Capitolo 45

Canal Grande, sabato 11 luglio 1761. Cinque giorni prima…

Dopo il tramonto.

 

Zuanne Sandei manovrò il remo sulla forcola e la gondola dei Lin, silenziosa nella notte, virò a dritta.

Non sapeva se essere più speranzoso per la promessa di Francesco Grimaldi, oppure contrariato per aver lasciato il tavolo da gioco. Si trattava di scegliere tra una vincita ormai quasi sicura a spese di Marcello Lin e quindici ducati d’oro del tutto ipotetici.

“Muso duro e bareta fracà”, gli aveva scritto Grimaldi nel messaggio, che aveva fatto recapitare al Casin degli Spiriti assieme a uno scrigno. Non guardare in faccia nessuno e non perdere tempo. Era quello che stava facendo: aveva preso il plico che il furlàn aveva consegnato e, abbuonando la perdita a Lin, era salito sulla sua gondola.

Le istruzioni erano semplici: doveva portare il contenuto del piccolo bauletto in un luogo ben preciso.

Passando davanti al Fontico de’ Turchi rischiarato dalla luna bluastra, Sandei intensificò la vogata. Aveva quattro ore per completare l’incarico e per andare all’appuntamento con Grimaldi. Quattro ore in cui gli sarebbe toccato attraversare quasi tutta Venezia in gondola.

“Sta’ attento”, si ripeté. Ma non sapeva esattamente a cosa. Il cofanetto di Grimaldi conteneva certamente un oggetto di valore. Qualcosa che il barnabotto non poteva o non voleva maneggiare di persona. Se era così, era evidente che quel compito apparentemente banale era rischioso e che avrebbe potuto esporlo a qualche pericolo.

Scacciò quel presentimento, che inevitabilmente lo spinse a pensare agli inquisitori, e d’istinto si voltò. E con sgomento, tra i raggi della luna che si aggrappavano alle facciate dei palazzi, la notò. Dietro di lui, nell’ombra a metà del canale, c’era una caorlina che avanzava veloce, spinta da tre o quattro rematori. Lo stava seguendo?

 

 

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Rudolf, in piedi a prua, contemplava la sagoma appuntita della gondola, che sobbalzava tra i flutti spumosi.

L’aveva seguita a distanza di sicurezza fin da quando si era allontanata dal Casin degli Spiriti. Non aveva previsto che avrebbe dovuto attraversare la città, quindi, per evitare di farsi riconoscere, aveva dovuto improvvisare: era stato sufficiente seguire uno speziale che si era appartato con un ragazzino e derubarlo della moretta e del mantello.

Scrutando il suo riflesso mosso nell’acqua nera del Canal Grande, Rudolf si lasciò andare a uno dei suoi rari sorrisi. Una moretta rosa. Che razza di uomo indosserebbe una maschera siffatta?

Alzò lo sguardo. Il ferro di prua di Sandei stava ora imboccando il piccolo rio del Megio, incuneandosi tra due edifici austeri, rischiarati da lanterne ardenti. Poteva essere un problema, perché si trattava di un canale moto stretto. Sarebbe stato impossibile continuare a tallonarlo senza essere notati. E infatti, a giudicare dall’insistenza con la quale Naso continuava a voltarsi, il gondoliere sembrava proprio averlo visto.

Rudolf dette ordine ai suoi rematori di rallentare e lasciò che la gondola si allontanasse. Da lì in poi avrebbe dovuto seguirlo da maggior distanza. Ormeggiò a una palina di fronte a un palazzetto di due piani e finse di sbarcare sulle fondamenta.

 

 

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Sandei tirò un sospiro di sollievo. Si era sbagliato: la caorlina si era fermata di fronte a un portale d’acqua, e la figura scura dalla moretta rosa era scesa. Meglio così.

Scivolando sui canali che tagliavano in due i sestieri di Santa Croce e San Paolo, passò davanti alla chiesa di Sant’Agustin e incrociò un crocchio di gentiluomini. Subito dopo, scorse una servetta che correva svelta verso il rio San Giacomo. A parte loro il rio, con i suoi edifici rinascimentali, i suoi archi a tutto sesto, gli scuri verdi dei palazzi, i suoi pòrteghi di legno, era però sgombro. Nessuna traccia dell’inseguitore.

