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I poliziotti ricevettero un caffè amarognolo, dentro a delle tazze scheggiate. Aveva dovuto invitarli a entrare, altrimenti si sarebbero insospettiti. Si sfregò stanca la fronte. Era rimasta in piedi, accanto al bancone della cucina. Oda vagava all’esterno come un rospo vigile, ma Myrtel riuscì a farle cenno che poteva andare e osservò la larga schiena della propria aiutante sparire oltre il cancello.
Marian si sedette su uno sgabello e si guardò intorno. La porta principale, che si apriva direttamente sulla cucina, era a vetri. Nella stanza, sia le pareti sia il soffitto erano rivestiti di pannelli: tutto era in legno, come nelle case di montagna. Dalla finestra penzolavano un paio di zampe di piccione legate a uno spago insieme a delle erbe essiccate. C’era un forte odore di nicotina. Delle vecchie stoviglie da lavare erano impilate sul bancone. Un paio di mosche morte erano rimaste impigliate nell’orlo sintetico della tenda. All’improvviso Marian udì il miagolio di un gattino grigio ai propri piedi.
«Hai solo gatti?», chiese. Si chinò e accarezzò il micetto sulla schiena.
In quel momento dal soggiorno arrivò un gatto deperito di un’età considerevole.
«Ne ho quattro. Madame ha diciassette anni. Gli altri sono fuori in giardino», spiegò Myrtel Haug. Poi, accennando al suo viso, chiese: «Che ti è successo alla faccia?»
«Un incendio», rispose brevemente Marian. Poi guardò Tønnesen. Allora quel gatto era vivo quando Thona era scomparsa. Se solo gli animali avessero potuto parlare! Avevano ricevuto l’ordine di indagare su tutte le possibili versioni di come fossero andate le cose quel giorno in cui la bambina era scomparsa. Chiacchierare del più e del meno non rientrava nel programma.
«Sono passati ben quindici anni», cominciò a dire Marian, avvertendo l’odore forte che usciva dalla propria bocca. «Dove possiamo trovare tuo figlio?».
La donna non rispose.
«Magari tuo figlio ti ha raccontato qualcosa che potrebbe risultarci utile», intervenne Tønnesen.
«Che mi doveva dire? Lui non sa mica niente».
*
Abitavano nell’altra casa, quella piccola, quando la bambina era scomparsa. I nuovi poliziotti, però, non avevano mica capito che lei si era trasferita nella casa rossa più grande dodici anni prima. C’erano meno spifferi, ma si sentiva di più il rumore del traffico, con le auto che passavano su ogni lato, appena oltre i muri. La casa di prima somigliava più a un capanno; ora la usavano come deposito ed era piena di roba dal pavimento fino al soffitto. Mobili, un tavolo da pranzo, sedie e un vecchio divano. Tappeti pieni di umidità rosicchiati dalle tarme. E un paio di tende che erano ancora fissate ai pali. C’erano anche letti e sacchi pieni di vestiti sporchi.
«Raccontami qualcosa dei piccioni», disse il poliziotto.
*
«Che volete che vi dica dei piccioni? Sono uccelli come gli altri. Quelli che hanno l’orto qui dentro vengono a rilassarsi e a prendere il sole. Si portano roba da mangiare e thermos con il caffè. Poi zappettano un po’ e ritrovano la pace dell’anima».
Marian bevve un sorso di caffè tiepido. Sul tavolo c’era uno strofinaccio grigio. Un’alta pila di vecchi giornali troneggiava su una delle sedie della cucina.
Myrtel Haug la fissò. Marian era abituata all’espressione del viso della madre, che sembrava volerle dire con tutta se stessa quanto la trovasse stupida. Per tutta l’infanzia aveva sofferto di mal di stomaco e mal di testa. E ora provava qualcosa di simile.
«Mio figlio… Voi sospettavate di lui. Questo l’ha distrutto. Non lo so dov’è, non lo vedo da una vita».
«Com’era prima della sparizione della bambina?».
Myrtel Haug guardò Marian ammutolita. Quella domanda andava a colpire nel segno. Ovviamente anche allora suo figlio era il solito debosciato.
«Ho bisogno di parlare con tua nipote», proseguì la poliziotta. «Hai altri parenti?»
«Ho una sorella, che non sento più da parecchio tempo». Myrtel tirò fuori dal frigorifero un piccolo bricco con la panna e se la versò nel caffè. «Siamo andate da lei quando qui la situazione è peggiorata e ci siamo rimaste un paio di settimane. Elly allora aveva cinque anni. Non si ricorda niente».
«Si ricordano tante cose anche prima dei cinque anni», commentò Marian guardando il bricco della panna. La sua mamma adottiva preparava torte con la panna spray. Marian faceva a botte con le amiche già a quattro anni e ricordava ogni dettaglio degli scontri sulle scale o nelle cantine.
«Forse si ricorda che avevano giocato con quella palla. Lei ora studia a Trondheim». Per un attimo Myrtel sembrò orgogliosa. Strinse intorno alla tazza del caffè la mano piena di vene azzurrine e di macchie scure di melanina.
«Nei verbali degli interrogatori di allora c’è scritto che tu alla fine ti eri rifiutata di raccontare altro», le fece notare Karsten Tønnesen.
«Ero stufa da morire. Io non sapevo nulla. Mia nuora era morta. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era una bambina sparita. E qualche giorno dopo Elly ingoiò una pianta velenosa e le dovettero fare la lavanda gastrica. È difficile capire che era troppo da sopportare? Fu dopo quell’episodio che andammo da mia sorella».
*
Due temi dominarono i quotidiani sia cartacei che elettronici nei giorni seguenti: la scomparsa del diciottenne Andreas Lindeberg e il cold case di Thona Ormberg Johansen. Fu Tønnesen ad affrontare il caso Thona con la stampa. Un anziano uomo distinto ispirava fiducia alla gente. Lo psichiatra pensionato si era fatto ritrarre nel salotto di casa sua a Nordberg, con in mano una fotografia di Thona. Era una foto dai bordi leggermente arricciati, in cui il flash della macchina fotografica aveva creato l’effetto di una stella sopra la testa della bambina. Veniva chiesto a nuovi testimoni di farsi avanti e si invitava il pubblico a fornire informazioni. Persino i dettagli più insignificanti potevano rivelarsi importanti. Nei tre giorni successivi arrivarono diciotto segnalazioni. Di queste la Kripos ne inoltrò undici. Il «VG» aveva pubblicato sulla sua pagina web una foto di Andreas Lindeberg. Era originario del quartiere residenziale di Vinderen, figlio unico e cocco prediletto della mamma. Ed era anche un bel ragazzo. Le foto mostravano un giovane attraente dai capelli chiari e dai lineamenti regolari, con un bel sorriso.