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Marian telefonò di nuovo a Elly Haug, ma la ragazza aveva il cellulare spento, così le inviò un SMS: “Cara Elly, se hai qualcosa da raccontarmi, chiamami, per favore”. Si era recata agli orti nel pomeriggio, ma non aveva visto né Elly, né Myrtel da nessuna parte. Era venerdì, forse erano semplicemente andate a fare compere? Non riusciva a immaginare Myrtel in un centro commerciale, ma si mise il cuore in pace e se ne tornò a casa. Per quel fine settimana le avrebbe lasciate stare.
Arrivata a casa, si preparò un pasto veloce, composto da un pacchetto di fusilli surgelati con sugo di carne e piselli. Riscaldò il tutto a fuoco lento in una padella e si sedette al tavolo sull’orlo di una sedia a fare ricerche su internet. Era diventata un’abitudine compulsiva, quella di fare ricerche sul web. E pensare che quando stava male aveva letto così tanti libri. Ora però non stava più male. La luce dell’iPad le feriva gli occhi. Tra le notizie compariva una ricerca svolta dall’autorità statale per le revisioni, in cui si giungeva alla conclusione che i distretti di polizia non seguivano procedure adeguate per la custodia delle armi. Marian deglutì, si alzò e andò a controllare che la pistola fosse dove l’aveva messa l’ultima volta, nell’armadietto del bagno, in mezzo a due asciugamani, insieme alla cintura e alla fondina. Nel mobiletto più in alto aveva riposto la valigetta. Erano arrivate altre segnalazioni dalla Kripos, ma si trattava per la maggior parte di mail di nessun interesse. Ce n’erano però un paio che suscitarono la sua attenzione, di cui una in particolare. Non tanto per il contenuto, ma per il tono. E per tutti gli errori di ortografia.
Messaggio inoltrato:
Vi consiglio di smetere di indagare sul caso Thona, perche state andando nella direzzione sbaliata. Quella bambina è stata butata in mare tanto tempo fa e ormai è cibo per i pesci. La ha presa un mio amico, che ora è morto. X
Marian fu subito colta da un’intuizione. Cercò su Google il nome utilizzato nell’indirizzo mail e scoprì quello che si aspettava: Latrodectus era il nome di un genere di ragno appartenente alla famiglia delle vedove. Non era poi così difficile fare due più due. Era un idiota pericoloso, quel Glenn Haug. E così era il caso, uno stupido caso pericoloso. Marian soffriva di aracnofobia, aveva una paura folle dei ragni e di tutti gli esserucoli dalle zampe brulicanti. Anche delle formiche, quando erano tante. Era da tempo che non ne vedeva. Forse erano sparite? Nei momenti peggiori, aveva avuto la sensazione di essere invasa, che fossero centinaia, salvo poi, a conti fatti, rendersi conto che non erano più di dieci o quindici. Glenn Haug aveva creato un indirizzo di posta elettronica anonimo. Bastava andare in una qualsiasi biblioteca, dove i computer erano a disposizione degli utenti. Lo aveva fatto anche lei un paio di volte. Quella mail era un avvertimento. Ma un avvertimento stupido, scritto da uno squilibrato. Glenn Haug non poteva certo credere che avrebbero lasciato perdere per così poco. Anzi, probabilmente si stava chiedendo perché la polizia non lo stesse cercando, perché non fosse stato denunciato e arrestato, perché i giornali non avessero scritto niente della sparatoria.
Quella stupida di Thyra Vinding aveva dato a Glenn Haug la chiave dell’appartamento. Mentre abbassava il calore del fornello, Marian sentì montare una gran rabbia contro quella vecchia. Rovesciò il cibo in un piatto e riempì un bicchiere d’acqua.
L’iPhone che aveva posato sul bancone vibrò. Aveva ricevuto ancora un’altra mail. Lo prese e aprì la casella della posta in arrivo. Si trattava dell’ennesima segnalazione inoltrata da Salman, l’avrebbe guardata con più attenzione dopo aver mangiato. Era stata inviata da una certa galina.nowak@gmail.com.
*
Si sedettero ai tavoli e vennero servite delle striscioline di carne salata che avrebbero dovuto essere costolette di pecora. Annie lanciava lunghe occhiate a Margrethe. Margrethe non poté fare a meno di accorgersene, ma perché lo faceva? Cosa covava sotto? Le si stava affacciando alla mente un pensiero, che però continuava a sfuggirle. Terminò la propria porzione cercando di ignorare l’ansia che le stava facendo salire la nausea. Poi bevve un mezzo bicchiere di vino. Avrebbe potuto guidare senza problemi.
Dopo la cena si sedettero intorno a un tavolino il più lontano possibile dal tastierista. Giunti a quel punto, l’aria viziata del locale era diventata ancora più soffocante e puzzava di sudore e profumo. Un uomo dell’amministrazione si era fatto avanti con Annie, offrendole un drink al bar. Margrethe osservava la schiena sottile della collega. Annie aveva bisogno di un uomo. Poi lui le chiese di ballare e ballarono, con movimenti impacciati e innaturali. Annie aveva la borsetta in spalla.
