Capitolo 53
Prigioni nuove.
«Un macchinario nello scantinato del vostro palazzo?». Il volto di Van Axel alla luce della torcia si fece incerto: quell’interrogatorio si stava rivelando fonte inesauribile di sorprese.
«Del mio ex palazzo…», si corresse con stizza Francesco Grimaldi. «Lo chiamano il marchingegno».
«Andate avanti».
«Attraverso un complicato apparato di luci e di specchi, con il marchingegno si può leggere il libro». Una luce altera gli attraversò il cipiglio. «Il libro contenuto nell’Omphalos».
«State dicendo che la pietra contiene un libro?». Van Axel non parve affatto convinto. Gli sembrava di assistere a uno spettacolo di magia, uno di quelli che allietavano i popolani durante il Carnevale. C’era un giocoliere, neppure troppo in gamba, che di tanto in tanto estraeva un nuovo mirabolante oggetto dalla borsa. Il tutto solo per imbonire il pubblico.
«I libri in miniatura esistono fin dai tempi dei babilonesi», intervenne invece Mellan. «Vi sono numerosi esempi di miniaturizzazioni, di libri di preghiere o di bibbie, che risalgono anche al X e XI secolo». Si rivolse poi al prigioniero, più curioso che stupito, per quell’ennesima rivelazione inaspettata. «State dicendo che all’interno della gemma alchemica è racchiuso un libro in miniatura?»
«Esattamente», confermò Grimaldi. «Il libro esisteva da molto tempo: è stato copiato da sapienti amanuensi. La gemma, invece, l’involucro che lo racchiude, è stata ottenuta in epoca abbastanza recente, in un laboratorio alchemico di Napoli».
«E questo marchingegno, all’interno del vostro palazzo, permetterebbe di leggere il libro contenuto all’interno della gemma?». Van Axel, a differenza di Mellan, sembrava meno incline a credere al barnabotto. «Avete parlato di luci e specchi… Se andassimo, oggi stesso, a Ca’ d’Aumale, lo troveremmo il vostro marchingegno. È così?»
«È così, infatti». Grimaldi fece saettare i suoi occhi azzurri verso il Missier Grande. «A meno che quella strega non lo abbia fatto sparire, lo troverete. Esattamente come vi ho detto».
«Permettetemi un’altra domanda, Francesco», intervenne Mellan. Per la prima volta chiamò Grimaldi per nome, quasi volesse rinsaldare un rapporto cominciato con il piede sbagliato. Dall’inizio di quelle indagini, aveva finalmente l’impressione che la matassa di tutti quei delitti e quei misteri avesse trovato il suo bandolo. Tanti piccoli tasselli sembravano ora avere la giusta collocazione nella sua mente, compresa quella strana tabella arrivata a Palazzo con il raccordo. Come aveva detto? “Valutazioni probabilistiche di ipotesi”?
«Tutto ciò che è accaduto allora dipende da quanto c’è scritto nel libro, non dal valore intrinseco della gemma?».
Grimaldi annuì.
«Ma che razza di libro può spingere qualcuno a uccidere?», chiese alla fine, più a sé stesso che al prigioniero.
«Lo chiamano il libro del destino… È come vi ho scritto: “Solo venendo a capo della formula, potrete credere. E solo credendo, potrete salvare le sorti della nostra amata Repubblica”».
«Spiegatevi meglio. Parlate, per Dio». Spazientito per quell’ennesimo colpo di teatro, con una manata bene assestata Van Axel fece vibrare l’inferriata.
«Il libro del destino», riprese Mellan, con calma. «Non l’ho mai sentito nominare… di cosa si tratta?».
Il barnabotto ammutolì, contemplando con sufficienza il volto sbarbato del giovane capitano. Poi tornò a lanciare un’occhiata dritta al mento di Mellan. «È un libro che contiene ventitré postulati matematici, scritto oltre duemila anni fa…». Strabuzzò gli occhi, soppesando le parole che stava per pronunciare. «Serve a prevedere il futuro…».