Capitolo 4
Palazzo Venier, sestiere San Paolo, sabato 11 luglio 1761.
Metà mattina.
Nell’elegante stanza da letto di Cristina Venier, l’afa di metà luglio aveva reso l’aria irrespirabile.
Il Missier Grande Mattio Mellan si asciugò il sudore sotto la parrucca e scostò la pesante toga, emblema della sua carica a capo dei birri. Era un uomo di mezza età, con una mascella squadrata, un naso fino e due grandi occhi neri e fieri. Sebbene occupasse un ruolo di rilievo nelle magistrature della Serenissima (e fosse sempre stato considerato di bell’aspetto) era però rimasto celibe.
«Ricominciamo, madonna Cristina», sussurrò, rivolto alla padrona di casa seduta sul bordo del letto. «E dunque, questo Eliardo de Broglie si è intrufolato nella vostra camera da letto nottetempo e di soppiatto».
La giovane donna, che indossava un abito azzurro all’andrienne e aveva trovato il tempo per imbellettarsi il viso, annuì, singhiozzando.
«Eliardo de Broglie. Me lo potete descrivere ancora una volta?». Normalmente il Missier Grande non si sarebbe scomodato personalmente per un delitto passionale; il fatto però che la vittima fosse un patrizio di spicco – e che le circostanze del decesso fossero anomale – l’aveva convinto a uscire dal palazzo Ducale con un seguito di birri.
«Di media altezza», mugolò lei, un filo di voce. «Giovane. Elegante. Indossava un giacca color rubino e calze di seta…».
«E scarpe di capretto?». Mattio Mellan le mostrò nuovamente la calzatura trovata nei pressi della finestra. Subito dopo fece per avvicinarsi allo scrittoio di noce, dove il segretario stava verbalizzando le dichiarazioni della vedova. «Il malfattore si è introdotto quindi in casa vostra per derubarvi e ha perduto una scarpa?»
«Se la sarà tolta per non fare rumore, forse».
Mellan sospirò. Madame Cristina mentiva sfacciatamente, tuttavia la questione appariva chiara: prima di parlare con lei aveva mandato due birri a torchiare i domestici e una servetta aveva rivelato di aver lasciato entrare un giovane gentiluomo. A riprova di ciò, nel Canal Grande sotto la finestra, gli zaffi avevano recuperato un tricorno e una parrucca che non appartenevano al marito.
Tutto tornava, visto che più testimoni avevano confermato che la donna lo tradiva. Se era così si spiegava la sua reticenza: difendere la propria onorabilità a discapito di quella del suo amante, su cui si era affrettata a scaricare la colpa. Restava da capire come fossero andate realmente le cose: era plausibile che ser Gerolamo l’avesse trovata a letto con de Broglie e quest’ultimo, per fuggire o per difendersi, lo avesse ucciso? E Madame Venier poteva avere una qualche responsabilità sul delitto?
«Manca qualcuna delle vostre gioie?», le chiese ancora.
Cristina annuì, persa su due lacche dai disegni floreali.
«E quindi, malgrado gli scuri fossero serrati e voi foste addormentata, siete assolutamente sicura che fosse lui: questo gentiluomo che risponde al nome di Eliardo de Broglie». Mellan adocchiò di nuovo il segretario per accertarsi che avesse ben annotato il nome. «A ogni modo ho un dubbio: come poteva il malfattore azzardarsi a introdursi in casa vostra, se non sapeva che eravate da sola e indifesa? Dite di averlo conosciuto al Ridotto alcuni giorni fa. Ebbene, gli avete forse confidato che vostro marito sarebbe stato fuori casa la notte scorsa?».
La donna si asciugò una lacrima, scuotendo il capo. Se anche avesse avuto intenzione di rispondere, non fece in tempo: Lodovico Van Axel, il giovane capitano degli zaffi in barca, si avvicinò a grandi passi al Missier Grande. Indossava una divisa completa di bandoliere, mantello e stivali e dimostrava come minimo dieci anni meno di Mellan. Posizionò le mani a coppa e dopo una veloce riverenza gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
«Notaio De Gennaro, avete detto?».
Van Axel annuì, dritto e fiero come si conveniva a un ufficiale del suo lignaggio. «Attende nel pòrtego, zio. Afferma sia questione di estrema importanza».
Pochi minuti più tardi, il Missier Grande e Aurelio De Gennaro erano seduti in un elegante salottino, al piano nobile di palazzo Venier. Il notaio, saputo che Madame Cristina non era in condizione di riceverlo, aveva insistito per conferire con il ministro di Giustizia.
«Il contratto parla chiaro, eccellenza», stava dicendo, facendo danzare gli occhi piccoli sul pavimento in mosaico veneziano.
Mellan aveva appena letto i termini dell’accordo ed era esterrefatto. A quanto pareva, il defunto ser Gerolamo Venier l’aveva sottoscritto solo una settimana prima. «E chi sarebbe l’altro contraente, la signora Anne-Marie Stéphanie Brûlart?»
«La conoscerete di fama, forse», ipotizzò De Gennaro, schiarendosi la voce. «È la contessa d’Aumale, vedova del conte Philippe d’Aumale della Loira. Si trova qui a Venezia».
Dopo un lungo silenzio, Mellan alzò il naso in direzione del capitano Van Axel, immobile sulla porta con un’espressione contrita. «A voi la cosa non sembra strana?», intervenne alla fine, rivolto al notaio con finta titubanza.
«Tempus regit actum, eccellenza», ammise quest’ultimo. «L’illustrissimo, pur possedendo questo palazzo e altre importanti proprietà immobiliari nell’entroterra, aveva una momentanea carenza di liquidità. C’era una cambiale che doveva essere onorata». De Gennaro si interruppe, incerto se chiarire l’aspetto che gli sembrava più ovvio. Decise di sì. «Una cambiale di importo ingente, se mi posso permettere. La contessa d’Aumale si è semplicemente offerta di pagare a suo nome, sgravandolo così delle pendenze più urgenti…».
«E in cambio, alla morte di Venier, avrebbe ricevuto le ben più preziose proprietà immobiliari, di mare e di terra, con tutto ciò che contenevano».
«L’illustrissimo l’aveva ritenuto un accordo favorevole», sottolineò il notaio, asciutto. «Si sarebbe liberato subito dei suoi debiti e gli unici a patire per le sue scelte sarebbero stati gli eredi… visto che avrebbe perso le proprietà solo alla sua morte».
Il Missier Grande si lasciò cadere sullo schienale e lesse ancora una volta il testo del contratto. Malgrado tutto, sembrava in regola e molto chiaro. «Forse voleva fare un dispetto alla moglie, ma di sicuro non si aspettava di dover far fronte alla sua obbligazione a solo una settimana dalla firma».
Il notaio, cupo, strinse le labbra. «D’altra parte, lei che è uomo di legge, comprenderà… Solve et repete: il contratto prevede espressamente che non sia possibile opporre eccezioni. È questa la ragione per la quale sono venuto subito…».
«E così, la povera Madame Venier, nello stesso giorno in cui perde il marito, perde anche tutti i suoi averi». Il Missier Grande scambiò un gesto d’intesa con il giovane capitano Van Axel e si alzò in piedi. «Una vera sfortuna, considerato che era l’unica erede».