Capitolo 36
Ponte di Rialto, diverse ore più tardi.
Primo pomeriggio. Ora italica 16:50.
Con uno zendado nero sul capo e un’andatura compassata, Beata Pinelli attraversò la pescaria.
A dispetto dell’ora, la zona era ancora decisamente animata da artigiani e commercianti, oltre che da una moltitudine di teste ammassate rumorosamente ai banchi. C’erano carrettieri, servette, patrizi in abiti eleganti. C’era persino un banchiere, avvolto nell’inconfondibile abito nero.
Chiedendo il passo, Beata girò attorno al mercato e si diresse sola e spedita verso i gradini del ponte di Rialto. Il vociare dei gondolieri dal Canal Grande si fece via via più lieve mano a mano che la sagoma massiccia di pietra diventava più prossima. Salite le scale laterali, superò i tendoni delle botteghe e si fermò alla balaustra, con lo sguardo rivolto alla Salute.
Faceva molto caldo, ma non fu necessario attendere perché l’uomo era già lì.
«Vi avevo raccomandato tre settimane!», l’aggredì subito Eliardo, protetto da un lungo mantello. Indossava una bauta che, se poteva celargli il viso, non poteva fare altrettanto con la voce. «Non dovevate permettervi di disturbarmi a casa della mia amica».
«Vi ho conosciuto grazie a Lucia… in che altro modo avrei dovuto contattarvi?». Beata aveva il viso tirato. «Dopotutto siete stato voi a dirmi che se il vostro dono non avesse funzionato, mi avreste sostituito le pietre…».
De Broglie sbuffò, scuotendo il capo. «Vi avevo detto tre set…». Lasciò la frase a metà, perché sul primo dei gradini del ponte, dietro a un gentiluomo abbracciato a una dama, notò un movimento sospetto.
Capì subito il motivo di quell’incontro.
«Siete una vile bugiarda!», gemette, girando immediatamente i tacchi e scendendo a passo svelto verso il sestiere di San Paolo, da dove era arrivata la donna.
Si fece largo a fatica tra la moltitudine di passanti e, raggiunto l’acciottolato, dovette destreggiarsi tra i banchetti dei commercianti. A Rialto si vendeva e si comprava praticamente di tutto e, passando per l’erbaria, si trovò davanti il mercato della frutta. Ovunque fremevano schiamazzi e contrattazioni, con serve impegnate a ottenere il miglior prezzo per fichi lombardi, meloni calabresi e pesche d’Oriente.
Attraversò l’intero mercato, voltandosi di tanto in tanto alla ricerca di eventuali inseguitori. Ma tra la babele di parrucche e cappelli, non riuscì a individuarne.
Mentre, con il cuore che gli batteva all’impazzata, prendeva la ruga degli Orefici, si convinse di avere esagerato. Con ogni probabilità quell’ingenua di Beata aveva semplicemente bisogno di una parola di conforto. Di qualcuno che la tranquillizzasse. A volte, aveva imparato, rassicurando la futura madre che le gemme erano perfettamente efficaci, il miracolo avveniva da sé.
All’ombra dagli archi del porticato superò un gruppetto di marmocchi che trottavano a testa bassa. Passò davanti a quattro botteghe di orefici, una più traboccante dell’altra di oggetti lucenti, e si voltò ancora.
E all’imbocco di un campiello gremito fino all’inverosimile, notò un birro.
Si immobilizzò, terrorizzato.
Aveva lo sguardo da un’altra parte e tra loro c’erano diversi passanti, quindi forse l’uomo non lo aveva visto.
Fece trascorrere alcuni istanti per decidere cosa fare.
Era possibile che non fosse lì per lui? Valeva la pena tornare indietro verso il ponte di Rialto?
Decise di sì, in fin dei conti con il mercato così affollato, era il posto migliore per nascondersi… se qualcuno davvero lo stava cercando.
Così fece. Si cacciò il cappuccio sul capo, si voltò e tornò sui suoi passi. Si ripresentò di fronte al porticato gotico della chiesa di San Giacomo mentre le tre campane sulla guglia a vela stavano suonando. Il grande orologio sulla facciata di mattoni rossi segnava le cinque.
Era come pensava: decine di persone mercanteggiavano ancora ad alta voce; venditori di ogni risma cercavano di piazzare la loro merce, dal carbone, al ferro, dalla lana russa, fino alla seta più pregiata.
Eliardo adocchiò un punto del campo in cui l’assembramento di gente sembrava più fitto e vi si diresse.
Non riuscì però a raggiungerlo, perché una figura conosciuta, lo zaffo che l’aveva inseguito a palazzo dei Camerlenghi, gli si parò davanti.
Subito dietro, nel tempo di un respiro, tre armigeri con le armi spianate gli preclusero ogni via di fuga.
«Andate da qualche parte, messer Eliardo?», indagò Lodovico Van Axel, sguainando un sorriso lucente.