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Hallgrim Schavenius aveva ottantasette anni. I pantaloni grigi alti in vita erano sostenuti da bretelle che aveva preso il brutto vizio di far scoccare ogni tanto. Aveva un viso rotondo con le guance gonfie come quelle di un rospo ed era calvo. La bocca rabbiosa da pescecane rivelava un carattere polemico. Il salotto si apriva imponente nel mezzo della casa, circondato da tavolinetti carichi dei soprammobili acquistati durante i viaggi all’estero. Hallgrim Schavenius si muoveva lento tra i mobili in stile rococò e le profonde poltrone consunte, costate una fortuna a suo tempo. La luce dorata del sole penetrava in un angolo della stanza, andando a risplendere proprio sulla libreria. Gettò un’occhiata al giardino e pensò che avrebbero dovuto trovare un giardiniere per spazzare via le foglie. Le giornate autunnali trascorrevano lente. Le ore sembravano macigni. Lui era un giudice della Corte Suprema in pensione. Sapeva tutto di diritto penale e della necessità di presentare prove a sostegno delle accuse. C’era una grossa differenza tra un crimine e un’infrazione. Camminava senza requie nel grande salotto dal pesante lampadario, incapace di concentrarsi sui documenti che aveva dovuto leggere con attenzione. Quando il sole brillava attraverso i prismi, sulle pareti si formavano delle chiazze di tutti i colori dell’arcobaleno, che lo disturbavano. I tappeti e i mobili costosi erano sempre più usurati dalla luce del sole. Fuori in giardino vide il gatto rosso che Sonja adorava. Quella bestia si avvicinò alla casa e lo guardò attraverso la porta del giardino, socchiudendo gli occhi, come se gli piacesse star lì. Non lo avrebbe lasciato entrare. Con due energici strattoni, chiuse le tende.
Nonostante l’età, continuava a svolgere dei piccoli lavori per il dipartimento. Per il momento non era ancora stato sospeso, ma lo avevano avvertito che sarebbe potuto succedere. All’improvviso scoppiò in un pianto senza lacrime che gli scosse le spalle. Nessuno lo capiva. Tutta la colpa veniva riversata interamente su di lui. Il piacere era un’entità di ordine superiore, pura nella propria essenza. Si sentiva sicuro di non poter essere condannato. Suo figlio Axel li aveva sorpresi. Hallgrim aveva detto che stava leggendo qualcosa al bambino, ma che aveva cominciato a fare caldo e quindi aveva dovuto togliergli il pigiama. Ma nella stanza non c’erano libri di favole e anche lui era nudo. Aveva detto che dormiva nudo, ma Sonja sapeva che portava sempre pigiami di seta.
Aveva come l’impressione di essersi ingigantito, diventando così enorme che tutti potevano vederlo, nonostante fisicamente fosse calato di peso. Provava una rabbia che non aveva mai sperimentato prima. Come aveva potuto Leo fare la spia in quel modo? Quel piccolo traditore. Non era certo stato tanto stupido da penetrarlo, perciò non c’erano tracce. Sapeva tutto su certi argomenti. In realtà non era successo niente, ma il figlio lo aveva denunciato. Sonja sentiva la mancanza del nipote. Alla fine tutto si sarebbe aggiustato, glielo aveva promesso. Ma soprattutto lo aveva promesso a se stesso. Erano diventati nonni molto tardi e ora tutto era rovinato. Sonja stravedeva per il figlio e per il nipote, ma era comunque dalla sua parte. Di questo Hallgrim era certo. Non avrebbe potuto essere diversamente, così era fatto il loro matrimonio. Di quella faccenda non ne parlavano proprio. Ma Sonja, la donna che era sua moglie da sempre, era cambiata. Ogni tanto arrivava in salotto e si fermava in mezzo alla stanza, fissandolo, mentre lui sedeva alla scrivania. Lo faceva sentire come se fosse in mostra in mezzo a una grande sala. Sonja lo osservava da ogni lato e anche lei stava pensando di tradirlo, ma avrebbe fatto meglio a stare attenta. Se fosse avvenuto, sarebbe stata buttata fuori a calci da quella villa, dopo quarantasei anni di matrimonio.
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Marian salì lenta i gradini dipinti, fino alla porta del proprio appartamento. Qua e là c’erano delle chiazze scrostate nella verniciatura. Infilò la chiave nella toppa. Quando si accovacciò e socchiuse la vecchia porta sottile, i vetri degli stretti riquadri vibrarono. Tenne lontano il cane. La carta del cioccolatino cadde a terra. Nessuno si era introdotto in casa sua.
Entrò e si tagliò un paio di fette di pane, ci gettò sopra dell’affettato preso da una confezione nel frigo, fece bollire dell’acqua e versò del caffè in polvere in una tazza. Era tornata agli orti, ma Myrtel Haug sosteneva di non vedere il figlio da un’eternità. Si capiva lontano un miglio che mentiva. Marian si accomodò al tavolo da pranzo, sistemò l’iPad sul sostegno e lesse su internet le ultime notizie mentre mangiava. Gustav Joner aveva gravi lesioni nel retto e nel bacino quando era stato ritrovato, scrivevano adesso i quotidiani in rete. Dunque quelle informazioni erano state rese pubbliche.
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Quel martedì Tønnesen si affacciò alla porta con un foglio in mano.
Marian si alzò. «Bentornato. Come va il raffreddore?».
Birka si sollevò sulle zampe e gli si avvicinò mugolando.
«Va bene. Mi prendo sempre qualche infreddatura quando faccio lunghi viaggi in aereo». Si chinò per accarezzare il cane. «Come ti ho detto, ho consegnato tutte le prove e il materiale alla Kripos e ora non ci resta che pazientare. Sono successe un bel po’ di cose mentre ero via».
«A che ti riferisci? Qualcosa in particolare?». Marian si rimise a sedere.
«A quel portinaio che è stato trovato torturato e ucciso».
«Ah, sì, quello. È piuttosto agghiacciante. Adesso Cato e gli altri avranno il loro bel da fare».
Tønnesen le si sedette di fronte. «Sei riuscita a leggere tutti i documenti? Sono arrivate anche parecchie nuove soffiate via mail».
«No, ho avuto un sacco da fare», mentì Marian. «Mi sembra che nessuna di quelle soffiate sia di particolare interesse. Devo trovare quella palla. Non faccio che cercare e ho avuto anche altre cose a cui pensare».
«Ah sì? E quali?»
«Cose private. Sei riuscito a contattare la sorella di Myrtel Haug a Rælingen?»
«Ci sto provando. Ci andrò domani».
«Proporrei di lavorare ciascuno per conto proprio nei prossimi giorni e di restare in contatto solo tramite cellulare. Ci incontreremo se spunta fuori qualcosa di nuovo».