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Gli occhi affondavano nelle orbite e il viso da bulldog era violaceo. Giaceva sul tappeto verde inzuppato di sangue rosso bordeaux, ma un impercettibile movimento delle labbra indicava che non era morto. Non ancora. Certe persone erano coriacee, si aggrappavano alla vita, a dispetto di tutto quello che avevano subìto, e il giudice della Corte Suprema era fatto così. La figura nuda ricordava davvero una balena. Le gambe troppo sottili erano cosparse di sangue e divaricate, il ventre bianco sembrava una montagnola, il lardo era squarciato. Aveva i polsi legati. Lei posò lo sguardo sui piedi dell’uomo, con le unghie marroni incarnite. Era una creatura ripugnante. Le sue urla erano state così forti che il fratello aveva dovuto mettere la musica a tutto volume. Quell’uomo aveva insozzato un bambino innocente e adesso al solo trovarsi lì a guardarlo dall’alto in basso si sentiva come arricchita nell’animo. Quell’orribile pensiero era legato ai ricordi delle domeniche dell’infanzia, alle tende tirate fino a giorno inoltrato. Avrebbero dovuto essere alla scuola domenicale tutti e tre, ma non facevano mai in tempo, perché cominciava alle undici precise e avevano bisogno di qualcuno che li accompagnasse in macchina. La mamma non aveva la patente e il padre a quell’ora dormiva.

Dopo la tortura gli avevano premuto un cuscino sul viso. Lui aveva lottato per un po’, ma poi le sue urla erano rimaste soffocate nell’imbottitura. Un tremito aveva scosso quel corpo bianco, poi le piante dei piedi erano ricadute ai lati e lui era rimasto sdraiato immobile. Ovviamente non avrebbero mai dimenticato quell’attimo. E tuttavia non era morto: viveva ancora, steso sul tappeto verde. Nell’Apocalisse, capitolo due, versetto tredici, si leggeva: «Tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure al tempo in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città, dimora di Satana».

Se non avesse avuto paura, sarebbe fuggita da quella casa e dalla malvagità che la infestava. Quel momento sarebbe arrivato. Presto. La madre gridò dabbasso. Anche lei aveva delle ferite infette dolenti sul corpo, ma non le erano state inferte volontariamente, erano una conseguenza delle vicissitudini della vita e degli anni. Le ferite interne le aveva sempre ignorate, viveva una vita priva di preoccupazioni, nel suo letto con vista sull’officina. Quando il furgone aveva portato Andreas, lei ne era stata felice. Aveva detto che le era mancato avere un po’ di gioventù in casa. Come ai vecchi tempi, quando la vita era così bella.

Andreas era il primo che avevano catturato e sarebbe sempre rimasto il primo. Lo avevano tenuto troppo a lungo, tanto che il ricordo delle sue colpe alla fine era quasi svanito. Cominciava a piacerle quel ragazzo. Una sensazione pericolosa, del tutto femminile. Ma non poteva dirlo ad alta voce. Avevano stabilito di comune accordo che la cosa migliore sarebbe stata sbarazzarsi alla svelta di loro. Se non avesse avuto tanta paura, non si sarebbe mai lasciata coinvolgere.

*

Annie gettò l’«Aftenposten» sul tavolo della cucina. Sulla prima pagina dell’edizione del lunedì dominava il titolo: Rapito il giudice della Corte Suprema Hallgrim Schavenius! Sentì un nodo allo stomaco. Un vicino aveva visto qualcuno vestito da motociclista condurlo dentro una vettura scura quattro giorni prima e non gli era sembrato molto arzillo. Annie andò sui gradini dell’ingresso. Il sole del mattino dipingeva l’edificio vicino di giallo dalla metà in su. Rientrò in casa e compose il numero di Marian Dahle, ma il cellulare era spento. Si sentiva come se stesse per sparire. E aveva la sensazione che mentisse. Non sapeva perché, ma era come se ci fosse qualcosa che non quadrava.

Poi vide l’articolo su Thona, proprio in fondo alla pagina: Nessun progresso nel caso Thona. Avevano usato un’altra fotografia, in cui la bambina sedeva per metà di spalle. Annie ricordava come fosse stato ieri il giorno in cui era stata scattata quella foto. Era inverno e c’era il sole. Erano in un rifugio di montagna e Thona era seduta fuori su uno strato di neve da cui spuntavano fili d’erba secchi. Aveva girato la testa e puntato lo sguardo birichino dentro l’obiettivo e il clic della macchina fotografica aveva immortalato quell’attimo per l’eternità. Dopo che era stata scattata la foto, Thona aveva cominciato a fare i capricci, perché non voleva andare a sciare ed era rimasta imbronciata per tutto il giorno. Annie lesse l’incipit dell’articolo:

 

La polizia sostiene che questo caso è particolarmente complesso per l’assenza di un cadavere, ma sottolinea anche che il successo delle indagini non dipende necessariamente dal suo ritrovamento. Speriamo e crediamo che il pubblico tenga occhi e orecchi ben aperti, che qualcuno ricordi ancora qualche dettaglio che potrebbe aver visto, come un’auto o una persona che si è comportata in maniera innaturale. I genitori della bambina scomparsa non hanno dubbi sul fatto che sia stata rapita. Tra l’altro il padre risiede all’estero.

*

Marian portò Birka fuori in giardino, perché quel giorno l’avrebbe lasciata a casa. Quando alzò lo sguardo verso l’appartamento dell’artista, desiderò di vederlo comparire sulla veranda, ma le tende erano ancora tirate.