Sandei si crogiolò nei suoi intenti. Ormai era quasi a destinazione e già bramava qualche nottata in compagnia delle cortigiane più licenziose felicemente offerte da Grimaldi.

Raggiunse le esafore gotiche di palazzo Pisani e si immise di nuovo su Canal Grande. Superata volta de Canal, non ci mise molto a scorgere il campanile di San Samuele, su cui si aggrappavano nuvole rese argentee dalla luna.

 

 

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Rudolf fece rallentare la caorlina poco prima di imboccare il Canal Grande. Una volta adocchiata la direzione presa da Naso, non poteva rimanergli attaccato.

Diede ordine di fermarsi e con le membra tese come un arco, aspettò qualche minuto prima di ripartire.

 

 

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Sandei raggiunse palazzo Malipiero con vogate sempre più energiche, il sudore che gli sgorgava dalla fronte e inzuppava la camisiola.

I portali d’acqua erano esattamente come gli aveva scritto Grimaldi: a sinistra c’era una briccola più grossa delle altre, poi un primo arco, una seconda briccola uguale alla prima e una secondo arco.

A quell’ora non c’erano luci nel mezzanino, quindi il gondoliere attraccò senza difficoltà e senza che nessuno lo vedesse.

Saltò sul pontile di legno, che scricchiolò sotto le sue scarpe da damerino, e alla crepitante luce di un lampione rimirò il disegno con la relativa spiegazione:

 

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I portali erano rappresentati come delle strane U. Le paline come delle I. La briccola centrale, evidenziata con la X cerchiata, era quella che gli interessava. Se Grimaldi non si era sbagliato, appena sotto il livello del mare ci doveva essere una catenella.

Sollevò i pizzi delle maniche e si inginocchiò, affondando entrambe le mani nell’acqua fredda. Il legno era bagnato e scivoloso e la briccola ricoperta di alghe che danzavano al ritmo della corrente.

“Usavo quella catenella tanto tempo fa, per lasciare messaggi ad Anna Malipiero”. Aveva scritto Francesco. Anna Malipiero, sapeva Sandei, era stata una delle sue tante fidanzate, prima che Grimaldi perdesse tutti i suoi beni. “C’è ancora perché ho verificato; tirala su per una tesa”, proseguiva il biglietto. “Alla fine troverai un bauletto con paraspigoli d’ottone. Non ha serratura ma è studiato per non far bagnare il contenuto. Apri il mio scrigno, prendi l’oggetto che vi troverai all’interno e mettilo nel baule. Poi ributtalo sotto. Sta’ attento. Fa’ attenzione allo scrigno e non farte notare da nisuno”.

Così fece Sandei. Si bagnò le braccia fino ai gomiti nell’acqua spumosa del Canal Grande e a tastoni individuò la catenella. La tirò a sé e riportò il bauletto in superficie: era lungo come un tordo, alto tre o quattro dita. Lo scrigno non vi sarebbe entrato, ecco perché lo doveva aprire. Come assicurato dal barnabotto, il bauletto non aveva serratura e l’interno era asciutto. A quel punto, Naso balzò in piedi e tornò alla gondola. Aprì il plico consegnatogli al Casin degli Spiriti e ne estrasse un involto di seta. Conteneva una pietra preziosa color ambra, che illuminata dai lampioni del canale sprigionava bagliori sinistri. Aveva una vaga forma di uovo ed era tanto piccola da perdersi nel suo palmo.

Sandei non si curò di saggiarne il materiale o di ipotizzarne il valore, che in ogni caso non sarebbe stato in grado di stimare. Si assicurò che verso Rialto non ci fossero curiosi e poi si spostò sul pontile. Seguì alla lettera le istruzioni: inserì la pietra nella scatola poggiandola sopra un drappo, la richiuse e poi la calò con cura nuovamente tra le alghe.

Non convinto ricontò le paline e i portali d’acqua, per assicurarsi di aver legato il baule alla briccola giusta. Ed era così: quella tra i due archi. Alla fine si alzò in piedi, si strofinò i calzoni con le mani gocciolanti e sorrise.

Saltò di nuovo sulla gondola. Ripose lo scrigno vuoto sotto la rassa e, coccolato dalle onde, ripartì.

 

 

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Pochi istanti più tardi, la caorlina di Rudolf si immise sul Canal Grande. Non abbastanza in fretta da vedere Sandei nascondere l’Omphalos, ma sufficientemente presto per vederlo andare verso San Barnaba.