Nota e Ringraziamenti
La prima cosa che mi sento di fare è ringraziare voi lettori di essere arrivati a leggere fino a quest’ultima pagina di carta o di bip. Si è trattato del mio primo romanzo ambientato totalmente in epoca passata. Un’ambientazione del genere soggiace evidentemente a norme lessicali e tempi diversi rispetto a quelli a cui ero ed eravate abituati; non volevo cambiare il mio stile, fatto di capitoli brevi, schietti e veloci, la sfida più grossa era quindi adattarlo e coniugarlo con le nuove regole e la storia che avevo in mente… affinché tutto fosse credibile. Spero che il risultato sia stato di vostro gradimento. Visto che amo citare Manzoni, se è stato così, “vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata”, ma soprattutto, se “in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta”.
Ma veniamo a questioni più amene: probabilmente al termine della lettura vi saranno rimaste alcune domande e come mia abitudine, prima di passare ai ringraziamenti, cercherò di rispondervi.
La prima sicuramente è: esiste realmente il teorema di Archita? La risposta sincera è: no. Quella che preferisco io però è: non lo sappiamo. Come molti dei filosofi dell’antica Grecia conosciamo solo frammentarie informazioni raccontate negli scritti dei pensatori suoi posteri. Ciò che è certo è che fosse una mente sopraffina, forse la più brillante dei pitagorici, e che fu eletto per sette volte stratego, la massima carica del tempo. È vero anche che è morto in mare e che poco, purtroppo, è rimasto dei suoi studi.
Se il teorema non esiste, allora Il libro del destino non ha alcuna base storica o scientifica? No, le basi storiche e scientifiche del romanzo esistono eccome. Le tabelle, i calcoli, le informazioni che cito, sono tutte assolutamente veritiere e verosimili. Compresa la necessità di vagliare le ricadute del cosiddetto albero delle decisioni e di affrontare migliaia, se non milioni di calcoli, per verificare le variabili. Le teorie e i procedimenti che descrivo nel libro sono attinte dal saggio L’uomo del destino. Il mio metodo matematico per predire il futuro di Bruce Bueno de Mesquita (Rizzoli, 2011), in cui l’autore indica le modalità con le quali è possibile prevedere il futuro con appositi algoritmi. Leggetelo se ne avete occasione perché dimostra una volta per tutte che siamo solo dei nani sulle spalle dei giganti. Quanto a me, pur semplificando tali teorie per adattarle a una storia di narrativa, le ho semplicemente fatte applicare ai miei personaggi.
Parlando di altro, vi devo un chiarimento sui libri in miniatura e le gemme artificiali: i primi esistono fin dai tempi degli antichi babilonesi mentre le seconde erano ad appannaggio proprio degli alchimisti del Settecento. Raimondo di Sangro, il principe di Sansevero di cui Eliardo afferma di essere stato discepolo, si dice possedesse “una fornace a foggia di quella de’ vetrai” in cui “egli ebbe il piacere di contraffare pur delle pietre preziose di ogni sorta”. C’è quindi un fondo di verità nella mia storia, anche se non mi risulta esistano gemme artificiali che racchiudano al loro interno libri in miniatura. Per questo, tuttavia, c’è il mio romanzo…
Un altro aspetto che merita un piccolo approfondimento è la convenzione oraria in voga a Venezia. Vi sarete resi conto che a volte alcuni orari in cui sono ambientate le scene nel libro sono alquanto singolari (appuntamenti alle quattro o cinque di mattina, ad esempio). Pur avendo limitato al massimo tali riferimenti, vi devo comunque una spiegazione: sin dai tempi antichi, infatti, in tutt’Italia si usava contare le ore basandosi sulla luce diurna. Le ventiquattro ore cominciavano a decorrere a partire dal tramonto, che era chiamato ora dell’Ave Maria. A Venezia pertanto la mezzanotte si spostava dalle odierne 17 fino a verso le 21 a seconda della stagione, con il mezzogiorno battuto in estate attorno alle attuali ore 9. I miei numerosi riferimenti all’alba e al tramonto non avevano quindi un’improvvisa ambizione poetica, bensì il solo fine di rendere più facile la comprensione del momento in cui era ambientata la scena.
Passando ad altri temi, i protagonisti della storia, a dispetto dei cognomi tipicamente veneziani, sono per la maggior parte immaginari. Tranne il doge, ovviamente, che era davvero Francesco Loredan. Se ve lo state chiedendo, sì, come previsto nell’Ipotesi 14308, è in effetti deceduto il 19 maggio 1762.
Arrivato fino a qui, sono sicuro che molti di voi si staranno ora chiedendo se rivedranno Eliardo e Madame d’Aumale. La risposta è sì, ho ancora molte storie su di loro e non vedo l’ora di cominciare a raccontarvele.
E siamo giunti alla fine. Come sempre ho il piacere di ringraziare chi mi è stato d’aiuto, a vario titolo, nella stesura o nella revisione del testo. Il primo con il quale ho un debito morale è Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto: so che è deceduto da quasi trecento anni, ma senza i suoi meravigliosi dipinti avrei fatto fatica a immaginare la Venezia del Settecento. Quindi, per quanto irrituale, un ringraziamento lo merita, ovunque si trovi adesso.
Il resto dei grazie ortodossi va invece, in ordine alfabetico a: Salvatore Azzarello, Enrico Castelli, Isabella Cavallari, Rita Furigo, Marco Ischia, Maria Luisa Minarelli, tutto lo staff Newton Compton Editori, Luigi Piz, Davide Radice, Martin Rua, Fabio Sorrentino, Francesca Strazzi e Matteo Strukul.
Ultimo, ma non ultimo, Raffaello Avanzini, che da anni mi chiedeva un libro ambientato nella Venezia del Settecento (e che spero di aver ripagato della fiducia), la mia editor Marianna Cozzi, mia moglie Elena e le mie muse Ginevra e Lucrezia.
Alla prossima avventura.