Capitolo 17

Palazzo Ducale. Più tardi.

Mezzodì.

 

Lo spionaggio era sempre stata un’ossessione per Venezia e per i veneziani. Mano a mano che la Serenissima da piccola comunità di barcaioli e pescatori era ascesa a potenza marinara, la fame di nove, di notizie, era costantemente aumentata.

La capillare rete di spie per alimentarla era ovunque, fuori dalla Repubblica ma soprattutto al suo interno. Non si trattava solo degli onnipresenti e invadenti uomini dello Stato, in grado di far parlare, si diceva, persino i muri. Ne facevano parte anche e soprattutto comuni cittadini, convinti dal dovere morale e civile di contribuire alla sicurezza comune.

Nel corso dei secoli il Consiglio dei dieci e gli inquisitori avevano escogitato raffinati metodi per stimolare la collaborazione di confidenti, di ogni luogo e ceto sociale. Lo strumento più in voga erano le cosiddette bocche di leone, caselle inserite nelle pareti degli edifici all’interno dei quali i cittadini depositavano le polizze secrete. Le denunce potevano riguardare gli argomenti più vari: truppe militari, intacchi, contrabbando, tradimenti, omosessualità, libertinaggio, pericoli per l’Arsenale o il palazzo Ducale. A volte, in cambio di ulteriori dettagli, venivano richieste ricompense; altre volte, veniva fatto per puro spirito civile.

Quella mattina, mentre Mellan discuteva con i suoi collaboratori, un documento particolare fu lasciato nella gola della chiesa di San Martino. Fu prelevato da due birri e poco dopo fu consegnato prima alla Cancelleria e poi a Missier Grande in persona.

«E dunque, quando meno te lo aspetti, la divina provvidenza ti viene in aiuto», scherzò, leggendo il raccordo, la breve lettera anonima che accompagnava il plico.

Si trovava nel suo austero ufficio al secondo piano di palazzo Ducale, in compagnia del cancelliere Padoan e di Lodovico Van Axel.

«Di cosa si tratta?», indagò il capitano, piegandosi sulla grande scrivania ingombra di documenti.

Mellan si appoggiò allo schienale di velluto e lesse ad alta voce: «Che i documenti che accludo alla mia missiva possano illuminare la vostra via alla ricerca della verità su M D’A; solo venendo a capo della formula, potrete credere. E solo credendo, potrete salvare le sorti della nostra amata Repubblica. Un cittadino devoto».

Padoan e Van Axel si scambiarono un’occhiata dubbiosa. «Non dice altro?», domandò quest’ultimo.

«M D’A evidentemente sta per Madame d’Aumale», ipotizzò Padoan, grattandosi la fronte sudata sotto la parrucca impeccabile. «Questa spiata non può essere casuale: proviene evidentemente da qualcuno che è a conoscenza dei nostri sospetti sulla contessa».

Mellan annuì, osservando l’inchiostro nero e la grafia con cui era vergato lo scritto. A prima vista non aveva nulla di particolare che rendesse possibile identificare l’estensore. Lo mise quindi da parte, sistemò gli occhiali sul naso e si concentrò sui documenti di carta pergamena, che erano stati consegnati insieme. Erano una ventina di fogli, tutti molto simili, contenenti tabelle che ricordavano il libro dei conti di un mercante.

«Ho già visto qualcosa di simile a Ca’ d’Aumale», ricordò il Missier Grande. «Facevano bella mostra nella biblioteca durante il nostro amabile colloquio. In un primo momento ho immaginato fossero una sorta di cifrario».

«Un cifrario lasciato in bella mostra, eccellenza?»

«È proprio lo stesso dubbio che è sovvenuto a me…». Mellan portò a favore della finestra una delle tabelle: in basso c’era una data, 11 luglio 1761, ma la parte in alto era sicuramente di maggior interesse. La osservò con attenzione:

 

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«G.V., C.V., F.G., E.D.B., Z.S.», lesse ad alta voce, mostrando poi il documento a Van Axel. «Se non fosse troppo semplice, direi che queste iniziali significano Gerolamo e Cristina Venier, Eliardo de Broglie e Zuanne Sandei».

«E Francesco Grimaldi», aggiunse Van Axel. «L’oste della Furàtola del vin lo ha nominato più volte: pare che il povero Naso, prima di uscire dal locale, discorresse di Grimaldi con de Broglie».

«Grimaldi è il figlio di Paolo Grimaldi», ricordò Padoan, accigliato. «Il precedente proprietario di Ca’ d’Aumale».

«E casualmente, proprio Francesco Grimaldi è ora il bibliotecario della contessa», sottolineò Mellan, che a quel nome collegò i disegni a carboncino mostratigli da Madame d’Aumale.

Il Missier Grande si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro, come era solito fare quando doveva pensare. I tacchi delle sue scarpe, portate su eleganti calze di seta, ticchettarono sul marmo come gocce di pioggia estiva. «Sembra una rappresentazione di Goldoni: ci sono cinque attori e le loro vicende, che paiono scollegate, quasi indipendenti. Eppure, i personaggi sono tutti lì, insieme sullo stesso palcoscenico».

«Una rappresentazione un po’ macabra, se posso permettermi, zio… visto che due sono morti». Van Axel gettò un’altra occhiata ai documenti sparpagliati sul tavolo. «È evidente che queste carte dovrebbero aiutarci a capire cosa sta succedendo», ipotizzò alla fine, più per riempire il silenzio che per fornire un concreto contributo. «Ma tutti quei numeri cosa possono significare?»

