovehøgda. Ci viveva una vedova. La casa marrone dei vicini invece era vuota. L’uomo che ci abitava prima era morto e gli eredi avevano tentato di venderla senza successo. Diedero una leggera accelerata, ma poi rallentarono e si fermarono davanti alla porta del garage. Il fratello la aprì. Dentro c’era Rex ad aspettarli, attaccato alla catena tesa, con le fauci spalancate.
*
La porta metallica pendeva sbilenca da uno dei cardini. Il prigioniero era scappato. Lo avevano già capito entrando dal garage, quando avevano visto che i vestiti sul divano non c’erano più. Il fratello si era precipitato al piano di sopra. C’era qualcosa sul bancone della cucina, un oggetto che avrebbe potuto essere utilizzato come arma da taglio, un frammento del vaso rotto. Prima, quando avevano visto Joner con le due metà del piatto in mano, un ricordo si era affacciato alla mente: tagliarsi, trovare il punto in cui il dolore si dissolveva, in cui tutto veniva neutralizzato. Era un metodo rischioso, perché lasciava delle cicatrici che erano chiaro sintomo di pazzia. Bisognava distogliere lo sguardo da se stessi, spostarlo verso un punto indefinito.
Poi videro la cenere nel lavello del bagno. Il ragazzo non poteva essere andato lontano, non con quelle ferite. La madre scosse la testa: no, lei non lo aveva visto, pigolò. Non si possono proteggere sempre i bambini da tutto. Quello era stato il suo mantra quando erano piccoli.
Quando il fratello entrò in officina, Rex ubbidì immediatamente ai suoi richiami di comando. Il cane non entrava mai in casa, il suo posto era il garage, lì dormiva e mangiava. Quel cane non piaceva un granché a nessuno dei due, ma dava un senso di sicurezza. Il bandone del garage venne aperto e Rex liberato.
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Udì il cane. Poco prima aveva sentito il rombo delle motociclette. La luce intensa della luna sembrava artificiale, come se provenisse dai riflettori di un campo sportivo. Andreas si sollevò in piedi. Gli abeti si appiattirono su due dimensioni. Le loro ombre si stendevano davanti a lui, creando dei disegni nel sottobosco. La sua stessa ombra crebbe, fino a diventare un gigante.
Doveva aver girato in tondo, perché riconobbe i bassi cespugli di erica lucente di poco prima e la stessa casa marrone, sull’altro lato della radura. Era da quelle parti che aveva perso la bomboletta spray. Si mise a cercarla febbrilmente con le mani. Un insetto gli cadde sulla guancia. Non la trovò e proseguì carponi, sul suolo disseminato ovunque di grosse radici. In lontananza comparve un piccolo animale dal dorso esile tra i cespugli, ma Andreas non riuscì a vedere cos’era. Un corpicino passò rapido nel sottobosco prima di sparire nel buio.
Andreas si insinuò sotto un cespuglio, dove restava ancora un po’ di calore residuo, o almeno così sembrava.
I latrati si fecero più vicini. Andreas trattenne il respiro e stette in ascolto. Il vento penetrava nel bosco, facendo oscillare avanti e indietro gli alberi. L’oscurità che lo sovrastava tingeva di nero gli abeti imponenti. Aveva detto ai genitori che era stufo dei bambini, che voleva cambiare lavoro e la madre lo capiva benissimo. Aveva così tante doti, lui. Avrebbe dovuto terminare la scuola, secondo il padre. Ma la scuola non l’aveva finita. Poi aveva preso il monolocale. Anzi, prima aveva avuto il lavoro nel negozio di sport grazie a un conoscente del padre, poi aveva preso il monolocale, sempre tramite lui. L’affitto era alto, ma sarebbe riuscito a pagarlo. Ormai, però, non aveva più un futuro.
Udì il fruscio delle fronde che si allargavano mentre il cane si faceva strada tra i cespugli. I latrati gli giunsero come il rimbombo di un altoparlante. Eccolo, il cane. Andreas si rannicchiò su se stesso sollevando le ginocchia contro il mento e stringendole con le braccia. Quel suono gli echeggiò in faccia, lacerandogli l’udito. L’alito putrido del cane gli schizzò sulla guancia. Sentì le zanne sul braccio, che prese a bruciargli. Poi arrivò l’uomo. Lo tirò su, afferrandogli la giacca e contorcendo la stoffa per formare due maniglie e trascinarlo via.