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Marian accostò alla fermata di un autobus. Una cosa ricordo bene, che strappava le ali agli insetti. Ripensando alla carta da parati della camera di Thona, rosa, con i pallini e le foglioline verdi, sentì montare la nausea, dallo stomaco fin su nella gola. Non era Thona quella che strappava le ali agli insetti. Il cuore le rimbombava cupo nel petto. Camuffamento, falsificazione. Elly aveva detto anche altre cose: Tutte le bambine vorrebbero una camera simile. Thona non mi piaceva un granché. Mi faceva paura, raccontava che lo spaventapasseri era vivo e storie del genere. La verità si radicò dentro di lei. Che gioia sarebbe stata raccontarlo ad Annie! Doveva trovarla. Ma in quello stesso istante si rese conto che forse Annie non sarebbe mai venuta a sapere che sua figlia era ancora in vita. Si era creata una situazione di pericolo che Marian non era in grado di definire con certezza, ma aveva una brutta sensazione. Telefonò di nuovo a Margrethe Moe per avvisarla che era stata scoperta, perché non mettesse a repentaglio la vita di Annie. La donna, però, non rispondeva. Ormai le restava solo il due per cento di batteria nel cellulare.
*
Myrtel Haug sedeva con il volto tra le dita. I bugiardi non riuscivano a resistere in eterno. Parlò dentro le mani. «Seppellimmo la bambina nuda, perché nessuno la riconoscesse dai vestiti».
«Chi è Elly?», ripeté Tønnesen. «È forse Thona Ormberg Johansen?».
Myrtel Haug sollevò lo sguardo. Deglutì. La luce del soffitto si rispecchiava nel vetro nero della finestra, come se il lampadario fosse appeso là fuori, nell’oscurità. Come una luna bianca. Infine scesero delle lacrime sul volto stanco. Myrtel nascose di nuovo il viso tra le mani e fece cenno di sì con il capo.
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Marian compose il numero di Cato Isaksen, ma lui non rispose. Allora telefonò a Farhi Salman e poi a Tønnesen, il cui cellulare dava occupato.
Il telefono squillò non appena lo ebbe posato sul sedile. Era Tønnesen. Prima che lo psichiatra riuscisse a proferire parola, Marian disse: «Elly Haug è Thona Ormberg Johansen».
«Sì», rispose lui con il suo tono di voce pacato. «Myrtel Haug ha confessato. Glenn spinse la figlia, Elly, dentro la botola della casetta».
«Ma come ha potuto funzionare? Come ha potuto Thona rivestire il ruolo di Elly per tutti questi anni? Non capisco».
«È stata la paura. I bambini non hanno parole per raccontare i fatti accaduti. È un meccanismo di difesa del corpo. Myrtel è stata una manipolatrice diabolica».
«Sto andando a casa per ricaricare il cellulare. Ma davvero certi eventi possono essere totalmente rimossi dal cervello?»
«Decisamente sì, ma i ricordi sopravvivono a livello dell’apparato sensoriale e possono essere risvegliati».
«Probabilmente ha capito tutto dopo aver parlato con Shai Timo».
«Con chi? Devo tornare dentro da Myrtel».
«Neppure io posso restare al telefono, ma c’è dell’altro. Ho scoperto qualcosa nel reparto di Annie a Lovisenberg. In qualche modo probabilmente il caso di quegli uomini uccisi è collegato… Oh Dio, la carica del cellulare si sta esaurendo. Chiamo Elly. Prima che le cose si mettano male».
Percorse le strade sfrecciando e frenò bruscamente davanti all’antica casa in legno intagliato. Senza preoccuparsi di chiudere la macchina a chiave, corse dentro al cancello. Una volta in casa, mise il cellulare in carica sul bancone della cucina e aspettò che l’indicatore mostrasse una quantità minima di energia nel telefono.
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«Elly aveva la lingua lunga, era una bambinetta screanzata, simile a suo padre. Combinava sempre qualche bricconata. Credo che anche lei soffrisse di qualche disturbo psichico», aggiunse Myrtel Haug.
Allora in quella donna c’era un barlume di consapevolezza, pensò Karsten Tønnesen con un nodo alla gola. Era una storia folle. E cos’era che aveva farfugliato Marian? Che il caso di Joner e Schavenius era collegato a questo? Doveva essere sull’orlo di un crollo di nervi, povera ragazza. Forse avrebbe dovuto avvertire Cato. Ma Myrtel proseguì il suo racconto: «Glenn afferrò la figlia tra le braccia e… la scosse. Lei si divincolò per sfuggirgli e allora lui la spinse e lei cadde nella botola. Non dimenticherò mai il rumore di quando atterrò sul pavimento di cemento. Era la mia nipotina, quella che è caduta di sotto ed è morta. E Glenn perse sua figlia. Thona cercò di scappare, ma Glenn la acchiappò e la riportò dentro. Voglio farvi vedere una foto di Elly».
Myrtel Haug frugò in tasca in cerca del portafoglio, guardò nei vari scomparti e con mano tremante tirò fuori una piccola foto sbiadita. «Ecco qui la mia Elly. La porto nel portafoglio da quindici anni». Karsten Tønnesen la osservò: una bambina con i capelli crespi e ricci, un viso pallido con un naso leggermente all’insù e occhiali dalla montatura nera. Gli occhi insolenti erano contornati da ciglia chiare dietro le lenti spesse. La bocca era serrata.