Capitolo 66
Palazzo Ducale.
Mellan sventolò un ciuffo di fogli, tutti simili, davanti al naso del turco. «Cosa sono queste tabelle?», chiese, mostrandole appena. «Ne abbiamo trovate centinaia, alla Giudecca. Ci sono date del passato ma anche del futuro. Su ognuna ci sono quelli che sembrano i vaticini di un indovino».
«Non si tratta di vaticini», precisò Uçar, altero. «Si tratta di ipotesi, formulate sulla base di un albero delle decisioni».
«Si spieghi meglio».
«Ogni nostra decisione ha delle conseguenze». Il turco si bloccò, cercando il modo più semplice per spiegare quel concetto. «Ogni decisione e ogni azione provocano decisioni e azioni altrui. Se io invece di accettare la vostra proposta, poco fa, principe, me ne fossi andato, voi avreste reagito. Magari mi avreste lasciato andare, forse mi avreste fatto acciuffare; ancora, avreste potuto farmi seguire o avreste potuto inviare un’altra lettera per cercare di convincermi. Tutte queste sono ipotesi diverse, in risposta a una mia unica azione».
«Le ipotesi trovate su quei documenti sono quindi i rami di questo albero delle decisioni?», domandò Loredan. «Ciò che può succedere se si prende una decisione invece di un’altra?»
«Esattamente».
«E cosa sono quei numeri?»
«Rappresentano la media di quello che le persone, con la loro influenza e il loro impegno nei confronti di un dato problema, vogliono». Il turco si convinse di avere usato termini troppo complessi e cercò di chiarire meglio quel concetto. «Sono calcoli delle probabilità, in sintesi… valutazioni sulla probabilità che le singole ipotesi si avverino effettivamente».
Quell’affermazione era molto simile a una delle rivelazioni di Grimaldi, rifletté Mellan. Come aveva detto? Valutazioni probabilistiche su singole ipotesi?
Non potendo mostrargli la tabella per la quale aveva ritenuto necessario coinvolgere il doge, il Missier Grande consegnò a Uçar la prima che aveva ricevuto. Ora, anche in assenza del titolo, sospettava si riferisse a una delle variabili sulla morte di Venier. Picchiettò con l’indice sulle righe, lasciando che il turco le leggesse con calma.
«Perché ci sono le iniziali di alcuni nomi?»
«Sono i soggetti che possono influire sull’avveramento di quella determinata ipotesi».
Mellan annuì. Era ragionevole: i nomi erano quelli di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, da Cristina Venier a Francesco Grimaldi, da de Broglie a Sandei. «E come si capisce se un’ipotesi si può avverare più facilmente di un’altra?», insistette.
«Qui viene il difficile. Questa è la ragione per la quale l’Omphalos è tanto importante». Uçar sospirò e con calma invitò il doge a osservare le iscrizioni. «Vedete, ogni decisione che porta a un ramo di ipotesi si scontra principalmente con tre parametri: l’Influenza, la persuasività della persona che la prende; la Salienza, la disponibilità cioè del soggetto di cambiare la sua idea sulla base delle sollecitazioni altrui; la Posizione, ciò che ognuno desidera, sulla base di quanto si conosce o di quanto dice».
«Sta affermando quindi che quei numeri rappresentano questi tre parametri?»
«È così, i numeri sono la rappresentazione di quanto si sa o si crede di sapere su quei tre parametri; più sono le informazioni, più sono attendibili quei numeri, più diventano numerosi i calcoli e le variabili che devono essere considerate. Tutto deve essere interpretato applicando le formule contenute nel libro».
«Il libro del destino», intervenne Loredan. «Quindi la pietra contiene queste istruzioni».
«Il teorema è composto da ventitré postulati, raccolti in centoventotto rotoli di papiro. Sapienti amanuensi li hanno copiati per secoli e poi, solo di recente, è stato creato un libro in miniatura inserito in quella pietra».
«Libro che può essere letto con uno strano marchingegno, fatto di specchi e luci, custodito a palazzo Grimaldi», aggiunse Mellan. «È così?»
«È così».
«A proposito…». Un lieve sorriso comparve tra le sue labbra. «Affinché il nostro accordo possa essere onorato, è necessario un ultimo favore da parte vostra…».
Pochi minuti dopo che il turco fu accompagnato fuori dalla Sala degli scudi, Loredan si rivolse a Mellan. «Fate in modo che non ci siano problemi con quel levantino».
Il Missier Grande annuì. Non aveva minimamente pensato che il doge avrebbe davvero rinunciato alla gemma… e quelle parole lo confermavano.
«Voi… gli credete?», disse diversi istanti dopo Loredan, questa volta con un filo di voce e mentre si alzava con volto livido.
«Principe», indugiò Mellan, «il fatto che io gli creda o no non significa certo che quella determinata ipotesi si avvererà realmente».
Il doge si voltò e con un’occhiataccia intimò a Mellan di fermare le rassicurazioni di circostanza, che era sicuro stesse per riversargli addosso.
«Ipotesi 14308: F.L. morte per febbri». Loredan recitò a memoria il testo dell’ipotesi trovata da Van Axel, il motivo esclusivo per il quale si era tenuta quella riunione. «19 maggio 1762. L’ipotesi che mi riguarda è fin troppo chiara: mi resta meno di un anno di vita».
«Ma avete sentito il turco, quella è solo una possibilità… una delle tante. Non è ciò che accadrà necessariamente». Il Missier Grande fece un respiro. «E comunque prima di esserne certi dovremo poter parlare con quella donna e leggere Il libro del destino».
«E dovrei essere più sereno?», tuonò Loredan, più a sé stesso che al suo interlocutore. «Non sappiamo se il futuro può essere cambiato. Davvero morirò il 19 maggio dell’anno prossimo? Davvero il futuro è celato in centoventotto rotoli di papiro?».