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L’uomo era calvo, con il viso sudato. La camicia aveva degli aloni umidi sotto le ascelle. Annie non riusciva a immaginare niente di peggio. Alla fine si allontanò scusandosi, ma lui la seguì, accostò una sedia al tavolo a cui erano seduti e le si appiccicò addosso. Annie sollevò la mano e la passò stanca sulla fronte. Ora basta, era davvero troppo. La calligrafia sbieca sul biglietto che le aveva dato Margrethe era una calligrafia che le era nota. Si alzò scusandosi, dicendo che doveva andare in bagno. Restò chiusa in uno dei vani striminziti per cercare di riprendersi. Aprì la borsetta e osservò il biglietto di Frank, studiando con attenzione la calligrafia in preda ai sudori freddi. C’era qualcosa di strano. Ormai più nessuno scriveva le cose a mano, si faceva tutto via mail o comunque tramite computer. Alla fine riuscì a capire di cosa si trattava: era la stessa calligrafia del foglietto che aveva trovato dentro la Bibbia. Doveva essere la Bibbia di Margrethe. Ora quel foglietto ce l’aveva la polizia, stando a quel che le aveva detto Marian. E dunque il messaggio di Frank, quello che aveva ora nella borsetta, era niente meno che la prova. Fratello e sorella dovevano essere coinvolti nel caso di quegli uomini. Margrethe guidava la motocicletta. Prese a girarle la testa. Le tornò in mente il musicista di strada che aveva visto in centro, quello con la maschera bianca, con il cerone bianco come quello dei clown e scuri cerchi intorno agli occhi che volevano ricreare l’impressione di bulbi oculari vuoti, morti. Non voleva pensarci.
*
Marian si era dimenticata della mail di segnalazione. Guardò un po’ di televisione e poi si spogliò per andare a letto. Prese un antidolorifico, ma rinunciò al gin. Diede qualcosa da mangiare a Birka. Elly non aveva risposto all’SMS che le aveva inviato.
Alzò lo sguardo verso il tetto. La soffitta ricopriva metà dell’appartamento. Sperava che Glenn Haug non fosse tanto pazzo da tornare. Certo, doveva chiedersi come mai la polizia non gli stesse dando la caccia dopo che si era preso una pallottola nella gamba, ma la ferita non poteva essere tanto grave. Solo dopo essersi messa a letto per cominciare la lettura di un nuovo romanzo, l’ultimo di Jostein Gaarder, si ricordò della mail di segnalazione di Galina Nowak. Posò il libro e scostò da una parte il piumino.
La segnalazione veniva da un signore anziano, che era stato proprietario di uno degli orti e che aveva l’abitudine di portare fuori il cane per delle passeggiate. Scriveva che stava inviando la mail tramite la donna delle pulizie, perché lui non aveva un indirizzo di posta elettronica. Aveva ottantotto anni. Circa quattordici giorni dopo la scomparsa di Thona Ormberg Johansen, era in giro con il suo cane di notte. Sì, di notte, perché era rimasto vedovo di recente ed era fuori di sé dalla disperazione. All’epoca era consentito portare i cani negli orti. Il divieto era stato introdotto più o meno in quel periodo, il cartello con su scritto ACCESSO NON CONSENTITO AI CANI era comparso su tutti e tre i cancelli un paio di giorni dopo. Quella notte specifica si imbatté in Myrtel Haug, che stava scavando una grossa buca appena dietro lo spaventapasseri. Non rese palese la propria presenza, perché aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Accanto alla donna c’era un sacco della spazzatura, era pieno, ma non riuscì a individuarne il contenuto. Quella scena lo aveva tormentato per anni, ma non l’aveva mai ricollegata alla sparizione di Thona. Si leggeva infatti su tutti i giornali che gli orti erano stati setacciati da cima a fondo e perciò aveva pensato che quello che aveva visto non fosse importante, finché non lo aveva per caso accennato alla donna delle pulizie, una giovane polacca, che gli aveva suggerito di comunicarlo subito alla Kripos. Era successo quattordici giorni dopo la scomparsa, bastava fare due più due, gli aveva detto. La donna aveva letto sui quotidiani della riapertura del caso, per questo aveva scritto la mail per lui. Marian vide che era arrivata in mattinata, ma Farhi Salman l’aveva inoltrata a Tønnesen, mettendo lei in copia, solo un’ora prima, alle 21:06. Tønnesen ormai non lavorava più al caso, eppure il messaggio era indirizzato a lui. Marian si vestì in fretta. Afferrò gli stivali in gomma, perché non voleva mettersi quelli nuovi più belli, e andò a prendere una busta. Sarebbe dovuta scendere in cantina a cercare guanti e vanga. E una torcia. E avrebbe dovuto portare con sé la pistola.