Capitolo 11
Ca’ d’Aumale, sestiere San Marco. Poco dopo.
Primo pomeriggio.
Come da istruzioni di Madame d’Aumale, i domestici avevano sistemato la delegazione del palazzo Ducale nella biblioteca. Era una stanza luminosa al secondo piano del palazzo, con il soffitto affrescato da scene di caccia e le finestre gotiche ad angolo. Le pareti erano coperte su tre lati da alte scaffalature traboccanti di volumi dai dorsi fregiati e incunaboli protetti da vetrine lucenti. Al centro, un grande tavolo da consultazione era ingombro di carte.
«Madame d’Aumale, felice di fare la sua conoscenza». Mattio Mellan, elegante nell’abito nero, si fece avanti appena lei entrò nella stanza. Accennò una riverenza e lo stesso fecero i tre birri in divisa che lo spalleggiavano.
La donna, che aveva trovato il tempo di imbellettarsi il viso e di indossare una parrucca incipriata, fece cenno al ministro di Giustizia di accomodarsi.
«Come posso esservi utile, Missier Grande?», esordì, con meditata gentilezza. Si sedette di fonte al suo ospite, su una delle sei sedie di velluto tutte uguali sistemate attorno al tavolo. Uno a destra e l’altro a sinistra, si accovacciarono, pronti a scattare al comando, i due levrieri.
«Mi fa piacere che me lo chiediate, Madame», le rispose lui sorridendo. «Ho portato un paio di documenti da mostrarvi». Così dicendo fece scorrere sulla superficie laccata dei fogli di carta pergamena. In alto recavano l’iscrizione di due notai differenti.
Annika li adocchiò appena. «Ebbene?»
«Sono due contratti simili, che immagino conosciate».
«Certo che li conosco, sopra vi è apposto anche il mio nome».
Mellan provò a misurare le parole, per non mettere subito in allarme la padrona di casa. «Come sapete, entrambi i contraenti, i nobiluomini Paolo Grimaldi e Gerolamo Venier, sono deceduti pochi giorni dopo averli sottoscritti».
Madame d’Aumale si coprì le labbra con il ventaglio per mascherare un sorriso. «A essere del tutto sincera, dopo quanto è accaduto ieri mi aspettavo una visita. Ma il Missier Grande in persona…».
Per un istante Mattio Mellan parve compiaciuto da quel complimento. «Non trova alquanto strano, Madame, che entrambi quei gentiluomini siano morti subito dopo avervi concesso i loro beni?»
«Inusuale, forse», suggerì lei. «Ma tralasciando il fatto che si trattava di accordi estremamente favorevoli anche per loro, che come saprà erano fortemente indebitati, il primo è storia vecchia».
Mellan annuì. Nei pochi attimi che lei impiegò a riprendere il discorso, sbirciò una fila di disegni a carboncino sul tavolo. Accanto vi erano anche fogli con strani diagrammi e numeri.
«Come vi avranno suggerito i vostri consiglieri, i nostri accordi erano perfettamente legali. I documenti sono depositati e i rogiti notarili del tutto in regola».
«Ma certo, Madame», si affrettò a spiegare Mellan. «Non siamo qui per contestare la validità dei documenti: dopotutto è il serenissimo principe il doge che funge da garante per gli atti notarili».
«E allora, di grazia, eccellenza, posso domandarvi per quale ragione siete qui?». La sua espressione si fece studiatamente cupa. «Intendete forse affermare qualcosa che le vostre parole ora non dicono?».
Nonostante Mellan avesse l’autorità di arrestarla anche solo per dei sospetti – e in quel momento ne aveva molti – non aveva intenzione di farlo. Per un istante, solo uno, fissando Madame d’Aumale in viso si sentì a disagio. E non era per la sua bellezza, comunque innegabile. C’era qualcosa nel suo sguardo: furbizia, forse. Ma non solo. Era con quello stesso sguardo color smeraldo che aveva convinto quei gentiluomini ad assecondarla? Doveva procedere con cautela e decise quindi di cambiare argomento. «Avete un artista in casa, vedo», riferendosi ai bei disegni sul tavolo.
A quelle parole Annika cambiò immediatamente atteggiamento e si illuminò come un’alba. Sorrise, sistemando con civetteria la parrucca. «Francesco. Francesco Grimaldi, il mio bibliotecario, si diletta a ritrarmi».
«Posso?». Sfiorò uno dei disegni, che in effetti possedeva un qualche pregio artistico.
«Ma certo».
Fingendo di osservare la tecnica con cui il ritratto era stato abbozzato, il Missier Grande saettò un’ulteriore occhiata agli altri fogli sistemati sul tavolo. Non sapeva cosa fossero, ma la mano che doveva averli vergati era senza dubbio diversa. Avrebbe giurato femminile. Ciò che lo incuriosì di più fu una serie di tabelle contenenti numeri, simili a un brogliaccio dei conti. Se fosse stato un cifrario di qualche tipo, la donna li avrebbe fatti accomodare proprio lì, con un intero palazzo a disposizione? Chissà, forse li aveva ricevuti attorno a quel tavolo invece che in un salotto, scelta alquanto inusuale invero, proprio affinché lui potesse vederli…
«Francesco Grimaldi, avete detto?», la solleticò Mellan alla fine delle sue riflessioni. «Posso dedurre che abbia una qualche parentela con il povero Paolo Grimaldi?»
«Vedo che non vi sfugge nulla». Annika celò nuovamente il sorriso dietro al ventaglio. «So ciò che state pensando su di me, eccellenza. E devo ammettere che, forse, al posto vostro penserei la stessa cosa; eppure, non sono così cattiva come mi dipingono. Prenda Francesco, ad esempio: dopo la sfortunata morte del padre era sul lastrico. Se non l’avessi preso io a servizio come bibliotecario, sarebbe finito come gli altri barnabotti. Ci sono decine di nobili impoveriti che al massimo possono aspirare a lavori da istitutori».
«Quindi ho capito bene? Francesco è il vecchio proprietario del palazzo?»
«Se così vogliamo definirlo…».
«Ed è anche un astronomo, a quanto vedo», provò ancora Mellan, indicando i grafici e le tabelle sul tavolo.
«Oh no, quelle sono retaggio del mio passato: avrà sentito parlare di Philippe Brûlart, conte d’Aumale. Il mio povero primo marito era un astronomo e uno stimato matematico».
Philippe Brûlart, conte d’Aumale.
Prima di andare a trovarla, Missier Grande si era documentato anche sul primo marito della contessa. Era deceduto anche lui, lasciandole casualmente una fortuna.
«Tornando alla ragione per la quale sono venuto a importunarvi…», riprese alla fine, «conoscevate Zuanne Sandei, detto Naso?»
«Certo. È il mio gondoliere», ammise subito la donna, con il pensiero alla daga di Rudolf. «Si è cacciato in qualche vespaio?»
«Temo di dovervi dare una brutta notizia: purtroppo è stato accoltellato questa notte. È morto».