Non c’era traccia neppure della vecchia signora. Sempre che non si stesse camuffando dietro a una delle sue piante. D’estate gli alberi e il fogliame si specchiavano sulle finestre della casa. Quell’estate c’erano state anche le rondini. Marian non aveva idea che potessero esserci le rondini nel mezzo di Oslo. Garrivano dai nidi sotto le travi del tetto, si lanciavano in voli parabolici verso il cortile e svolazzavano qua e là in piccoli gruppi per poi gettarsi di nuovo a capofitto verso il basso. Ora però erano sparite. L’estate successiva si sarebbe portata fuori una tazza di caffè e si sarebbe seduta sulla panchina, cercando di godersi quel posto.

Prese il cellulare e cercò il sito del «VG». Era stato diramato un avviso di ricerca per l’ex giudice della Corte Suprema Hallgrim Schavenius. Molte persone avevano contattato la polizia per fornire informazioni. Trascorse qualche secondo e poi l’ansia le si attanagliò come un artiglio intorno al cuore, provocandole uno shock talmente intenso da impedirle quasi di respirare. Il foglietto di Annie, quello con i quattro nomi: Glenn Haug, Andreas Lindeberg, Gustav Joner, tutti quanti morti e ora Hallgrim Schavenius. Che accidenti stava succedendo? Annie era coinvolta? E in tal caso, perché? Si trattava di una rete di uomini che abusavano dei bambini? Una cosa era sicura: Marian aveva omesso di consegnare informazioni importanti. Avrebbe dovuto affidare quel foglietto a Cato. Trattenendolo, poteva aver causato la morte di un uomo. Era scritto nelle carte che sarebbe stato rinvenuto torturato e ucciso, il giudice della Corte Suprema. Ma ormai quel foglietto scritto a mano era distrutto dalle fiamme. Se avesse informato Cato adesso della sua esistenza, avrebbe perso sia il tesserino che il lavoro sul vecchio caso riaperto. E Farhi Salman? Il solo pensare a quell’uomo la faceva rabbrividire.

Tornò di sopra e continuò a leggere. Schavenius non sembrava molto arzillo, aveva detto il vicino, che aveva anche notato due tizi vestiti in pelle. E una vettura che spariva. La moglie del giudice aveva riferito al «VG» di aver visto anche lei due motociclisti fuori dal cancello nei giorni precedenti il rapimento del marito. Indossavano caschi integrali e tute in pelle. Le moto erano scure, ma non avrebbe saputo indicarne la marca. Avevano percorso varie volte avanti e indietro quella strada piena di ville, prima che Schavenius venisse catturato. E addirittura una notte si erano piazzati sul vialetto d’entrata. C’era scritto che per la polizia certe testimonianze erano d’importanza fondamentale e che il pubblico veniva esortato a farsi avanti.

Marian entrò nell’archivio della polizia e cercò di nuovo Schavenius, ma non c’era niente su di lui. Non avrebbe mai dovuto accettare quel lavoro, era troppo presto. La paura l’assalì come un’ondata nera. Doveva essere tenuta alla larga da tutti, perché stava perdendo se stessa, sempre di più. Il pericolo era dietro l’angolo! Quell’estate non aveva potuto stare al sole per via della cicatrice e ora risentiva della carenza di vitamina D. Ne poteva risultare un indebolimento della psiche. Si era spinta troppo oltre, per l’ennesima volta. Tutti quei maledetti uomini. In quel momento avrebbe avuto bisogno di un uomo. Tønnesen, Cato, l’artista. Uno di loro avrebbe anche potuto aiutarla!

Andò nell’ingresso e si guardò di nuovo nel vecchio specchio, ferma, nella semioscurità. Sollevò la maglia e osservò i piccoli seni. I capezzoli erano marroni e delicati.

Con uno strattone, abbassò di nuovo la maglia. Myrtel Haug e Annie Ormberg Johansen. Chi erano in realtà? Il biglietto che le aveva portato Annie era autentico. Forse dopotutto non era Annie la bugiarda? Marian compose il suo numero e Annie non rispose, ma la richiamò subito dopo.

La voce era flebile. «È pazzesco quello che è successo a Schavenius».

«Sì», rispose Marian, camminando avanti e indietro nella stanza. «Non devi lasciarti sfuggire una sola parola su quel biglietto».

«Immagino che lo aveste avvertito, giusto?»

«Ci sono cose che non posso dirti», mentì Marian.

«Mi sento morire. Hanno scritto anche di Thona su “Aftenposten”. Non ce la faccio neppure a guardarli quei titoli di giornale. Nessuno riesce a capire quanto ho paura».

«Io lo capisco», rispose Marian assente afferrando le chiavi della macchina dal tavolo da pranzo.

«Sì, tu lo capisci, ovvio», replicò Annie.

Marian rilevò un’ironia amara nella sua voce.

«Fanny mi ha chiesto se ho voglia di fare un viaggio in Spagna con lei e anche Dan è pieno di premure. E Margrethe è dolcissima. Ma a volte la gente esagera con la compassione. L’empatia è in un certo senso una forma estrema di egoismo. Quando credi che tutto questo finirà, Marian?»

«Non lo so. Stiamo facendo del nostro meglio, ma può volerci del tempo. Credo che dovresti provare a distrarti un po’».

«E come faccio a distrarmi, eh? Me lo dici tu? Ho bisogno del tuo modo di mostrare empatia», gridò. «Sono d’accordo su quello che hai detto degli psicologi: la terapia non aiuta, anzi, può addirittura peggiorare le cose».

«Presto avremo una risposta dall’Australia».

«Che risposta?». La voce di Annie si era fatta bassa, quasi un mormorio. Marian sentì la nausea crescerle in gola.

«Devi venire da me». La voce di Annie si incrinò di nuovo e Marian si spaventò.

«Arrivo», rispose infilandosi la giacca. Birka la guardò. «Vieni, su», la esortò avviandosi verso la porta.

Il caso della bambina scomparsa
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