Capitolo 10

Ca’ d’Aumale, sestiere San Marco. Quello stesso giorno.

Primo pomeriggio.

 

«Credevo di essere stata chiara!».

Incantevole a dispetto del momento di rabbia, la contessa AnneMarie Stéphanie Brûlart si mosse di scatto davanti alla finestra. Aveva i capelli neri sciolti e una veste diafana che le scivolava dalle spalle, mettendo in evidenza il seno prosperoso.

«Non avevo forse detto di trovare Francesco?», inveì ancora nei confronti di Rudolf. Il gigante, con indosso un lungo mantello, brache arricciate e stivali di pelle al ginocchio, era in piedi, la testa bassa.

Madame d’Aumale sbuffò, frustrata. Attorniata dai cani, scrutò ancora una volta lo scrigno, sistemato sul tavolo al centro del salotto tappezzato di seta. Faceva certamente parte della collezione di Francesco Grimaldi, il bibliotecario. Il suo Francesco.

«Zuanne lo aveva con sé fin da quando è uscito dal Casin degli Spiriti?», si informò, alludendo al cofanetto.

Rudolf annuì senza parlare, come era sua abitudine.

«E tu, cosa hai fatto?», insistette ancora. Un incarico così semplice si era tramutato in un mezzo disastro. «L’hai seguito e hai ripreso lo scrigno quando Zuanne si è rintanato nella Furàtola? Spero tu abbia almeno preso precauzioni per non farti riconoscere!».

Di fronte al silenzio imbarazzato del suo collaboratore, Annika si mosse di qualche passo. Ghermì nuovamente il portagioie, di cui aveva forzato la piccola serratura con un coltello. Con sorpresa, non aveva trovato ciò che si aspettava: l’Omphalos non era all’interno, anche se il panno di seta contenuto forse testimoniava che ci fosse stato qualcosa di prezioso.

«Francesco è in pericolo», decretò alla fine Madame d’Aumale. «Non c’è altra spiegazione».

A quelle parole, Rudolf fu sul punto di dire qualcosa, ma si limitò a sbattere le palpebre.

«Hai fatto bene a togliere di mezzo Sandei. Di questo te ne do atto: il ladro era certamente lui e con ogni probabilità aveva intenzione di venderlo a quel turco che ci ronza attorno. Chissà, il mio Francesco deve aver provato a contrastarlo in qualche maniera». Annika si bloccò di colpo, carezzando con la mano la testa di Diderot, uno dei levrieri. «So cosa stai pensando».

Rudolf si mosse come un pendolo, irrequieto, ma continuò a fissare la punta dei suoi stivali. Il loro rapporto si limitava a quello: lei parlava, lui ascoltava ed eseguiva. Senza discutere, senza contraddirla. In quel momento tuttavia il suo linguaggio corporeo era abbastanza chiaro e la stessa Madame d’Aumale se ne rese conto.

«Tu credi che Francesco sia coinvolto. Lo leggo nei tuoi occhi, ma ti sbagli: l’ombra che hai sorpreso davanti al marchingegno non poteva essere lui. E poi, l’hai detto tu stesso: ti ha colpito alla testa e sei svenuto». Stizzita, si affacciò alla finestra, perdendo lo sguardo sui frontoni dei palazzi del Canal Grande, che bruciavano al torrido sole pomeridiano. «Ma se anche fosse», proseguì, «sei colpevole due volte: dovevi far parlare Zuanne prima di farti venire il prurito alle mani. E soprattutto dovevi aprire lo scrigno prima di farlo tacere per sempre».

In quel momento qualcuno bussò alla porta del salotto. I cani si misero all’erta, zampettando con le unghie sul pavimento, ma restarono accanto alla padrona.

«Il fatto che l’Omphalos non fosse nello scrigno», continuò Annika senza voltarsi, «può significare una di queste tre cose: uno, che Sandei l’ha nascosto da qualche parte, tra il Casin degli Spiriti e la Furàtola; due, che l’ha consegnato a de Broglie quando è entrato nella bettola o, peggio, a qualcun altro; tre, che l’aveva addosso quando l’hai affettato come un bue senza perquisirlo».

«Contessa…», la interruppe a quel punto Lucia, la giovane domestica appena entrata. «C’è una visita per voi».

«I birri?». Annika sbatté le palpebre, il tono piatto di chi aveva già previsto quella visita.

«Sì, contessa, infatti».

«Falli accompagnare nella biblioteca. Arrivo subito».

Mentre usciva contemplò un’ultima volta lo scrigno aperto. «Se qualcuno ti ha visto, fa’ in modo che non possa arrivare fino a noi», ordinò a Rudolf. «Assicurati che alla Giudecca nessuno dei nostri sappia del furto dell’Omphalos. E poi trova Francesco, che è esattamente quanto ti avevo già chiesto».