«Se, come affermava sua eccellenza poc’anzi, sono cifrari, il fatto che siano in numeri turchi non può essere casuale. Il sospettato di aver ucciso Sandei non era forse un levantino?». Mentre parlava, Padoan ricontrollò le tabelle sulla scrivania. Erano tutte molto simili, con le iniziali sulla sinistra e le cifre nelle rimanenti colonne. Mentre i nomi si ripetevano sempre uguali in tutti i documenti, i numeri erano differenti. Avevano però delle costanti: le prime tre colonne erano a due cifre, la quarta – intestata con la lettera A – a cinque o sei, la quinta una via di mezzo. Nell’ultima c’era invece quello che sembrava un totale.

«Ottomano o alemanno che sia, ci serve la chiave di decrittazione», fece notare Mellan, che nel frattempo si era fermato davanti ai pesanti arredi a dossale. «E se avesse a che fare con il disegno che Sandei portava nel panciotto?». A quelle parole alzò il capo e si rivolse al cancelliere. «Siete riuscito a capire cosa rappresenta?»

«Ho chiesto un parere a messer Giovanni Soro, segretario all’Avogadoria de Comùn», squittì, con un filo di voce. «Ha grande padronanza dell’araldica e del Libro d’oro».

Il Libro d’oro era il registro ufficiale in cui venivano annotati i nomi dei patrizi aventi diritto di voto e di governo. Era custodito nella Sala dello scrigno, a pochi passi dall’ufficio nel quale si trovavano, a cura dalla magistratura dell’Avogadoria per la quale Soro lavorava. «A suo parere», concluse Padoan, «lo stemma è affine per alcuni tratti a quello dei Malipiero, la nobile casata. Ma con sostanziali differenze».

«Si riferisce alle raffigurazioni nella parte bassa?». Socchiudendo gli occhi, Van Axel cerò di rammentare il disegno. «Quelle che parevano rune germaniche…?»

«Esattamente, ma non solo; come ricorderete, il simbolo rappresenta l’ala di un’aquila: ha però una specie di coda, che rende l’artiglio differente da quanto conosciuto».

«È necessario che parli personalmente con il Fureghìn», tagliò corto Mellan. Non provava grande simpatia per Soro e lo aveva chiamato non a caso con lo spregiativo con il quale era conosciuto: letteralmente “maneggione” o “trafficone”. «Forse potrebbe aiutarci anche per queste strane tabelle…».

«Forse, eccellenza. Immagino che sarà onorato di ricevervi…».

«E invece, Lodovico, voi cosa avete scoperto degli ultimi spostamenti di Zuanne Sandei?»

«È stato al Casin degli Spiriti, dove stava vincendo forte. Era in compagnia di un nobile, Marcello Lin, e di uno speziale, che stiamo cercando di rintracciare. Fatto curioso è che lo speziale portava una moretta di colore rosa, simile a quella che la mendicante ha descritto indosso all’ottomano. Sul più bello, comunque, verso l’ora dell’Ave Maria, Sandei è dovuto scappare in tutta fretta».

«Ha incontrato qualcuno, che voi sappiate?»

«Ho notizie certe solo da quando è arrivato alla Furàtola del vin, alle quattro di mattina. Lì ha parlato con de Broglie e, poco prima di trovare la morte, ha ricevuto il disegno delle rune». Van Axel si fermò. Soppesò le parole, perché quanto stava per dire, alla luce della missiva anonima, poteva avere un significato importante: «Ci sono circa quattro ore in cui non sappiamo cosa ha fatto; la cosa interessante però è un’altra: il disegno che abbiamo ritrovato nel panciotto di Sandei proveniva proprio da Francesco Grimaldi. Aveva chiesto alla figlia dell’oste di consegnarlo per lui». Per tutta risposta, Mellan si voltò, dando le spalle ai coadiutori. Venier e Sandei: vittime diverse uccise dalla stessa mano? Si trattava realmente di un levantino con una maschera rosa? Se in verità era così, bisognava comunque capire il ruolo di Madame d’Aumale e venire a capo del presunto pericolo per la Repubblica, annunciato nel raccordo.

«C’è poi un ulteriore dettaglio a cui forse varrebbe la pena di prestare attenzione: l’oste ha riferito che l’alchimista, così ha chiamato de Broglie, ieri sera ha incontrato una certa Lucia Oldrini… la domestica di Madame d’Aumale».

Mellan sorrise. «Torniamo quindi sempre al principio: Madame d’Aumale». Smise di parlare per alcuni istanti, il viso immobile puntato fuori dalla finestra sulla pietra d’Istria del ponte dei Sospiri. «Va bene», proclamò infine, «le casualità cominciano a diventare davvero troppe. Forse potrebbe essere interessante scambiare qualche parola con questo alchimista».

«La sua abitazione è sotto osservazione da quando la moglie dell’illustrissimo Venier l’ha accusato», precisò Van Axel. «Non risulta sia rincasato da domenica mattina. Forse, però, all’interno possiamo trovare indizi utili per stanarlo…».

Perso su uno stormo di cormorani che vorticarono sulla laguna, Missier Grande si massaggiò la radice del naso. «Trovatelo e portatemelo qui».